Il progressivo naufragio del Vangelo nell’ideologia del “mondo russo” (Russkij Mir), dopo aver giustificato il potere moscovita e la sua pretesa imperiale, giunge ad una sorta di “anatema” (scomunica) verso le Chiese d’Occidente.
Sarebbero incapaci non solo di resistere all’anti-Vangelo dei potenti ma anche di opporre una resistenza visibile e organizzata.
In Occidente tutti “lapsi”
Il 7 luglio, nella celebrazione eucaristica al monastero Joannoskij a San Pietroburgo, Cirillo di Mosca ha denunciato «l’avanzata aggressiva dell’empietà che schiavizza molti cosiddetti paesi cristiani che, di fatto, hanno cessato di essere cristiani. E ora sorge spontanea la domanda: perché è successo?
Dopotutto lì – non indicheremo in quale spazio geografico si trovano. Sapete tutti di quali paesi stiamo parlando – non ci sono reazioni collettive all’apostasia dalla fede. Forse alcuni gruppi particolari che mantengono ancora la fede sono preoccupati e pregano, ma in generale nello spazio pubblico non ci sono proteste. Sappiamo come quei popoli amano protestare, soprattutto ricorrendo al concetto di violazione dei diritti umani. In quel caso si scandalizzano, combattono e pretendono! Ma sulla fede cosa succede?
Ecco quello che accade: la fede viene strappata via dal vissuto delle persone e le chiese vengono chiuse. Chiese e monasteri si trasformano in modo blasfemo e appaiono ristoranti e luoghi di intrattenimento. Ma dove sono le proteste? Se è giusto protestare per i diritti umani, perché non protestare quando c’è una persecuzione diretta sulle chiese e i santuari, quando il cristianesimo viene espulso dal vissuto delle persone? Certo conosco chi prega e spera, ma non esiste un movimento sociale potente in difesa del cristianesimo in Occidente. Ciò significa solo una cosa: la fede ha abbandonato il cuore delle persone. Esse non ne hanno più bisogno.
E, se ci sono ancora dei gesti rispettosi nei confronti del cristianesimo, essi sono associati alla conservazione dei monumenti culturali e di alcune tradizioni di culto, ma praticamente non sono associati alla fede viva. Certo, vi sono luoghi di pellegrinaggio, manifestazioni di massa dei sentimenti religiosi, ma sono sempre più marginali, sempre più relegati alla periferia della vita sociale».
Bambini per la patria
Anche togliendo lo scarto della retorica occasionale, le posizioni ecclesiali e teologiche del patriarca e dei vertici russi non riescono a nascondere l’avvelenamento dei pozzi evangelici.
Dopo aver archiviato con disinvoltura oltre cinquant’anni di esperienza ecumenica e aver annullato intere pagine della dottrina sociale approvata dal concilio di Mosca nel 2000 (sulla guerra come sui diritti delle persone), Cirillo non sembra in grado di comunicare parole trasparenti di Vangelo. Ricorrendo ad alcuni dei suoi discorsi più recenti, faccio il caso di due elementi: l’aborto e la preghiera.
Tutte le Chiese cristiane hanno un giudizio severo sulla pratica abortiva pur nella diversità dei toni e delle situazioni. Cirillo lo conferma, ma lo svolge non a partire dal dramma delle donne interessate, dal conflitto di due diritti (del feto e della madre), dalla risposta della coscienza credente all’indicazione perentoria di Dio: “non uccidere”.
In un lungo discorso al clero della diocesi di Kaliningrad (8 giugno – e nel discorso al Consiglio supremo del 26 giugno), elogia gli interventi censori delle amministrazioni pubbliche nei confronti delle cliniche abortiste e sottolinea con forza il problema del calo demografico e della necessità per il bene dello Stato di promuovere le nascite.
