Congo: crisi nelle carceri

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La notte tra domenica 1 e lunedì 2 settembre è stata un incubo nel carcere di Makala, il più grande della Repubblica Democratica del Congo. In pratica, è stato segnalato un tentativo di evasione di massa in questa prigione.

Le ragioni e le circostanze sono ancora sconosciute, ma il bilancio provvisorio è già considerevole. Le autorità congolesi, attraverso il Ministero degli Interni, riferiscono della morte di almeno 129 prigionieri – 24 dei quali sono stati fucilati dopo essere stati catturati. “Gli altri [sono morti a causa di] colluttazioni, soffocamento e diverse donne sono state violentate” – ha dichiarato il ministro dell’Interno Jacquemain Shabani in una dichiarazione video rilasciata alla stampa.

Secondo diverse fonti indipendenti, il pesante bilancio umano è stato deliberatamente minimizzato dalle autorità. Sebbene si sia fatto riferimento a interruzioni di corrente, il ministro della Giustizia, Constant Mutamba, ha denunciato “atti premeditati di sabotaggio” e ha assicurato alla stampa che “le indagini [sono] in corso”.

Il Ministero dell’Interno ha inoltre dichiarato che 59 prigionieri sono stati feriti negli eventi e “deplora l’incendio degli edifici amministrativi, della cancelleria, dell’infermeria e dei depositi di cibo”.

Le reazioni non si sono fatte attendere, denunciando l’ecatombe umana e la banalizzazione della vita umana da parte del regime al potere, insieme alla mancanza di professionalità delle guardie di sicurezza.

La Conferenza episcopale nazionale del Congo (CENCO) è stata una delle più esplicite. In una dichiarazione rilasciata dal suo segretario generale, monsignor Donatien Tshole, i vescovi hanno condannato con forza gli eventi.

“Noi, cardinali, arcivescovi e vescovi della CENCO, non resteremo mai in silenzio fino a quando il popolo congolese non godrà pienamente del diritto alla vita e del rispetto della propria dignità” – hanno affermato nella loro dichiarazione.

Hanno inoltre insistito sulla santità della vita umana, ricordando che “ogni essere umano, compreso il prigioniero, creato a immagine di Dio, deve essere promosso e rispettato”. Hanno inoltre invitato il governo a rispettare gli impegni assunti, in particolare per quanto riguarda la costruzione di nuove carceri per prevenire incarcerazioni illegali e alleviare il sovraffollamento delle carceri esistenti.

Nel complesso, questi eventi sollevano seri interrogativi sul sistema giudiziario congolese. Non molto tempo fa, il presidente della Repubblica, Félix Tshisekedi, ha affermato che “la giustizia in Congo è malata”.

In effetti, in un contesto in cui le sentenze spesso non sono trasparenti, tutte le carceri del Paese sono praticamente sovraffollate, come nel caso di Makala, costruita inizialmente per 1.500 persone ma che oggi ne ospita più di 7.000 in condizioni praticamente disumane, è necessario adottare misure coraggiose per decongestionare il sistema e depurarlo, minato dalla corruzione e dal traffico di interessi.

  • In collaborazione con la rivista africana Je écris, Je crie.

Tentative d’invasion à la prison centrale de Makala à Kinshasa

La nuit du dimanche 1ᵉʳ au lundi 2 septembre, a été cauchemardesque dans la prison de Makala, la plus grande de la République Démocratique du Congo. A la base, une tentative d’évasion massive a été signalé dans cette maison carcérale. Les raisons et les circonstances demeurent encore inconnues, mais le bilan provisoire est déjà considérable. Les autorités congolaises, par le biais du Ministre de l’Intérieur, font état de la mort d’au moins 129 détenus, dont 24 par balles, après sommation. “Les autres [sont morts des suite d’une] bousculade, par étouffement, et plusieurs femmes ont été violées” a précisé le ministre de l’intérieur, Jacquemain Shabani, dans une déclaration vidéo transmise à la presse.

Le lourd bilan humain que, selon plusieurs sources indépendantes, serait réduit et sciemment minimisé par les autorités. Si des coupures d’électricité ont été évoquées, le ministre de la justice, Constant Mutamba, a dénoncé des “actes de sabotage prémédités” et a assuré que “des enquêtes [étaient] en cours”. Le ministère de l’intérieur précise également que 59 prisonniers ont été blessés dans les événements et “déplore l’incendie des bâtiments administratifs, du greffe, de l’infirmerie et des dépôts de vivres”.

Les réactions n’ont pas tardé de s’élever dénonçant un carnage humain et une banalisation de la vie humaine de la part du régime en place couplés au manque de professionnalisme des agents de sécurité. Parmi ces réactions, figure celle de la Conférence Épiscopale Nationale du Congo (CENCO) qui n’est pas allé sur le dos de la cuillère. Dans une déclaration publiée par son Secrétaire Général, Monseigneur Donatien Tshole, les évêques condamnent avec énergie ces événements. ” Nous, Cardinaux, Archevêques et Évêques membres de la CENCO, ne nous tairons jamais tant que le peuple congolais ne jouira pas pleinement du droit à la vie et du respect de sa dignité”, ont-ils affirmé dans leur communiqué. Ils ont également insisté sur le caractère sacré de la vie humaine, rappelant que “tout homme, y compris le prisonnier, créé à l’image de Dieu, doit être promu et respecté”. Ils ont par ailleurs appelé le gouvernement à honorer ses engagements, notamment en ce qui concerne la construction de nouvelles prisons pour éviter des incarcérations clandestines et désengorger les établissements pénitentiaires existants.

Tout compte fait, ces événements poussent à poser des sérieuses sur l’appareil judiciaire congolais. Déjà il y a peu, le Président de la République, Félix Tshisekedi affirmait que la “justice du Congo est malade”. En effet, dans un contexte où nombreux de prévenus ne sont pas condamnés et dont certains y sont pour des faits bainins, un contexte où toutes les prisons du pays sont quasiment surpeuplées, le cas d’espèce étant celle de Makala initialement construite pour mille cinq cents personnes mais qui aujourd’hui héberge plus de sept milles dans des conditions pratiquement inhumaines, il urge des mesures courageuses soient prises pour les désengorger et épurer le système miné par la corruption et le traffic d’influence. Bref, ce fait montre qu’il y a encore beaucoup à faire.

  • En collaboration avec le magazine africain Je écris, Je crie.
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