Dopo una campagna elettorale estremamente polarizzata, domenica scorsa i cileni hanno eletto al secondo turno il rappresentante della sinistra Gabriel Boric a nuovo presidente del paese. Una elezione che guarda al futuro del Cile, ma che segna anche chiaramente il modo di elaborarne il passato. Il candidato della destra, José Antonio Kast, aveva infatti lasciato intendere la sua contrarietà rispetto ai lavori della Assemblea Costituente per la stesura di una nuova Costituzione, a favore della quale i cileni avevano votato in larga maggioranza nel referendum dello scorso anno.
Boric, che con i suoi 35 anni sarà il presidente più giovane mai eletto, è stato uno dei principali leader delle proteste studentesche del 2011 che paralizzarono a lungo il paese. Eletto nel 2013, è stato parlamentare per due legislazioni; sostenendo con convinzione l’esigenza di scrivere un nuovo dettato costituzionale sulla scia di una serie di proteste popolari nel 2019. Oltre all’economia liberalista di mercato, sono la questione dell’uguaglianza e quella dei diritti delle popolazioni indigene gli aspetti centrali della riforma costituzionale del paese cari al nuovo presidente.
Questa campagna elettorale per le presidenziali ha fatto saltare l’equilibrio di compromesso dei tradizionali schieramenti di partito che aveva caratterizzato tutto il periodo post-dittatoriale del Cile. Presentando due candidati chiaramente posizionati sulla sinistra e sulla destra dello spettro politico: sulla necessità di una Costituzione che corrispondesse ai processi di democratizzazione avviati con la caduta del regime di Pinochet, da un lato, e sulla salvaguardia di quanto di quel regime si era travasato nei compromessi su cui quei processi furono costruiti, dall’altro.
Tra il primo e il secondo turno delle presidenziali, Boric è stato capace di moderare sia il suo programma politico sia la sua immagine pubblica; raccogliendo così un consenso molto più ampio del previsto tra quella fascia di elettorato che aveva principalmente a cuore la stesura di una nuova Costituzione. E su questo verrà misurata la sua presidenza: ossia, sulla capacità di sciogliere una volta per tutte l’anello di congiunzione che lega ancora il Cile di oggi a quello di Pinochet.
Subito dopo l’elezione, che ha visto Boric raggiungere un inaspettato 55% dei suffragi, i vescovi cileni hanno emesso un messaggio di saluto e congratulazioni al nuovo presidente: “Il paese le ha dato un voto di fiducia e le ha affidato una grande missione, volta a guidare il destino del nostro paese come sua prima autorità e servitore”.
Assicurando la continuazione del contributo della Chiesa cattolica alla vita del paese, i vescovi lo legano in particolare alla costruzione “di un’umanità più giusta e fraterna, dove soprattutto i poveri e i sofferenti siano rispettati nella loro dignità”. Punto, questo, che dovrebbe essere quello di massima vicinanza tra la Chiesa e il programma di Boric. Al primo presidente di sinistra dopo S. Allende, i vescovi assicurano una partecipazione della Chiesa cattolica alla vita pubblica del paese “sempre nel rispetto dell’ordinamento democratico e delle sue autorità legittimamente elette”.
Assicurazione che non è da poco, data la profonda divaricazione tra i due candidati e gli schieramenti politici che saranno presenti nel nuovo Parlamento del paese. La legittimità dei massimi organi dello stato, così come sono stati democraticamente scelti dai cittadini cileni, trova il pieno riconoscimento della Chiesa cattolica di oggi. Per la quale il passo verso una nuova Costituzione può rappresentare una occasione per sciogliere anch’essa in maniera definitiva quegli vincoli che la legano ancora al Cile del colpo di stato che destituì Allende spalancando le porte al regime militare sotto la guida di Pinochet.