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Dal febbraio 2023 è in corso una disputa fondiaria tra le comunità Lengola e Mbole nel comune urbano-rurale di Lubunga, a Kisangani. Situata sulle rive del fiume Congo, Kisangani è la capitale della provincia di Tshopo, nell’estremo oriente della Repubblica Democratica del Congo.
È la storia di due popoli fratelli che per secoli hanno vissuto insieme, si sono sposati e hanno messo al mondo dei figli, ma che ora si stanno uccidendo a vicenda. E la pietra d’inciampo è la terra, perché bisogna dire che l’uomo è la sua terra. Si identifica con essa perché vi è legato.
I membri di una tribù accusano gli altri di aver venduto la loro terra a una multinazionale. Che sia un pretesto o meno, una cosa è vera: un’azienda si è impossessata di millecinquecento ettari di campi di contadini pacifici. Questo è un dato di fatto. Di conseguenza, i fratelli hanno iniziato a guardarsi come cani e gatti; l’odio è cresciuto, sono diventati fratelli-nemici.
Da allora, più di cinquecento persone sono state vigliaccamente uccise a colpi di machete e migliaia di famiglie hanno abbandonato le loro case. Immagini raccapriccianti fanno venire le lacrime agli occhi: corpi decapitati, donne sventrate, bambini malnutriti, capanne bruciate…
Migliaia di persone, alcune confinate e altre in famiglie ospitanti, devono affrontare la promiscuità, la fame, le intemperie e le scarse condizioni igieniche.
E di fronte a tutto questo, come sempre, le autorità politiche si distinguono per il loro silenzio. Tutto si svolge come se si trattasse di una lite tra bambini per un piatto di cibo. Eppure le persone muoiono e molte altre sprofondano nella povertà.
Solo la Chiesa cattolica, alcune organizzazioni per i diritti umani e persone di buona volontà stanno disperatamente cercando di porre rimedio alla situazione. Attraverso la Caritas diocesana, che sta mobilitando alcune donazioni, la Chiesa sta cercando di dare un po’ di sollievo agli sfollati che mancano praticamente di tutto.
Con la situazione che va di male in peggio, sabato 25 maggio 2024, l’arcidiocesi di Kisangani ha organizzato una marcia pacifica verso il governatorato provinciale. I cristiani di tutte le parrocchie, i sacerdoti e le suore, guidati dal vescovo ausiliare Léonard Ndjadi, hanno intonato canti per chiedere la pace.
La marcia è stata un’occasione per chiedere alle autorità pubbliche di occuparsi della questione e soprattutto un modo per dire al mondo che qui le persone muoiono, ma le loro grida vengono messe a tacere. È urgente prendere sul serio questa situazione perché il male è diventato profondo.
È tempo che tutti, ciascuno nel proprio ambito, facciano la loro parte per porre fine a questo conflitto; è tempo che coloro hanno in mano la regia del conflitto, perché ce ne sono, pensino per un solo momento a tutte le persone uccise e agli uomini, alle donne e ai bambini che ora non hanno più nulla; è tempo che le tribù in conflitto ricordino la loro storia di fratellanza per ricostruire un modo armonioso di vivere insieme.
La pace non ha prezzo e “solo per essa vale la pena di lottare” – come disse un poeta.
Les Catholiques de Kisangani dans les rues
Depuis février 2023, un conflit foncier oppose les communautés Lengola aux Mbole dans la commune urbano-rurale de Lubunga, à Kisangani. Ville située aux abords du fleuve Congo, Kisangani est le chef-lieu de la province de la Tshopo dans la Grande-Orientale de la République Démocratique du Congo.
C’est une histoire de deux peuples frères qui, pendant des siècles vivaient ensemble, se mariaient et donnaient des enfants, aujourd’hui s’entretuent. Et la pierre d’achoppement est la terre puisqu’il faut le dire, l’homme, c’est sa terre. Il s’identifie à elle entendu qu’il en a attaché. En effet, les membres d’une tribu accusent les autres d’avoir vendu leur terre à une société multinationale. Que cela soit un prétexte ou non, une chose est vraie : une société s’est accaparé de plus de mille cinq cents hectares des champs de paisibles cultivateurs. Ceci est un fait. Et à la suite, des frères ont commencé à se regarder en chiens et chats ; la haine a pris de l’ascenseur ; ils sont devenus des frères-ennemis.
