Ieri Gaza è stata definita «inabitabile» dall’ONU: riporto l’aggettivo sul diario, alla lettera.
Mi chiedo, perciò, se sia rigoroso parlare di guerra tra Israele e Hamas: sono tutti di Hamas a Gaza? Fa parte di Hamas anche quella larga maggioranza di popolazione palestinese di Gaza che, in un sondaggio precedente il 7 ottobre, bocciava la gestione di Hamas, indicando la soluzione due popoli per due Stati come la migliore?
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Per me Israele ha commesso un grave errore, perché io sostengo la tesi della risposta di intelligence, con obiettivi mirati, piuttosto di questa cosa che prosegue la cosiddetta «guerra al terrorismo» ideata da Bush dopo l’11 settembre. Dunque, ritengo che la «guerra al terrorismo» sia sostanzialmente errata, così come erroneo è stato credere alla guerra contro il terrorismo dell’ISIS da parte di Assad, quando quella vera è stata condotta da curdi e americani. Non seguiva il format della «guerra al terrorismo», tanto che i curdi la guidavano.
Nel caso di Gaza il problema è che si scambia una parte per il tutto: Hamas è una parte, non il tutto. Nomina sunt consequentia rerum: i nomi sono conseguenze delle cose.
Ricordando da vicino ciò che è avvenuto in Siria, dovremmo ora concludere che quella presunta «guerra al terrorismo» abbia cambiato il corso della valutazione storica nell’età contemporanea: ciò che non lo era, è diventato accettabile, presso la Comunità internazionale, anche in Occidente, sebbene mai–- pubblicamente – ammesso, perché inammissibile. Quella di Assad è stata una pulizia etnica a danno dei sunniti in quanto tali. Erano la maggioranza assoluta.
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In questi giorni, il World Food Programme ha deciso di dimezzare – da 5 a 2,5 milioni di indigenti siriani – il programma di assistenza alimentare dedicato: non è questo, forse, l’esito, evidentemente mai dichiarato pubblicamente da alcuno, di consentire l’eliminazione di un popolo? Solo una voce di denuncia si è levata, l’altro ieri, quella del vescovo di Homs, Jaques Mourad, già prigioniero dell’ISIS (qui la sua storia) e ora, da vescovo, difensore dei diritti civili di tutti i siriani, cristiani e musulmani che siano.
La decisione del WFP è già operativa e deriva da un fatto semplice: mancano i donatori internazionali. Dunque, anche i governi dei Paesi arabi, comprese le ricchissime petromonarchie – quelle che hanno riaccolto tra le loro fila Assad nella Lega Araba – non sono disponibili a cacciare quattrini per mantenere, almeno in vita, i milioni di siriani che sono ammassati nei campi profughi del nord ovest della Siria, l’angolo in cui li ha cacciati il regime siriano!
E l’Europa? Dopo averne sperperati tantissimi – di soldi – per consentire a Erdogan di trattenere, in modo forzoso, in Turchia, i siriani sfuggiti alla carneficina di Assad –- altri 2 milioni (almeno) di siriani tenuti in vita a pane e acqua nei campi turchi – non ha più soldi per questo?
E gli Stati Uniti non possono che omologarsi e fare in Siria ciò che hanno già fatto in Afghanistan e altrove, cioè ritirarsi, oltre che dal terreno, da ogni responsabilità?
Come può accadere che tutto questo passi sotto silenzio, dopo che, dalla Siria, è stato eliminato e/o espulso più del 50% della popolazione preesistente l’anno 2011, quando Assad iniziò a soffocare, sul nascere, la primavera sognata dal suo popolo?
Una parte della risposta – ma determinante – alle tante angosciate domande, risiede nella definizione giustificante che è stata data, già a suo tempo: si tratta della guerra tra Assad e l’ISIS, si tratta della guerra assoluta al terrorismo, per cui tutto è passato in secondo piano. E Assad ha potuto trattare ogni sunnita come un terrorista, con la scusa dell’ISIS.
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Senza ripetere ancora, la storia della guerra in Siria, vado verso la mia conclusione di pagina: non c’è mai stata una vera guerra di Assad contro l’ISIS e contro il terrorismo, bensì c’è stata l’operazione di pulizia etnico-confessionale realizzata da Assad e legittimata dalla follia, ben orchestrata, dell’ISIS. Tanti, troppi, hanno creduto e credono ancora a quella narrazione, per ignoranza invincibile ovvero per interesse. Sotto gli occhi, ecco i risultati: eliminare la primavera ha significato eliminare una nuova politica che poteva portare alla pace.
Il terrorismo di Hamas, infatti, non è un prodotto di laboratorio in cui i tanti mestatori del pantano mediorientale hanno concentrato le loro trame. Hamas è l’esito islamista, eretico, di ferite antiche, oltre che di complicità da ricercare nel dispotismo dei regimi arabi. Dunque, solo un’altra politica può sconfiggere Hamas.
Le storie sono molto diverse. Il pogrom criminale del 7 ottobre ha, di fatto, consolidato la tesi dell’estrema destra israeliana e liberato la sua volontà di prendersi tutta la terra. Ma volersi mettere legittimamente in sicurezza rispetto ad Hamas è una cosa, volersi sbarazzare dei palestinesi è ben altra cosa.
La tesi della destra israeliana – pubblicamente espressa – è ora sempre più avversata, specie col passare delle settimane e dei giorni, da molti degli stessi ministri israeliani, dagli Stati Uniti e dall’Europa, oltre che dai governi arabi. Ora tutti questi soggetti – esterni a Israele, con la non trascurabile, benché parziale, eccezione degli Stati Uniti – hanno poca credibilità presso tutta la Comunità internazionale, proprio perché hanno perso credibilità nella vicenda siriana: e la perderanno definitivamente, se lasceranno pure morire di fame i siriani!
Sì, torno al vecchio punto: se si fosse trovato, allora, da parte occidentale, il coraggio, insieme alla lungimiranza, di difendere le ragioni delle primavere arabe, le ragioni della ricerca della democrazia, della pace e del benessere in Siria così come in tutti i Paesi in cui si era acceso l’anelito, non avremmo ora sotto gli occhi tutti questi orrori: quella era la vera alternativa politica ai signori del terrorismo! Ma non si è data.
Disegno un ultimo lampo su questa pagina: perché il pogrom di Hamas è stato condannato in ritardo da tanti, dispotici, leader arabi? In fondo, detestano Hamas! Ma non hanno mai avuto e non hanno una politica alternativa per la tragedia palestinese, semplicemente perché temono − fondatamente − la democrazia araba.
Sanno, quindi, solo proporre una pace contro, non per. Ad esempio, continuano a tenere per interlocutore Assad, uno che andrebbe portato a Norimberga. Solo la primavera, tradita dall’Occidente e dai governi arabi, avrebbe offerto un interlocutore capace di cambiare il Medio Oriente. E così avviare a soluzione il problema israelo-palestinese.
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