Visto che nel suo curriculum c’è anche un’importante esperienza in Iraq, dove ha lavorato nel primo decennio di questo secolo, l’alto funzionario dell’Onu Dominic Allen – di doppia nazionalità britannica e irlandese – nel discorso a conclusione della sua missione a Gaza, parlando in particolare di bambini, forse si è ricordato della signora Madalaine Albright, già segretario di stato americano e di quanto, il 12 maggio del 1996, ella ebbe a dire in un’intervista a Lesley Stahl: alla domanda della giornalista sulla morte di mezzo milione di bambini iracheni, presumibilmente a causa delle sanzioni, lei giustificò quelle misure con una frase rimasta celebre: «ne valeva la pena», pur di rovesciare l’allora Presidente iracheno Saddam Hussein.
Posta la crudeltà di Saddam – fuori discussione – si può ora riflettere su quella uscita infelice della Albright, chiedendoci: quel male “necessario” ha prodotto il bene superiore che lei prefigurava?
Il nocciolo etico, drammatico, della questione, in questo momento, ci tocca di nuovo tutti: rischiare, ad esempio, una guerra nucleare per l’Ucraina? O piegarsi davanti al ricatto di Mosca? Certo, la mia è una semplificazione. La storia è molto più complessa. Ma, alla fin fine, non è questa domanda che ci tormenta?
Ebbene, Dominic Allen forse si è davvero ricordato dell’Iraq mentre annunciava la conclusione della sua visita da delegato dell’Unfap nei Territori palestinesi- lo United Nation Population Fund – che sino ad oggi lo ha trattenuto a Gaza. Il suo saluto ha richiamato l’attenzione di alcuni giornali per la seguente frase: «I dottori riferiscono che non vedono più bambini di dimensioni normali».
Leggendola, non ho potuto fare a meno di chiedermi se, quando andai a Bassora, nel sud dell’Iraq, grosso modo ai tempi dell’intervista di Madalaine Albright, ho mai visto un bambino di dimensioni “normali”.
È tremendo chiedermelo, anche a distanza di anni. Non sono sicuro della risposta, non posso dire di non averne visti. E perché non ne sono sicuro? Devo ammettere di non esserne sicuro perché, allora, a Bassora, non mi soffermai su questo sguardo, così importante. Mi concentrai piuttosto a raccontare gli scaffali vuoti, le saracinesche abbassate, le donne che passavano avvolte nel nero dei loro mantelli, senza più forma. Ma i bambini? Dov’erano? Come erano i bambini? Ricordo qualcuno di loro che si bagnava nel canale dello Shatt el Arab, tra le gigantesche statue celebrative messe lì da Saddam, tutte col viso rivolto verso l’Iran, a ricordare la battaglia contro i khomeinisti, perché la patria doveva necessariamente nutrirsi del ricordo dei suoi eroi.
Dominic Allen, a differenza di me, ha guardato i bambini. Ha raccontato di aver visto, a un posto di blocco militare, un bambino di circa cinque anni che camminava con le mani in alto, chiaramente spaventato, mentre la sorella, poco più grande, lo seguiva con una bandiera bianca: una bandiera bianca, per le strade di Gaza, in mano a una bambina preceduta dal fratellino che le fa strada con le mani alzate!
Mi chiedo: che dimensioni avevano questi bambini? Piccoli: quanto piccoli? L’immagine della bandiera bianca, poi, di questi tempi, non può non riguardarci un po’ di più del solito: non si sarà trattato di un bianco immacolato, questo sembra sicuro; sarà stato uno straccio legato ad un bastone, in mano ad una bambina emaciata. E il fratellino? Con le mani alzate… È naturale porsi delle domande aggiuntive: dove stavano andando i due fratellini? Come mai da soli? Orfani?
Intanto, leggo che 180 madri, ogni giorno, ancora partoriscono a Gaza.
C’è molto altro negli articoli dedicati a Dominic Allen e al suo commiato da Gaza a conclusione della sua vista. Ma alla domanda su come sia vista la vita dagli occhi di quei due bambini soli, a spasso per Gaza, davanti ad un check- point – e su come sia vista la vita dagli occhi delle 180 partorienti quotidiane – non ho trovato risposte. E mi sono dovuto fermare.
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