Finalmente è successo qualcosa che ci aiuta a pensare che non esistiamo solo noi. Verrebbe proprio da dire così, perché i nostri problemi – Covid 19, economia perennemente in crisi, aumento della povertà, scuola, lavoro… – stanno monopolizzando la scena mondiale, e nemmeno le guerre ci fanno più aprire gli occhi sul mondo.
I telegiornali e la stampa hanno raccolto ipotesi sul movente dell’assassinio dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio e del carabiniere Vittorio Iacovacci; quasi sempre con mentalità occidentale hanno parlato, tra l’altro, di banditismo, di lotte tribali, di ribelli, di frange di eserciti regolari, di conquista o di difesa di territori ricchi in coltan, oro, uranio, diamanti… tutte ipotesi. Forse anche realistiche, ma certamente legate tra loro, e fortemente saldate dall’unico e sovrano elemento, il denaro.
Per accaparrarsi la ricchezza di quelle regioni è necessario creare paura, divisione, diffidenza, armare la gente e armarsi. Alla fine si corre il rischio di non sapere nemmeno quale sia l’obiettivo ultimo per il quale ci si ammazza.
Non si sa nemmeno perché chi, fino a ieri, era tuo pacifico vicino, oggi è un nemico da temere e da eliminare. Non lo si sa. È la strategia di chi vuole il territorio libero, di chi, forse, afferma che quei “selvaggi” hanno perso la testa e si scannano tra di loro.
Qui si aprirebbe un discorso molto lungo, sui rapporti tra l’Africa e il resto del mondo, sui modi di fare cooperazione, sulla sincerità di questa cooperazione, sugli sproporzionati o illegali ritorni che essa esige, sulle pericolose presenze di armi e armamenti che l’accompagnano…
Un discorso che si tenta di fare ogni volta che laggiù succede qualcosa di strano. Di strano perché ci tocca da vicino, e questa volta tocca persone buone, generose, desiderose di capire meglio quella gente e quella realtà per trovare il modo meno umiliante e più fraterno per aiutarle. Purtroppo, laggiù questo non è strano. È maledettamente normale.
Non dobbiamo continuamente mettere in discussione la cooperazione. Dobbiamo renderla più sincera, più equa, almeno ugualmente vantaggiosa ai differenti partner. Con le ricchezze naturali il Congo può svilupparsi in tutti i settori fondamentali della società: istruzione, salute, alimenti, democrazia… Questo non succede perché l’anello che dovrebbe congiungere l’autorità politica al popolo si è rotto.
Perché la politica non è servizio, ma modo per arricchirsi, e la corruzione aiuta questo sistema a mantenersi. Le ricchezze di un popolo sono diventate ricchezze di pochi. In questo senso, l’ambasciatore Luca stava dicendo che è possibile che la politica ridiventi servizio, anello che permette al popolo di godere delle ricchezze del paese. Luca non si sentiva solo ambasciatore, ma anche cooperante, volontario.
Qualche domanda
Sono stati fatti numerosi studi, costruite tante mappe dei gruppi cosiddetti ribelli dell’Africa centrale, si crede di aver capito qualcosa, ma la situazione non cambia. Forse è il caso, se non è già troppo tardi, di porsi qualche domanda; prima fra tutte, se conosciamo veramente qualcosa di quella regione, di quella gente.
Dobbiamo interrogarci sulla nostra tendenza, a volte non tanto nascosta, di considerare quelle popolazioni inferiori a noi. In Congo, inoltre, non ci sono fabbriche di armi. Da dove vengono allora? Quali sono le condizioni che poniamo per mettere in moto la cooperazione?
Certamente in questi giorni ci siamo complimentati con i paesi occidentali che hanno messo a disposizione dei paesi più poveri un bel gruzzolo di soldi per i vaccini anti-Covid 19. Bene! Ma perché non si mette il pacchetto anche per la ricerca di un vaccino per la malaria, più mortale di qualunque altra malattia?
È triste dover ricordarsi della situazione terribile di tanta gente solo in questi brutti avvenimenti come la morte dell’ambasciatore Luca, di Vittorio e di Mustapha, ma almeno facciamo in modo che queste morti ci aiutino a cambiare qualcosa in loro favore.
In questi giorni ricorre il 50º dei moti di L’Aquila che noi ragazzini vivemmo direttamente perché eravamo studenti al Convitto DomenicoCotugno proprio in centro città dove avvenivano gli scontri. Ebbene già in quegli anni venivano fatti tornare dal Congo ragazzi a scuola,se vi era una consistente emigrazione dai paesi della provincia aquilana in quella nazione, perché a causa dei conflitti era pericoloso vivere. Quindi gli adulti restavano per il lavoro ed i loro interessi e rischiavano,mentre i figli li facevano rientrare in Italia. I problemi e le turbolenze del Congo sono fenomeni antichi mai evidentemente risolti.