Elogia il fatto che nelle chiese siano apparsi gli elenchi di denuncia delle restanti cliniche mediche che praticano gli aborti-omicidi. «Per la regione di Kaliningrad la perdita di popolazione è un problema geopolitico, perché la nostra regione è un’enclave circondata da stati ostili alla Russia».«Pertanto, la situazione demografica, dal mio punto di vista, richiede misure urgenti e straordinarie».
Nessun accenno al dramma delle donne interessate. E nessuna parola a un macroscopico fenomeno di morte. La guerra in Ucraina ha inghiottito centinaia di migliaia di morti di giovani e uomini adulti. Senza contare i traumatizzati, i feriti e i mutilati. Si può chiedere alle donne di partorire per offrire “carne da macello” alle velleità imperiali di Putin e per la riaffermazione formalistica dei “valori tradizionali”?
Preghiera necessaria, ma per la vittoria
Ma l’ambiguità entra anche in esortazioni del tutto condivisibili, come nell’invito ai preti di perseverare nella preghiera personale oltre che nella celebrazione dei misteri. «Un prete che non prega durante i servizi divini o a casa sua – dice Cirillo – non è un prete, è un esecutore di rituali con uno stato d’animo difficilmente comprensibile. La vita di preghiera personale di un sacerdote è condizione indispensabile, usando una terminologia laica, per il vostro successo professionale […]. Non c’è bisogno di ricordare che la preghiera dovrebbe essere la nostra attività principale, letteralmente, il respiro della vita».
Parole condivisibili e apprezzabili. Ma allora il patriarca dovrebbe spiegare perché la sincera e libera preghiera del prete, quando consapevolmente non prega per la vittoria delle armate putiniane, ma per la pace è motivo per essere immediatamente rimosso dal suo incarico. Lo statuto della preghiera liturgica fa riferimento ai testi approvati dalla tradizione orante della comunità ecclesiale e alla sua ispirazione evangelica.
Che cosa trasforma una mancata preghiera per la guerra in volontà scismatica o eresiaca? Così un prete, Alexis Uminsky, racconta la sua rimozione nel suo esilio francese: «Da trent’anni celebravo nella parrocchia dedicata alla Santa Trinità a Khokhly, al centro di Mosca. Sapevo che c’erano dei delatori. Il 5 gennaio scorso, una commissione speciale del Patriarcato di Mosca mi ha chiesto perché durante la celebrazione non pronunciavo la preghiera “per la vittoria della santa Russia in Ucraina” come tutti i preti ortodossi sono chiamati a fare. La commissione non ha voluto sentire le ragioni della mia opposizione alla guerra.
Solo dopo qualche ora venivo informato di essere stato rimosso da rettore e sostituito dall’arciprete Andrej Tkachev. Collaboratore regolare al canale televisivo nazionalista Tsar Grad, Thachev è molto popolare in Russia ed è conosciuto come sostenitore del patriarca e del Cremlino… Tutto il contrario di me […] Non so francamente cosa succederà del Patriarcato di Mosca, tanto questo è ormai interno al regime di Vladimir Putin » (la Croix, 4 luglio 2024).
Eresia manichea?
Senza confondere la dirigenza ecclesiastica con il popolo credente e senza pretendere che l’assordante silenzio dei 400 vescovi ortodossi russi e dei 12.000 monaci sia necessariamente un consenso all’attuale direzione di Cirillo, vanno censite con sofferta attenzione le parole dell’arcivescovo ortodosso di Helsinki, Leone, recentemente giunto alla pensione: «La famiglia delle Chiese ortodosse è attualmente in crisi e fortemente divisa. La nostra epoca ha visto nascere un nuovo mito e una nuova ideologia totalitaria sotto la copertura dell’Ortodossia, di fatto molto lontana dal cristianesimo. Fino a qualche anno fa potevo ancora riconoscere elementi di vera ortodossia nel Patriarcato di Mosca, ma ora sono scomparsi e sostituiti da una melassa di messianismo russo, di fascismo ortodosso e di etno-filetismo (condannato dal sinodo di Costantinopoli nel 1872). Questo mette in rilievo un problema essenziale del mondo ortodosso contemporaneo, sia nei territori storicamente ortodossi, sia nel Nuovo Mondo. Purtroppo la Russia si considera ormai come la sola forza del bene nel mondo. Il suo compito è di resistere all’Occidente, che sarebbe divenuto malefico. È la riproposizione dell’eresia manichea per la quale il mondo è diviso in opposti irriconciliabili, la luce e le tenebre, il bene e il male».
