Nel rapporto annuale davanti all’assemblea diocesana (22 dicembre) il patriarca Cirillo di Mosca ha ulteriormente saldato la sua Chiesa alla guerra di aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina, definendola un conflitto di civiltà, una lotta contro il male e la decadenza morale occidentale, l’opposizione metafisica all’ideologia del globalismo e del transumanesimo.
«Riflettendo sulle circostanze da cui è iniziato questo conflitto (gli scontri nel Donbass), possiamo notare in essi una innegabile dimensione religiosa: un odio irrazionale per i popoli che professano l’Ortodossia».
È l’odio a motivare prima l’intervento occidentale nelle guerre balcaniche degli anni Novanta, poi a sostenere le rivoluzioni «colorate» in Ucraina.
«La manifestazione di questo odio è stata la costante persecuzione della Chiesa ortodossa ucraina, l’alimentazione di scismi da parte delle autorità statali ucraine, poi sostenute purtroppo dai Primati di alcune Chiese locali che hanno realizzato la volontà degli ispiratori internazionali. La fonte della guerra intestina in Ucraina era la cattiva volontà delle persone ostili alla Croce di Cristo, alla libertà cristiana, patrimonio comune delle genti del fonte battesimale del Dnepr».
È una lotta intestina voluta da chi si proponeva di distruggere l’unità della santa Rus’.
Onore ai soldati, esenzione al clero
Onore quindi ai soldati che sono sul fronte di guerra e al clero ortodosso che li sostiene, consapevole «delle gravissime minacce all’unità della Chiesa ortodossa russa». I nemici vedono nella Chiesa la giustificazione spirituale e nascondono «l’odio per l’originalità dell’Ortodossia, che rifiuta tutti i tentativi di “adattare” la nostra visione del mondo agli standard del progetto laico-globalista dell’Occidente».
Essi ispirano una valanga velenosa di informazioni non solo sulla Russia, ma anche sulla Moldavia, gli stati baltici e l’Ucraina, su tutto lo spazio del mondo russo (Russky Mir). È sotto una incredibile pressione che la Chiesa ortodossa ucraina filo-russa (o meglio non autocefala) ha deciso di staccarsi da Mosca, violando lo statuto di autonomia concesso dal patriarca Alessio di Mosca nel 1990.
Nella sua piena giustificazione della guerra d’aggressione, Cirillo si garantisce il consenso del clero invocando la sua esenzione rispetto alla mobilitazione generale. L’eccezione temporanea, concordata col ministero della Difesa deve, a suo dire, diventare legge. Assicurando tuttavia la presenza di preti volontari al fronte.
Il rumore sordo del dissenso
Sul versante delle comunità ortodosse, Cirillo è costretto a riconoscere che «c’è chi prende le distanze dalle decisioni dello stato o addirittura lascia la propria patria. Tutti gli ortodossi, indipendentemente dall’opinione che hanno sulle questioni politiche, anche quando non siano d’accordo, rimangono il nostro gregge».
E accenna anche al dissenso nel clero quando invita i parroci a non discostarsi dalla posizione della Chiesa. Nel caso in cui il prete non condivida l’indirizzo bellico, è bene che rimandi i parrocchiani critici a preti più convinti. Senza tuttavia sottrarsi al dovere di consolare coloro che lamentano la perdita di persone care in guerra.
Enfatizza gli interventi umanitari a favore dei profughi. Deve ammettere «che molte persone, anche tra i nostri parrocchiani, sono oggi in subbuglio. Le notizie che arrivano dal fronte sono talvolta percepite con smarrimento e paura. Nonostante gli sforzi dello stato, molti si trovano di fronte a un calo del loro tenore di vita abituale, e non si tratta solo della perdita del comfort in eccesso o, ad esempio, dell’impossibilità di viaggiare all’estero, ma anche delle difficoltà quotidiane. Nessuno oggi può dire con certezza che presto ci sarà un ritorno alla vita a cui ci si era abituati negli anni di pacifica esistenza».