Depuis lors, plus de cinq cents personnes ont été lâchement tuées à la machette et des milliers de ménages ont quitté leurs cases. Des images horribles font couler des larmes : des corps décapités, des femmes éventrées, des enfants malnutris, des cases incendiées… Des milliers de personnes cantonnées les unes dans des sites et les autres dans des familles d’accueil font face à la promiscuité, à la faim, aux intempéries, aux mauvaises conditions d’hygiène. Et face tout ceci, comme toujours, les autorités politiques brillent par leur silence. Tout se passe comme s’il s’agissait d’une bagarre entre les gamins autour d’une assiette de nourriture. Pourtant, des gens en meurent et beaucoup d’autres sont plongés dans la précarité.
Seuls l’Eglise catholique, quelques organismes des droits humains et des personnes de bonne volonté tentent désespérément de palier à cette situation. A travers la Caritas diocésaine qui mobilise certains dons, l’Eglise essaie de soulager tant soit peu des déplacés qui manquent pratiquement de tout.
Comme la situation va de mal à pis, ce samedi 25 mai 2024, l’archidiocèse de Kisangani a organisé une marche pacifique avec comme point de chute le gouvernorat provincial. On pouvait voir des chrétiens venus de toutes les paroisses, des prêtres et religieuses et à la tête, Monseigneur Léonard NDJADI, évêque auxiliaire, scandant des chants pour demander la paix. Cette marche a été une occasion d’interpeller l’autorité publique afin qu’elle se penche sur la question et surtout une manière de dire au monde que les gens meurent par ici mais leurs cris sont étouffés. Il urge que cette situation soit prise au sérieux puisqu’en fait, le mal est devenu profond. Il est temps que chacun à son niveau mette la main dans la pâte pour que ce conflit cesse ; il est temps que les tireurs de ficelle, puisqu’il y en a, pensent un seul instant à toutes ces personnes tuées et à ces hommes, femmes et enfants désormais dépourvus de tout ; il est temps que les tribus en conflit se rappellent leur histoire de fraternité afin de reconstruire un vivre-ensemble harmonieux. Puisque d’aucuns n’ignorent, la paix n’a pas de prix, et “seule, elle mérite qu’on se batte pour elle”, comme le disait un poète.
La più lunga causa civile della storia del mondo, forse, è quella tra i comuni di Borbona e Posta, negli Abruzzi, per la attribuzione di una valle di pascolo al confine. Il contenzioso è iniziato nel 1300 ed è continuato con astio di ricorsi e controricorsi, (tutti consultabili nell’archivio di Stato di L’Aquila) per 650 anni, sino al 1960 quando il procedimento è decaduto senza né vinti né vincitori terminando l’interesse dei contendenti contemporaneamente al termine del grande fenomeno economico della pastorizia per la produzione della lana se ormai, ( inducendo i millenari pastori a trovarsi un altro impiego) in quel periodo la nuova industria del petrolio era divenuta soverchiante per l’ingresso delle fibre sintetiche a minore costo, che ora quasi tutti indossiamo.
Non si può essere aprioristicamente contro le multinazionali, perché, con l’avvento della moderna e potente meccanizzazione agricola in sterminati appezzamenti riescono a produrre abbondanza di cibo, in specie cereali legumi ed altri prodotti di base, a costo accessibile anche per le nazioni povere talché in questi ultimi decenni è enormemente diminuita la problematica della fame nel terzo mondo. Ciò però con la ripercussione che i contadini tradizionali che lavorano con metodologie medievali possono proporre i loro prodotti ad un prezzo di mercato almeno 10 volte spropositato al valore di mercato senza perciò possibilità di competizione. Certamente in Italia si sono revertiti verso una agricoltura intensiva, di qualità specializzata per il segmento gourmet e per la culinaria di costo più elevato, e questo dovrebbe essere un esempio da seguire, ma in ciò si dovrebbe riconoscere che le multinazionali agricole (e non solo) non sono un fenomeno negativo e non bisognerebbe, con migliore apertura mentale, arrivare a questi livelli per la difesa di poco terreno rurale che, in effetti, oggigiorno, non vale più molto.