Clima: l’Europa e il negazionismo di Trump

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clima11

Trump firma il decreto esecutivo di uscita degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima

È veramente un momentaccio, siamo in preda a una gravissima crisi climatico-ambientale e siamo nella «terza guerra mondiale a pezzi», come l’ha definita Papa Francesco: una guerra che si combatte nel cuore dell’Europa ed ai suoi confini Medio-Orientali con alta e, per noi, altissima intensità, oltre che in tante altre aree perlopiù dimenticate del mondo; e stiamo fronteggiando una pesante crisi recessiva europea; nel mentre, Trump si è ripreso gli Stati Uniti, al grido America First!

Negazionista per natura, il nuovo Presidente ha immediatamente decretato l’uscita degli USA dall’Accordo di Parigi sul clima − e persino dall’OMS, l’organismo sanitario internazionale −, ha perdonato − e liberato dalla reclusione − i rivoltosi dell’assalto alla Casa Bianca del 6 gennaio 2021, ha piazzato il mega-miliardario Elon Musk al potere per tagliare migliaia di posti di lavoro pubblici quale ricompensa per averlo aiutato riaprendo i social alle panzane propagandistiche che da sempre accompagnano la sua retorica.

Giorgia e Ursula

La nostra Presidente del consiglio, unica leader europea, si è precipitata alla cerimonia d’insediamento del 20 gennaio – trasformata in un grande show televisivo – a rendere omaggio al neopresidente, per ascoltare, senza batter ciglio, parole come queste:

«Trivelleremo senza posa. L’America tornerà a essere una nazione manifatturiera, abbiamo qualcosa che nessun’altra nazione manifatturiera avrà mai: la più grande quantità di petrolio e gas di qualsiasi paese sulla Terra, e la useremo. Abbasseremo i prezzi, riempiremo di nuovo le nostre riserve strategiche fino all’orlo, ed esporteremo energia americana in tutto il mondo. Saremo di nuovo una nazione ricca; ed è quell’oro liquido sotto i nostri piedi che ci aiuterà a farlo. Con le mie azioni di oggi, porremo fine al Green New Deal, revocheremo l’obbligo dei veicoli elettrici, salvando la nostra industria automobilistica e mantenendo la mia sacra promessa ai nostri grandi lavoratori americani dell’auto (o, meglio, ai nostri petrolieri e leader finanziari − ndr). In altre parole, potrete acquistare l’auto che preferite. Costruiremo di nuovo automobili in America a un ritmo che nessuno avrebbe potuto sognare possibile solo pochi anni fa».

Sono parole da brivido per quanti, come noi, in questi anni si sono prodigati per far capire cosa sta accadendo sul pianeta Terra a causa delle attività umane, perché queste parole dicono tutto il contrario di quel che si dovrebbe fare per abbattere rapidamente le emissioni di carbonio che ci stanno condannando ad un futuro − già presente − sempre più duro, come dimostrano le continue disgrazie climatiche che si abbattono anche sugli Stati Uniti, ma di cui in Italia abbiamo avuto già tanti esempi recenti. Il futuro sarà del tutto insostenibile se non fermiamo le parole – e gli affari – di Trump.

Lo sa bene papa Francesco, che fin dal 2015 si era fatto promotore di una diversa cura del creato con l’enciclica Laudato si’. La scienza ci dice che le quantità di gas serra che possiamo ancora emettere senza superare i +2°C − soglia concordata nell’accordo di Parigi, nell’ormai lontano 2015 − saranno presto esaurite.

La Presidente europea Ursula von der Leyen sembra aver compreso sino in fondo la sfida che ci aspetta. Ha replicato a Trump molto esplicitamente parlando da Davos:

«Il cambiamento climatico è ancora in cima all’agenda globale, dalla decarbonizzazione alle soluzioni basate sulla natura. Dalla creazione di un’economia circolare allo sviluppo di crediti per la natura. L’accordo di Parigi continua a essere la migliore speranza di tutta l’umanità. Quindi l’Europa manterrà la rotta e continuerà a lavorare con tutte le nazioni che vogliono proteggere la natura e fermare il riscaldamento globale».

In queste parole traspare sintonia con gli accorati appelli del Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, che, in ogni occasione, compreso pure il suo intervento al meeting di Davos, ricorda che il mondo sta viaggiando verso il baratro.

Come non essere d’accordo con il fisico Guterres? Resta sullo sfondo un problema politico che sembra sfuggire ai più, ed è la sostanziale fragilità di un’Europa divisa ancora in tanti piccoli Stati, in mezzo ad imperi come Usa, Russia e Cina. Le frontiere che dividono ancora i francesi dagli italiani, gli italiani dagli austriaci, i francesi dai tedeschi e così via, sono crepe che rendono fragile il blocco europeo di fronte a giganti ben altrimenti compattati, che minacciano di stritolare l’Europa.

