Un articolo molto interessante è apparso in questi giorni sulle colonne di Arab News, giornale saudita con sede a Londra. Voglio metterlo sul diario. Perché parla di un problema enorme e consente di cogliere le potenzialità di una possibile novità.
Arab News è un giornale “aperto” a diversi contributi, non riconducili ai palazzi del potere. Tra le firme più importanti c’è quella della libanese Baria Alamuddin, che non è giusto ricordare soltanto quale madre dell’attuale consorte di George Clooney. È, infatti, una firma famosa in tutto il mondo arabo e non solo, soprattutto per il suo appassionato impegno per i diritti umani: quelli delle donne arabe in particolare.
In un articolo su di lei, Vanity Fair ha ricordato che ha intervistato Hosni Mubarak, Re Hussein di Giordania, Tony Blair, Bill Clinton, Margaret Thatcher e Fidel Castro. Sicuramente è un’araba tra il radical e il liberal, capace di dire cose molto critiche di Israele, ma anche dei suoi acerrimi nemici.
Di questi si occupa nel suo ultimo articolo partendo da una constatazione e da una considerazione.
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La constatazione è questa: Il capo del Comando Centrale USA (in Florida), Gen. Michael Kurilla, ha avvertito la scorsa settimana i suoi senatori che Teheran ha tutti i gruppi miliziani suoi alleati mobilitati nella regione, determinando così «una convergenza tra le crisi» e una situazione – la più instabile degli ultimi 50 anni – con le forze statunitensi e la navigazione globale tra gli obiettivi principali di tutte queste milizie che si definiscono di «resistenza». Insieme, infatti, si chiamano il «fronte della resistenza».
La sua considerazione conseguente – molto interessante – è questa: a chi si oppongono con la loro resistenza questi miliziani alleati di Tehran? I miliziani iracheni come gli yemeniti – gli Houti dei quali tanto si parla – non hanno quasi mai incontrato un vero israeliano, tanto meno ne hanno combattuto uno, quindi vantarsi di resistere all’occupazione sionista, per loro, non ha senso. Nonostante la retorica e le sciabolate, nulla di ciò che queste milizie hanno fatto ha minimamente aiutato la popolazione di Gaza: «ma a loro che importa?». Vale la pena procedere nella lettura.
L’articolo ricorda che alla loro testa c’è la milizia libanese di Hezbollah, della quale non si possono certamente dire le stesse cose: ma all’inizio si presentava come un gruppo dell’agenda libanese, ora, invece, ha un raggio d’azione regionale, più vasto.
L’articolo ci mette a parte di una tendenza presente tra i miliziani iracheni sostenuti da Teheran: vorrebbero fare dell’Iraq uno «Stato di Resistenza». Argomento di cui l’autrice conosce molto, avendo scritto il volume Lo Stato Milizia. Cita una studiosa della radicalizzazione, Inna Rudolf, per la quale «gli architetti dello Stato di Resistenza in Iraq optano per una formula onnicomprensiva», perseguendo il dominio dei settori: sociale, politico, militare ed economico.
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L’idea – racconta Baria Alamuddin – sarebbe quella di creare un blocco di Stati sotto influenza iraniana – possiamo dire, per capire, Libano, Siria, Iraq e Yemen – che commerciano tra loro e allineano i loro interessi a quelli di Teheran. In questo modo Teheran si proteggerebbe dalle sanzioni occidentali cercando di essere la forza preminente nella regione. Emerge un nuovo fattore: il fronte della resistenza in funzione dell’economia.
Questo articolo ci ricorda dunque la catastrofe economica che sta travolgendo Yemen, Libano, Iraq e Siria, ove sta crescendo un’economia segreta, con sue istituzioni finanziarie e soprattutto col monopolio della droga.
Torniamo al testo: «Nel frattempo, questi Stati satellite diventano sempre più isolati dal mondo arabo circostante, poiché queste forze paramilitari hanno esercitato una forte pressione contro qualsiasi investimento o impegno diplomatico da parte degli Stati del Golfo e degli Stati arabi che potrebbe alleviare lo stato di bancarotta finanziaria e morale degli Stati di resistenza».
L’articolo è dedicato alle milizie, soprattutto alle trascurate milizie irachene penetrate nello Stato, ma per capire bene il discorso occorre ricordare che è loro alleato anche il presidente siriano Assad, di per sé escluso dal discorso, perché lui non è a capo di una milizia.
Bisogna, dunque, ricordare che Hezbollah, di fatto, controlla il Libano e gli Houti gran parte dello Yemen. Ora i miliziani iracheni hanno un peso enorme in Iraq: l’articolo ci dice che vi controllano una fetta del bilancio statale pari a tre miliardi di dollari. Attraverso una vera e propria tassazione illegale, i miliziani raccoglierebbero, inoltre, altri 10 miliardi di dollari. «Se si aggiungono i miliardi provenienti dal contrabbando di petrolio, dalle estorsioni e dal controllo di vari settori economici, i leader del gruppo sono probabilmente tra i personaggi più ricchi della regione».
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Le macerie di questo pezzo di mondo, la miseria in cui sono stati ridotti i suoi abitanti, hanno proporzioni incredibili. Non si può far passare sotto silenzio la tragedia che riguarda un’intera regione, causata da chi parla di resistenza; «l’autentica resistenza è costituita da movimenti di massa di base che scendono in piazza senza sosta in Libano, Iraq e nello stesso Iran, cercando coraggiosamente la liberazione dalla brutalità paramilitare, dalla tirannia teocratica e da programmi stranieri ostili. Solo il 12% circa dei residenti di Teheran ha votato alle elezioni del 1° marzo.
Un numero elevato di persone ha consegnato schede bianche o viziate, tanto che i funzionari hanno scherzato sul fatto che numerosi seggi in parlamento dovrebbero essere lasciati vacanti. Se gli ayatollah sono così disprezzati nella loro capitale, perché dovremmo tollerare la loro preminenza altrove? Questa resistenza all’oppressione teologica è un programma di resistenza che possiamo sostenere tutti».
Ora apprendo che la resistenza di popolo torna a farsi sentire anche dalla Siria, dove i movimenti popolari antiregime del sud, della centrale regione drusa e della zona rurale del nord, sopra Aleppo, si sono uniti in un documento contro il regime. Per ora è solo un documento, certo, ma potrebbe essere un nuovo inizio.
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