Quando finisce in galera un uomo che è stato per trent’anni Governatore della banca centrale di un Paese vuol dire che sta succedendo qualcosa, o che qualcosa non deve accadere. E questo è quanto avvenuto ieri a sorpresa a Beirut con l’arresto di Riad Salameh.
Il fatto è misterioso: come mai finisce in galera proprio adesso il banchiere eterno del Libano? Se lui parlasse crollerebbe tutto, assicurano in tantissimi. Possibile che lo arrestino? Lui sa tutto di una devastazione che vede tutti complici da trent’anni. E questa devastazione ha ridotto alla miseria una vasta parte del Paese.
Ma l’impressione di un avvocato libanese intervistato proprio in queste ore dal principale quotidiano francofono (L’Oriente le Jour) è che l’arresto del custode di 30 anni di segreti indicibili serva ad assolverlo dal singolo caso per il quale è stato accusato e quindi uscire presto. E a cosa servirebbe? Lui non lo dice, ma forse, si può immaginare, a favorire tra i litiganti un accordo non sulla guerra, ma sulla presidenza.
Lo arrestano adesso per una storia di 40 milioni di dollari per assolverlo e chiudere un caso di cui nessuno si ricordava da quando lui, inquisito in Francia, è uscito di scena? È un’ipotesi, curiosa ma accreditata, che circola. Ma serviva portarlo proprio in gattabuia?
Una decisione del genere è molto, molto strana – anche perché non c’è il potere politico che in un Paese come il Libano avrebbe dovuto avallarla. Il capo dello Stato infatti non c’è, da due anni: vacante, come il governo, essendo quella una Repubblica presidenziale e così quello in carica ha competenza solo per gli affari correnti. Un arresto simile non è certo un “affare corrente”. Vacante è anche la banca centrale, la Banca del Libano: solo il capo dello Stato può sostituire il dimissionario Salameh, ma il Presidente non c’è e così anche a guidare la Banca del Libano c’è solo un reggente.
L’ultima volta che i libanesi ci sono riusciti, a eleggere un capo dello Stato in un Parlamento spaccato come un melone e governato a proprio piacimento dall’eterno Nabih Berri, il novantenne alleato di sempre di Hezbollah, risale a otto anni fa, pochi giorni prima dell’elezione di Donald Trump. Anche allora si aspettava la fumata bianca da tantissimo tempo. Sarebbe stato il voto americano e l’incubo Trump alle porte a spingere tutti ad accordarsi sul candidato preferito da Hezbollah. Oggi potrebbe succedere lo stesso? Chissà.
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Il capo delle Forze Libanesi, formazione cristiana acerrima nemica di Hezbollah, poco ore prima della notizia shock, li ha infatti attaccati con i termini più duri sulla guerra, dicendo fondamentalmente che loro hanno tolto ai libanesi il diritto di decidere sulla guerra e sulla pace. Decide tutto Hezbollah, come se lo Stato non esistesse, ha detto. E in effetti le cose sembrano stare proprio così. Ma al termine di questa allocuzione di fuoco Samir Geagea ha detto che dopo l’elezione del nuovo capo dello Stato, se ci si accordasse, si potrebbe anche discutere di quelle riforme costituzionali che Hezbollah invoca da anni.
Un’apertura sorprendente, impensabile, visto che parliamo degli accordi interconfessionali che hanno posto termine alla guerra civile nel 1990 e tenuto insieme il Libano fino ad a oggi. In ballo, di tutta evidenza, c’è anche l’accordo per cui il Parlamento, a prescindere dal peso delle singole comunità, è costituito al 50% da cristiani e al 50% da musulmani suddivisi tra le varie comunità.
Hezbollah, riferendosi non a un principio di partenariato ma di peso reale delle comunità, propone sistema molto diverso: 30% di sunniti, 30% di cristiani, 30% di sciiti. Le eterne, frontali divisioni dei cristiani renderebbero impossibile una maggioranza contro Hezbollah, come anche la frantumazione del campo sunnita, evidente dall’uscita di scena della famiglia Hariri. A saltare sarebbe il punto più importante del criticabile confessionalismo libanese: cioè che non ci si pesa numericamente, le due grandi famiglie sono tali e pari, a prescindere dai numeri. Hezbollah è più empirica, diciamo così.
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L’apertura di Geagea è comunque importante, ma difficilmente realizzerà il sogno di chi prevedeva un sistema, consentito dall’attuale Costituzione ma mai preso in considerazione, che dà tutti i diritti agli individui e tutte le garanzie alle comunità. È un sistema che prevede la costituzione di partiti politici interconfessionali, tipo destra e sinistra, per eleggere la camera Bassa; e liste confessionali per un Senato dove vigerebbe la divisione al 50% tra musulmani e cristiani. Sarebbe la rinascita del vecchio Levante, ma nessuno ci penserà.
Con le elezioni americane, le speranze e le paure dei protagonisti sembrano tornare a decidere molte cose. Oggi Hezbollah, che teme come il fumo negli occhi la vittoria di Trump, non sembra in una posizione scomoda come ieri. Ma l’arresto di Salameh andrà risolto in pochi giorni, la legge ne consentirebbe quattro o cinque. Dunque qual è il calcolo? C’è?
Certo le sorprese giunte in poche ore sono tante: si va dall’arresto dell’uomo che ha fatto tutto e sa tutto su tutti da 30 anni, anni incredibili, all’apertura che sembrava impensabile da parte del leader cristiano più nemico di Hezbollah. Non dico cosa penso perché non lo so neanche io. Certo l’avvicinarsi del voto americano e l’accavallarsi dei due eventi mi sembrano fatti indiscutibili. Collegati?