L’idea di unire politicamente gli Stati europei tra loro risale ormai a oltre un secolo fa, su proposta e spinta di un personaggio oggi quasi dimenticato, il cosmopolita aristocratico austriaco Richard Nikolaus di Coudenhove-Kalergi, che, dopo la fine della Grande guerra, da lui significativamente definita «guerra civile europea», diede alle stampe il libro-manifesto Pan-Europa (1923) che ebbe un tale successo tra intellettuali e politici dell’epoca da produrre, pochi anni dopo, il primo congresso paneuropeo, apertosi il 3 ottobre 1926 a Vienna.

Naturalmente con l’arrivo del totalitario e ipernazionalista regime di Hitler questo movimento fu rapidamente messo fuori legge, ma i suoi semi, custoditi gelosamente anche in Italia da persone del calibro di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, durante il confino a Ventotene, tornarono a germinare negli anni Cinquanta, dopo le distruzioni della II Guerra mondiale, quando, prima con la Comunità Economica del carbone e dell’acciaio (CECA), e poi col trattato di Roma (1957) vedemmo partire il progetto del Mercato comune Europeo, successivamente divenuto Unione Europea ed Eurozona con una moneta comune.

Merita ricordare che fu lo stesso Coudenhove-Kalergi nel 1923 a lanciare l’idea di riunire il carbone tedesco e francese sotto un’unica autorità mentre proponeva, nel 1929, di adottare l’Inno alla gioia di Schiller, musicato da Beethoven, quale inno europeo: economia e cultura, insieme!

L’Europa e l’era Trump

Oggi, cent’anni dopo Kalergi, nell’era Trump, occorre il coraggio di ripartire con la riforma dell’Europa, puntando decisamente ad un sistema federale europeo − e non federativo come quello attuale − che abbia un vero governo, un vero europarlamento sovrano, con sistemi fiscali, giudiziari ed amministrazione unificati, con una base costituzionale vera e propria e fondata su diritti e sostenibilità, invece dei complicatissimi − e neoliberisti − trattati di Maastricht in vigore oggi.

In assenza di un progetto politico forte, l’Europa − con un tessuto industriale fragile e povera di risorse energetiche − finirà schiacciata nella competizione tra USA, Cina e/o il gruppo dei Paesi dell’acronimo BRICS, che si va progressivamente consolidando.

Il Governo italiano dovrà fare delle scelte. La politica della Presidente del Consiglio − stare con i piedi in due staffe, correndo un giorno da Trump ed il successivo giurando fedeltà all’Europa − non potrà pagare ancora per molto. Gli imperi richiedono vassalli, non alleati.

Su Green Deal ed energia si dovrà pur decidere se comprare in eterno gas liquido americano ad altissimo prezzo e fare dell’Italia l’hub energetico di un’Europa vassalla del gas in arrivo da Asia e Africa − come la vicenda ignominiosa del carnefice libico al-Masri esemplifica −, ovvero puntare, al massimo delle potenzialità, sulle energie veramente rinnovabili, che sono soltanto quelle che il sole e il vento ci regalano!

Il nuovo Presidente americano, perlomeno, è stato chiaro, e perciò costringe ad esserlo altrettanto. Anche se oggi “soltanto” il 7% delle emissioni globali di gas serra viene prodotto dagli europei, nella lunga storia – che parte dalla rivoluzione industriale − l’Europa è seconda solo agli USA per quantità globale di CO2 rilasciata in atmosfera, ed è quindi ampiamente responsabile dell’attuale crisi climatica e delle sue catastrofi, quelle avvenute e quelle che saranno.

Esiste poi l’eredità culturale per effetto della quale l’Europa − «culla di civiltà» − non può sottrarsi di fronte alla grande sfida energetica e climatica. Di ciò tutti i governanti europei, di qualunque posizione politica, dovrebbero essere ben consapevoli, se non vogliono coprirsi della responsabilità storica di aver affossato il sogno europeo dei fondatori ed il sogno dei tanti cittadini europei che − come noi − nell’Europa ci hanno creduto davvero, vedendo, negli anni, crescere le possibilità di pace e di prosperità.

Di fronte al peggioramento della qualità politica mondiale, dominata da autoritarismi, guerre e «uomini forti» − siano essi boiardi russi, plutocrati americani, dittatori di tanti Paesi − puntare a una vera grande democrazia europea unificata che faccia fiorire, tra l’altro, ma non in secondo piano, un mercato comune dell’energia rinnovabile, ci appare la strada ineludibile e urgente da percorrere, per vincere le pesanti incognite del futuro e per ridare dignità etica all’Europa.

D’accordo, la nostra è forse ancora un’utopia, ma la storia insegna che, proprio nelle prove più difficili, si deve pensare in grande: vogliamo crederci ancora!

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13 Commenti

  1. Claudio 29 gennaio 2025
    • Anima errante 29 gennaio 2025
  2. Claudio 29 gennaio 2025
    • anima errante 29 gennaio 2025
    • Giampaolo Sevieri 29 gennaio 2025
  3. Giampaolo Sevieri 27 gennaio 2025
    • Vittorio Marletto 27 gennaio 2025
      • Giampaolo Sevieri 28 gennaio 2025
    • Vittorio Marletto 10 febbraio 2025
      • Giampaolo Sevieri 10 febbraio 2025
  4. Claudio 26 gennaio 2025

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