Lo spettro del transumanesimo
Ricorda i suoi incontri con Vladimir Putin, con Alexander Lukashenko (Bielorussia), con il presidente del Kazakistan e il presidente di Cuba. Accenna ai contatti video con il patriarca serbo, Porfirio, e con papa Francesco, l’arcivescovo Welby e il segretario generale del Consiglio ecumenico delle Chiese, J. Sauca. Tacendo il dissenso di questi ultimi.
Giustifica l’annessione delle diocesi dei territori occupati e l’incomprensibile avvio di un esarcato per l’Africa, che sottrae al patriarca di Alessandria il territorio canonico. Verso la conclusione del suo lunghissimo rapporto, torna a denunciare il compito sacro della guerra contro le perversioni dell’Occidente, ormai affogato nelle sue nequizie, nella distruzione della famiglia, nelle perversioni sessuali, nell’infanticidio.
Definisce tutto questo come «transumanesimo», come ideologia della disumanizzazione trainata dalla digitalizzazione, dalle innovazioni genetiche, dall’intelligenza artificiale. Un conflitto totale non solo militare, ma culturale e di civiltà.
Bene − a suo avviso − ha fatto la Duma ad approvare una legge che vieta la propaganda di ogni tipo di perversione e invita il parlamento a rispondere alla richiesta della Chiesa di sottrarre l’aborto all’assicurazione medica. Chi lo vuole, lo paghi. E bene fanno le parrocchie a creare consenso attorno alla famiglia e ai valori tradizionali.
Sui migranti che si dirigono verso la Russia, ammonisce lo stato a preservare l’identità russa, a impedire che essi ingrossino la criminalità, che mettano in pericolo la coesione sociale. Ripete per l’occasione gli ideali già proposti alla società russa: la fede, il sacrificio, la patria.
«Gli ideali che possiamo proporre allo stato e alla società nel corso del dialogo, almeno in Russia, sono già contenuti nel Vangelo o derivano dal suo insegnamento. Non ci possono essere ideali morali e valori spirituali in Russia che contraddicano la parola di Dio. Altrimenti non sarebbe più la Russia».
L’assemblea ha approvato una risoluzione in 11 punti in cui si ratifica il rapporto del patriarca. La posizione di Cirillo espressa il 22 dicembre ha coerenti precedenti nel sermone del 6 dicembre, nell’intervento del 20 novembre, nell’omelia del 6 novembre (cf. SettimanaNews, qui).
Russky mir eresia “filetistica”
Il rapporto di Cirillo mi sembra una risposta alla radicale denuncia della posizione russa da parte del patriarca Bartolomeo, espressa in un organico discorso il 9 dicembre alla «World Policy Conference« di Abu Dhabi. In quella sede, il patriarca di Costantinopoli ha denunciato la secolare pretesa russa di essere “la terza Roma”.
«Questa lunga politica di Mosca costituisce un fondamentale fattore di divisione del mondo ortodosso». «Ispirata dal pangermanesimo, la nuova ideologia del panslavismo, organo della politica estera russa, ha acquisito una componente religiosa. È l’idea che le Chiese dovrebbero organizzarsi secondo il principio dell’etnia (etnofiletismo), in cui indicatore centrale sarebbe la lingua». Esattamente quello che si propone nella visione del Russky Mir di Cirillo.
«La Chiesa ortodossa russa si è schierata con il regime di Vladimir Putin, soprattutto dopo l’elezione del patriarca Cirillo nel 2009. Partecipa attivamente alla promozione dell’ideologia del Russky Mir (mondo russo), secondo cui lingua e religione permettono di definire un insieme coerente che comprende Russia, Ucraina e Bielorussia, così come altri territori dell’ex Unione Sovietica e della diaspora. Mosca (potere politico e religioso insieme) costituirebbe il centro di questo mondo, la cui missione sarebbe quella di combattere i valori decadenti dell’Occidente. Questa ideologia costituisce uno strumento di legittimazione dell’espansionismo russo e la base della sua strategia eurasiatica. Il legame con il passato dell’etnofiletismo e il presente del Russky Mir è evidente. La fede diventa così la spina dorsale del regime di Putin».
È un attacco frontale all’universalismo del cristianesimo e dell’Ortodossia e una condizione di servilismo alla struttura politico-militare del Cremlino.