Articolo interessante, ma desidererei un chiarimento: si critica Kirill perché sembra che svolga il suo ragionamento sull’aborto non a partire… dal conflitto di due diritti (del feto e della madre). Si direbbe che l’articolista voglia mettere sullo stesso piano il diritto alla vita del bambino e il “diritto” della madre di ucciderlo. Ho capito male?
Conviene ricordare, a chi ha scordato o vuole scordare, che mezzo secolo fa la nostra Corte Costituzionale ha stabilito (si spera una volta per tutte!) che i due diritti – quello della donna e quello del feto – non sono fra di loro comparabili, perché in ogni caso il diritto alla vita, alla salute e alla dignità personale della donna già in vita prevale su quello di un essere non nato. Trovo, poi, aberrante questa insistenza maschile a disquisire teoricamente e a voler legiferare (in ambito civile come in ambito canonico) sui corpi delle donne, in particolare in materie nelle quali noi maschi non abbiamo e, almeno in generale, non possiamo avere alcuna esperienza comparabile sui nostri corpi. Poi ci si stupisce dello scisma silenzioso femminile che ha desertificato le chiese nel nostro paese! Ben altri dovrebbero essere i nostri compiti in queste dolorose situazioni, che mettono a rischio le compagne delle nostre vite: assisterle, aiutarle, comprenderle, confortarle … in due sole parole, amarle e rispettarle.
La maternità attenta al diritto alla vita, alla salute e alla dignità delle donne? Mentre con l’aborto verrebbe garantito? Sono tutte in pericolo di vita le donne che abortiscono? “…il diritto …della donna già in vita prevale su quello di un essere non nato” : il bambino nel grembo materno non è in vita? “aberrante …voler legiferare sui corpi delle donne” : ecco di nuovo lo slogan femminista secondo cui la donna deve essere libera di disporre del proprio corpo. Ma il feto non è parte del corpo della donna: il suo DNA è diverso da quello della madre per cui non ne è una parte, ma un essere umano diverso e con il diritto di vivere. Certo, le donne in difficoltà vanno aiutate (e non manca chi lo fa come i Centri di aiuto alla vita, rigorosamente ignorati dalla propaganda abortista), ma ad accogliere il figlio, non ad ucciderlo.
Anche se Kirill esterna posizioni aberranti rispetto alla tradizione cristiana al punto da far apparire inconcepibile qualsiasi forma di dialogo, bisognerebbe offrire ai credenti, in primo luogo ai credenti in Russia, la possibilità di sperare nell’avvio di un processo di salvaguardia della fraternità umana e cristiana. Sarebbe auspicabile un passo chiaro ed evidente a tutti da parte della chiesa cattolica.
La Chiesa Cattolica a Trieste crede che l’Italia sia uno Stato democratico.
Perché lo è: abbiamo libere elezioni, alternanza, libera stampa, libertà di parola, libertà di associazione
Che poi tutto questo abbia dei deficit è innegabile, ma comunque siamo una democrazia
I contratti di spesa della pubblica amministrazione sono liberi ? Altrimenti come è possibile che; anche per statistiche ONU; l’Italia ha un tasso di corruzione pubblica che la colloca nel segmento dei paesi in via di sviluppo?
sta parlando del Corruption Perception Index?
comunque la corruzione non equivale a mancanza di democrazia