La prima cosa che ho da segnalare sulla pagina di questo diario è che La Corte Internazionale dell’Aja non ha archiviato il caso sollevato dal Sudafrica con l’accusa di genocidio per Gaza. Non era scontato.
Quella che è stata emessa però non è una sentenza, ma una raccomandazione «provvisoria», in attesa che i giudici possano formulare un giudizio, nell’urgenza della crisi umanitaria in atto: Israele «deve garantire che le sue forze armate non commettano un genocidio». Sono le parole usate dalla Presidente della Corte, la giudice Joan Donoghue. Così la Presidente ha richiesto che entro un mese le autorità competenti le inviino relazioni in merito.
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La Corte, dunque, non ha «imposto» il cessate il fuoco immediato, come auspicato dal Sud Africa. Mentre ha altresì richiesto il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi israeliani.
Questi i punti fondamentali dell’autorevole pronunciamento, così come affiorano dai tanti sommari dedicati dalla stampa internazionale, in queste poche ore intercorse dalle decisioni «provvisorie».
Noto che dei 17 giudici 15 hanno votato a favore. Ritengo significativi un paio di passaggi del dispositivo letto in aula. Li trovo riferiti tra virgolette dalla stampa britannica.
Il primo: «La Corte ritiene che Israele debba adottare misure nell’ambito del suo potere per prevenire e punire l’incitamento diretto e pubblico a commettere genocidio nei confronti dei membri dei gruppi palestinesi nella Striscia di Gaza».
Il secondo: «La Corte ritiene inoltre che Israele debba adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari per affrontare le condizioni di vita avverse dei palestinesi nella Striscia di Gaza».
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Seguendo l’attualità, dovrei ora scrivere di ciò che di ulteriormente grave si prospetta nel proposito israeliano di schierare i propri soldati nel Corridoio Filadelfia – un sottile passaggio lungo il confine tra Gaza ed Egitto – che i precedenti accordi di pace tra Israele ed Egitto prevedono smilitarizzato. Il governo Netanyahu è convinto che da là – o là sotto – transitino ancora armi per Gaza e chiede (o esige) quindi di poterlo presidiare: il «no» egiziano si è già fatto sentire, rabbioso; si parla di grande tensione tra i due Paesi.
Voglio invece tornare alla valutazione «storica» di ciò che è avvenuto oggi. Sappiamo che questa non è stata certo la prima volta, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in cui si è sentita circolare l’accusa di genocidio. I casi, purtroppo, non sono pochi. In questo c’è stato un pronunciamento dell’Alta Corte. vedremo la sentenza quando ci sarà. Ma mi chiedo e chiedo: se altre volte la Comunità internazionale si fosse pronunciata, si sarebbe potuto determinare un diverso corso della storia?
Certamente dobbiamo considerare che la Corte si può esprimere – così come ha assicurato che farà – e con tali «poteri» solo dal 2002.
Cosa avrebbe significato e prodotto un pronunciamento sul governo serbo, con i suoi alleati, nel tempo dell’assedio di Sarajevo, sull’intento di un genocidio? Quella guerra è avvenuta prima del 2002, ma una Corte Permanente comunque c’era!
Faccio un altro esempio, posteriore al 2002: il caso siriano, che nessuno ha imputato quale caso di genocidio. Se non lo è stato, non so cosa sia il genocidio.
Terzo esempio: il caso dei Rohingya. Sarebbe cambiato il loro destino di popolo perseguitato sin dal 2016? Di loro sembra essersi ricordato soltanto papa Francesco. E ancora se ne ricorda.
Le tante domande sono da ricondurre, in fondo, ad un’unica domanda: perché, dopo la caduta del muro di Berlino – con tutto ciò che quel crollo ha significato – non si è creato un nuovo ordine internazionale, molto più rispettoso dei diritti dei popoli, tanto da non aver bisogno neppure più di usare la parola genocidio – e se sì – di riconoscere subito ogni genocidio e condannarlo? Secondo me, sarebbe stato possibile allora: una occasione storica!
Ma non è andata, evidentemente, così. Inutile pensarci, mi dico. Ma, dentro di me, aggiungo: ma si è ancora tempo? Oggi siamo qui a valutare l’efficacia dell’uso di uno strumento almeno: quello della Corte Internazionale.
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Colpisce una concomitanza temporale. E forse non solo temporale. Nelle ore immediatamente precedenti il pronunciamento della Corte, è affiorata la notizia di un possibile, positivo, sviluppo dei negoziati tra Israele e Hamas, con al centro, l’ipotesi del rilascio di tutti ostaggi israeliani sopravvissuti. Si tratta di un esito del tutto indipendente, ovvero vi ha concorso l’effetto del lavoro dell’Alta Corte?
Naturalmente, per ragionevolezza, propendo per la prima ipotesi. Ma resto «inguaribilmente» convinto – di convinzione ideale – che sia ora il momento, più che mai, di rinnovati strumenti politici capaci di dare sostanza ad un ordine multipolare in cui non può essere unicamente il peso dei grandi protagonisti «imperiali» a deciderne le sorti del mondo. Le grandi potenze seguiteranno ad esistere e sarebbe illogico e ingiusto non considerarle tali, ma serve un nuovo multipolarismo.
Poche ore fa, mentre la Corte annunciava l’esito di un confronto interno – immagino – affatto semplice, i giornali libanesi hanno pubblicato, con gran risalto e vanto, il profilo del concittadino che vi ha contribuito dal proprio scranno, all’Aja, Nawaf Salman, ricordando come molti, in Libano, lo abbiano spesso indicato quale perfetto primo ministro del Paese, quello infatti che nessuno ha mai voluto nominare: un esempio di autorevolezza morale di cui il mondo multilaterale avrebbe un gran bisogno. È la testimonianza che, a volere, le persone giuste si trovano.
Ma, mentre ricevo un po’ di luce da questo pensiero, sprofondo nel buio della notizia di «politica» internazionale che informa della riapertura della ambasciata saudita nella Siria di Assad, il criminale internazionale, riabilitato che, certamente, dovrebbe essere portato alla sbarra dell’Aja.
Nel Documento sulla Fratellanza Umana firmato da papa Francesco e dal Grande Imam di al-Azhar, Ahmad al Tayyeb, c’è scritto: «Questa Dichiarazione, partendo da una riflessione profonda sulla nostra realtà contemporanea, apprezzando i suoi successi e vivendo i suoi dolori, le sue sciagure e calamità, crede fermamente che tra le più importanti cause della crisi del mondo moderno vi sia una coscienza umana anestetizzata…».
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