In Medio Oriente si stanno combattendo tante guerre: di una di queste non si parla mai, ma è sempre più grave e andrebbe contrastata in maniera completamente diversa. Mi riferisco alla guerra del narcotraffico e al narcotraffico che, da quelle parti, si chiama captagon, una droga che sta devastando intere generazioni di giovani arabi. Ma sarà presto sostituita da una droga ancor più facilmente commercializzabile, quella basata sulle metanfetamine.
Del captagon si è scritto, sui nostri giornali, essere «la droga dei jihadisti», per il suo forte e duraturo effetto eccitante, tanto da eliminare l’appetito, si dice. È stata prodotta e distribuita dall’Isis per consentire ai combattenti di osare maggiore ferocia nei loro massacri. L’hanno usata anche per finanziarsi, col narcotraffico, per la parte eccedente il proprio fabbisogno. L’Isis, in Siria, è tramontato, ma non la produzione di captagon, divenuta esclusiva del regime di Assad. Mentre l’allarme occidentale è svanito.
Dunque, il captagon è prodotto, sia nella vecchia che nella nuova fase, sempre in Siria. Perché? Una possibile risposta si trova nel fatto che la Siria ha, storicamente, ospitato moltissimi stabilimenti farmaceutici, ora divenuti i centri della trasformazione e della produzione finale di questa droga mortale. La Siria ha un PIL pari a poco più di 22 miliardi di dollari. Il captagon garantisce alla famiglia Assad e ai suoi adepti un introito netto pari, nel solo 2021, a 5,7 miliardi di dollari: cifra non sovrastimata, se si considera che un recente sequestro a Dubai ha consentito di prevenire l’ingresso sul mercato di un miliardo in pillole.
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Il reggimento d’elite capeggiato dal fratello di Assad, Maher, garantisce la produzione. Hezbollah provvede alla commercializzazione nel Medio Oriente e non solo. Ricordo che un gigantesco carico è stato scoperto e sequestrato, anni fa, anche a Salerno. Da segnalare la recente condanna di due cugini del Presidente Assad, Wassim Badi al-Assad e Samar Kamal al-Assad. Sono stati sanzionati dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna e dall’Unione Europea per traffico di captagon.
Quando i leader arabi, circa un anno fa, hanno ritenuto che fosse inutile proseguire col loro improduttivo ostracismo nei confronti del dittatore siriano e lo hanno riammesso nella Lega Araba, ristabilendo, in molti, le relazioni diplomatiche, hanno ottenuto, in cambio di tale benevolenza, la promessa che la Siria avrebbe posto termine alla produzione e alla commercializzazione della droga.
Ma i fatti dicono che la produzione è aumentata, tanto da diventare una vera e propria emergenza nei Paesi arabi, che vedono percentuali elevatissime di giovani distrutti da effetti devastanti in termini di efficienza psicofisica.
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Ora, l’Arabia Saudita, finalmente, ha deciso di non limitarsi a contrastare il captagon attraverso la punizione dei fruitori, bensì offrendo loro programmi di recupero, già praticati in 50 ospedali del regno. Tale opportunità non sarà certamente offerta ai giovani siriani che ne sono le prime vittime, perché usano il prodotto soprattutto per sottrarsi ai morsi della fame.
Ma il captagon, oltre a distruggere il fisico e la psiche, tanto da minare alla radice il futuro della Siria, ha consentito il potenziamento degli antichi rapporti tra i narcotrafficanti e Hezbollah, in particolare col cartello messicano Los Zetas. Tanto che sarebbe interessante poter verificare – cosa impossibile nei fatti – quanti messicani abbiano trovato riparo in Siria.
La numerosissima diaspora libanese in America Latina ha fatto da base di inserimento a molti figli di emigrati legati al Partito di Dio nelle nomenclature rivoluzionarie di quel mondo. Il caso più noto di tutti è quello del venezuelano Tareck Zaidan el Aissami Maddah: arrivato fino alla vicepresidenza nell’epoca Maduro, el Aissami ha contribuito a costruire un complicato circuito di malaffare, armi e droga che il Wall Street Journal, già dieci anni fa. riassumeva così: «libera circolazione di miliziani nell’area protetta dal Venezuela, libero ingresso di fondi illeciti provenienti da Caracas in Libano».
La rete di el Aissami, divenuto vice di Maduro nel 2014, ha contribuito in maniera decisiva a intrecciare le fonti di intelligence e i canali finanziari dell’area siro-libanese e quella sud-americana. Una rete affine si è sviluppata anche con un curioso export di auto usate dagli Stati Uniti verso il Libano.
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Un altro nome importante per capire i rischi per il domani – un domani ormai imminente – è quello di Adalberto Fructuoso Comparán Rodríguez, un ex sindaco messicano condannato nel 2021 ed estradato negli Stati Uniti quale leader di un gruppo di narcotrafficanti operativi verso la Florida di metanfetamine, insieme ad esponenti di Hezbollah.
L’attenzione all’America Latina non è soltanto criminale. Dall’inizio dell’avventura khomeinista gli ideologi della rivoluzione hanno ritenuto quel terreno fertile per un’esportazione extra-confessionale della loro ideologia rivoluzionaria, e il viaggio di Chavez in Libano nel 2006, con un comizio insieme a Nasrallah sulle macerie di Beirut sud, conferma che nell’arco di un trentennio l’operazione ha avuto risultati concreti. Per quanto molto diversi, i gruppi rivoluzionari hanno trovato anche nel nemico comune – gli Stati Uniti – un terreno di incontro e poi di finanziamento, con l’acquisizione di armi in cambio di droga.
Ora sono proprio le metanfetamine che sono sbarcate in Medio Oriente – assicurano molti esperti – ad aumentare i rischi per i giovani mediorientali. E le attese di lucro dei protagonisti del traffico. I principali centri di produzione sono in Afghanistan e in Iran. La loro qualità è scadente, ma la Siria ha tutto quel che serve per supere i limiti in brevissimo tempo, come dimostra il fatto che la Giordania ha sequestrato già 40 tonnellate di metanfetamine (40 volte tanto rispetto all’intero 2021).
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La rete siriana e la commercializzazione – via Hezbollah – assicura la penetrazione in Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, i mercati più affluenti e ambiti dai cartelli messicani, sempre ansiosi di operare da Paesi come la Siria, che sanno offrire impunità rispetto agli Stati Uniti. Sono i messicani attualmente a controllare le metanfetamine prodotte in Australia, per portarle in Siria per lavorarle e per poi commercializzarle nella regione.
Dunque, l’urgenza per i Paesi più colpiti dal consumo di tali micidiali droghe, è quella di arrivare al coordinamento delle fonti di intelligence. Gelosi e divisi tra di loro da nota diffidenza, Arabia Saudita, Emirati, Iraq e Giordania, i primi Paesi di destinazione – e i secondi Paesi di transito – non hanno mai condiviso alcunché delle loro informazioni sui narcotrafficanti. Le reticenze sono comprensibili – stante le reciproche, storiche, diffidenze -, ma la minaccia per il loro futuro è tanto grave che fare fronte comune è diventata una priorità: per tutti.
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