In un recente rapporto[1] il presidente cinese Xi Jinping ha raccomandato di studiare l’influenza del diritto internazionale sugli affari interni ed esterni della Cina. Il professor Huang Huikang ha presentato un’ampia relazione sull’argomento.[2]
Xi ha sottolineato l’importanza del diritto internazionale:
«Rafforzare lo stato di diritto sugli affari internazionali è una priorità assoluta per rispondere alle sfide poste dai rischi esterni. Pertanto, è necessario coltivare attivamente diverse istituzioni arbitrali e studi giuridici internazionali di alto livello, stabilire e rafforzare la “catena di sicurezza dello stato di diritto per la protezione degli interessi all’estero” e prendere l’iniziativa di partecipare alla creazione di norme internazionali».
Xi ha anche affermato che occorre formare al più presto un gruppo di studiosi dello stato di diritto con legami internazionali che «abbiano una ferma posizione politica, eccellenti qualità professionali, una buona conoscenza delle norme internazionali e una buona pratica legale in affari esteri».
Secondo Xi, il rafforzamento dello stato di diritto in materia di questioni internazionali non è solo una necessità a lungo termine per portare avanti in modo completo «la costruzione di una nazione forte e la grande causa del ringiovanimento nazionale» attraverso la «modernizzazione in stile cinese», ma anche un fattore critico per promuovere un’apertura di alto livello verso il mondo esterno e affrontare i «problemi internazionali». È anche un compito urgente incoraggiare una notevole apertura verso l’ordinamento internazionale e far fronte alle «sfide del rischio esterno».
Molti si soffermeranno sul rapporto, analizzandolo perché avrà un impatto significativo sulle future interazioni internazionali della Cina. Moritz Rudol[3] è stato il primo che ha iniziato a lavorarci.
In effetti, il primo obiettivo di questa nuova attenzione è che la Cina abbia un quadro giuridico accettabile per giustificare le sue rivendicazioni territoriali e politiche. Molte controversie con gli Stati Uniti e con i Paesi limitrofi riguardano la percezione dell’espansione della Cina; e l’attrito con questi ultimi riguarda la rivendicazione di diritti da parte cinese. Pertanto, prima di essere uno scontro militare e politico, si tratta di uno scontro giuridico. La carne e le ossa possono essere politiche e militari, ma la pelle è giuridica – e solo chi è superficiale non guarda a ciò che appare. Per Pechino è fondamentale comprendere il quadro giuridico in cui si muovono i suoi concorrenti.
Ammettere questo quadro giuridico e l’importanza di coinvolgere gli stranieri in esso è una svolta significativa per la politica cinese. De facto significa che la Cina accetta il quadro giuridico internazionale e il suo impatto interno, cosa che la Repubblica Popolare Cinese non aveva mai fatto prima.
La Cina ha indubbiamente lavorato all’interno dell’attuale quadro giuridico internazionale, ma nessun altro leader ha sottolineato che era essenziale studiarlo per proteggere il Paese. Le amministrazioni passate sono state poco reattive, accettando il quadro normativo quando gli andava bene e dimenticandolo quando non gli andava bene – senza molte elaborazioni e giustificazioni giuridiche o filosofiche.
I leader cinesi del passato hanno governato attraverso dichiarazioni (Mao) o torbide divisioni tra potere politico e forze di mercato (Deng).[4] Non hanno avuto però un impatto significativo sulla posizione internazionale della Cina, perché essa era isolata (con Mao) o benevolmente accettata (con Deng). In entrambi i casi, la Cina non ha compreso l’ordine internazionale esistente e le sue norme.
Attualmente, però, la Cina non è più isolata e la sua posizione si scontra talvolta con l’ordine internazionale esistente. Pertanto, o la Cina contesta del tutto l’ordine internazionale attuale e si avvia verso un nuovo isolamento, oppure cerca di ritagliarsi un proprio spazio in questo ordine. In questo caso, deve comprenderlo appieno e viverci consapevolmente.
Che piaccia o no, secondo il recente rapporto, Pechino ha deciso di riconoscere l’ordine internazionale sulla base dello stato di diritto esistente e del suo impatto complessivo in Cina. Il riconoscimento dice quindi qualcosa che c’era anche prima, ma non era stato ammesso: i limiti del potere totale del Partito Comunista, su cui sia Mao che Deng erano d’accordo. Il riconoscimento è una svolta teorica e incontrerà molte resistenze pratiche nella sua attuazione interna. Ma potrebbe anche avere conseguenze significative.
L’accordo cinese del 2018 con la Santa Sede era stato analogamente preceduto da scoperte teoriche che portarono al discorso del segretario del congresso del partito Hu Jintao del 2007, nel quale riconosceva il ruolo positivo delle «figure religiose» nella vita sociale cinese.
In quel periodo il partito era materialista; pertanto, le questioni religiose cadevano fuori dai suoi confini e solo le conseguenze civili delle attività religiose erano di sua competenza. Ciò si traduceva nel riconoscere che la nomina dei vescovi cattolici era una questione religiosa, sebbene avesse conseguenze civili. Il sacro era di competenza del papa, il civile del governo cinese. Era la prima volta nella storia cinese che una Cina pienamente indipendente riconosceva il ruolo delle «interferenze» religiose straniere all’interno dei suoi confini.
Allo stesso modo qui. Se il partito riconosce l’importanza e l’influenza delle leggi internazionali nel suo governo e ne incoraggia lo studio, riconosce in linea di principio che il partito è sotto la legge, non al di sopra di essa. Questo non avrà effetti pratici domani, e l’obiettivo è quello di limitare e cercare di incanalare questo aspetto in modo che il partito possa ancora controllare la situazione.
L’accordo Cina-Vaticano è stato per molti deludente, e l’incoraggiamento di Xi a studiare il diritto internazionale non aprirà le porte a un nuovo stato di diritto cinese. Ma in questo momento si tratta comunque del seme di qualcosa che verrà. Ammette infatti che esiste un sistema internazionale basato su regole a cui la Cina deve adattarsi. La Cina può cercare di spingere per alcune regole o manometterle, ma non può ignorarle. Il costo sarebbe il suo isolamento o un conflitto difficile da giustificare all’estero e all’interno.
Se la mossa fosse avvenuta venti anni fa, sarebbe stata probabilmente accolta con entusiasmo a livello globale. Nell’attuale clima internazionale, è possibile che venga accolta con grande scetticismo. Potrebbe essere considerata troppo poco e fatta troppo tardi. Tuttavia, qualcosa si sta muovendo in Cina, proprio nel momento del prezioso «cessate il fuoco» siglato tra Xi e il presidente statunitense Joe Biden a San Francisco il mese scorso.
[1] Cf. qui. Se ne è avuta notizia il 29 novembre 2023.
[2] https://news.cupl.edu.cn/info/1016/38597.htm
[3] https://x.com/MoritzRudolf/status/1730347140193362231?s=20
[4] Cf. http://www.settimananews.it/informazione-internazionale/xi-jinping-de-structuring-power/