Scritto da una decina di professionisti, sostenuto da 75 istituzioni e accademici, condiviso da oltre 17.000 persone è uscito a maggio il manifesto “Kirchen sind Gemeingüter!” (le chiese sono un patrimonio delle comunità locali). Il riferimento è all’università TU (Techniche Universität) Dortmund – Germania.
La proposta è di affidare il patrimonio immobiliare delle chiese in Germania, in particolare quelle di difficile gestione per le amministrazioni ecclesiali, a fondazioni locali o dei Länder, per un uso sociale, culturale e civile di un patrimonio che è di tutti. Un esempio positivo è la fondazione degli edifici storici industriali funzionante da decenni nella regione della Ruhr.
Le chiese sono di tutti
Una prima risposta a metà giugno delle due Chiese maggiori (cattolica e protestante) è interlocutoria. Esse avvertono il pericolo legato alle dismissioni delle chiese e alla loro alienazione come anche il peso economico sempre più gravoso in un contesto di minori risorse finanziarie e di diminuzione numerica dei fedeli.
Riconoscono il vantaggio della partecipazione di altri attori sociali nella gestione degli edifici sacri, ma anche la necessità di salvaguardare il loro riferimento simbolico e confessionale.
Il manifesto parte dalla convinzione che le chiese sono beni comuni e che la loro gestione non può essere guidata solo dai diritti di proprietà esibiti legittimamente dalle Chiese. Diventano sempre più urgenti forme nuove di sponsorizzazione per salvaguardare un patrimonio architettonico, ma anche artigianale, musicale e sociale, oltre che religioso. Non è accettabile che il loro futuro sia quello della demolizione che rappresenta sempre un “furto” per la comunità civile locale.
Il passaggio alla responsabilità di una fondazione dovrebbe garantire il loro profilo confessionale, il loro essere scrigno di arte, di manufatti preziosi e di modifiche architettoniche subìte nel corso dei secoli. Confermando la loro posizione centrale nel villaggio o nella città come anche il profilo del paesaggio pubblico da esse definito, in particolare con i campanili e il suono delle campane.
Tornare ad essere il centro del villaggio
In Germania va riconosciuto che l’avvicinamento ecumenico delle due Chiese maggiori e la permanenza dei loro edifici hanno creato un nuovo senso di unità nazionale.
I 40.000 edifici chiesiastici che vanno dal IV al XXI secolo costituiscono una sfida maggiore per la cultura del popolo tedesco. Su questo è necessaria una discussione pubblica, ben oltre le pur apprezzabili linee-guida che le Chiese si sono date in merito alla gestione del loro patrimonio immobiliare di chiese.
Con i nuovi orientamenti di risparmio e fonte di energie “verdi”, le chiese forniscono spazi pubblici freschi per tutti e soprattutto un legame di memoria intergenerazionale unico. Devono, quindi, poter essere fruibili da tutti, ben oltre i momenti delle celebrazioni, come succede, ad esempio, per i concerti.
La chiesa, al centro del paese come della città, è davvero un “luogo” particolare. Utilizzando la riflessione del sociologo statunitense Ray Oldenbourg, le chiese si possono assimilare non al primo luogo (casa-famiglia), non al secondo luogo (fabbrica-lavoro), ma piuttosto al “terzo luogo”, cioè agli edifici come la scuola, la farmacia, il bar, la sale di comunità ecc. che sono preziosi per la vita sociale. Anzi, per le chiese si può parlare di un “quarto” luogo perché è stabile rispetto all’evolversi della popolazione, ma soprattutto perché è carico di simboli, memorie e riferimenti di tipo trascendente.
Uniscono l’Europa
Gli edifici sacri, chiese, monasteri, santuari, caratterizzano l’intero spazio europeo e hanno dimostrato di essere costruzioni robuste che sfidano i secoli. È un delitto lasciarle in mano al mercato immobiliare del lusso.
Non va sottovalutato il loro ruolo nell’auspicabile processo di unificazione del continente. Anche le costruzioni recenti, del primo e secondo ’900, hanno caratteristiche architettoniche conformi allo sviluppo della coscienza ecclesiale e della cultura civile.
È utile ricordare i titoli del documento: gli edifici chiesiastici rispondono a codici diversi; gli edifici chiedono partecipazione; sono luoghi fondamentalmente pubblici; sono un patrimonio culturale sostenibile; gli arredi ecclesiastici fanno parte del patrimonio europeo; sono un luogo “terzo” e “quarto”; gli edifici chiesiastici hanno bisogno di una nuova proprietà.
Non replicare i comunisti
La situazione tedesca è molto particolare non solo per il profilo giuridico delle Chiese nel contesto istituzionale e politico, ma anche in ragione della sua memoria drammatica. Visibili, ad esempio, nella sistematica distruzione o inutilizzazione forzate delle chiese operata nella Repubblica democratica tedesca, nell’Est guidato dal comunismo. Dagli anni ’50 agli anni ’90 del secolo scorso non solo la costruzione era praticamente impossibile, ma la distruzione era programmata. In quei decenni sono oltre 60 le chiese forzatamente distrutte in ragione di retoriche e false esigenze di pianificazione urbana.
Del resto, l’allora presidente della DDR, Ulbricht, lo teorizzò in un discorso del 1953, quando parlò della necessità di torri che non fossero i campanili, ma piuttosto del municipio, del mercato, del centro culturale. Bastavano gli edifici per attestare che Dio non era morto.
Per questo è necessario che le chiese siano fruibili e abitabili ben oltre il culto. La forma giuridica della fondazione (Stiftung) sembra adatta a combinare la responsabilità specifica delle Chiese e quella delle istituzioni civili locali e nazionali.
Il problema della dismissione delle chiese è molto vivo nei paesi del Nord Europa, come anche in Gran Bretagna e in Canada. Ma diventa sempre più urgente anche nell’Europa mediterranea e in Italia.