Diario di guerra /52. Scenari futuri

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Questo mio diario non ricalca quanto sta su tutte le prime pagine. Semmai vorrebbe aiutare – date per acquisite tutte e le più tragiche notizie della cronaca – a decifrare un poco l’intricatissimo quadro mediorientale.

Cosa sta accedendo a Gaza e cosa sarà? Le decisioni ultime di Israele, i tatticismi di Hamas, gli orientamenti della Casa Bianca, i rischi dell’estensione del conflitto sul fronte nord, cioè il Libano. Gli sviluppi di Rafah determineranno lo scenario dei prossimi mesi.

Proprio in Libano, i cristiani maroniti delle Forze Libanesi annunciano che presenteranno un progetto di legge per impedire la permanenza nel Paese di tutti i profughi siriani entrati irregolarmente nel Paese. Chi ha letto qualche volta il mio diario avrà notato una certa insistenza su questo tasto. Si tratta di un’urgenza che conosco bene.

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Il Libano è a pezzi, per le scelte scellerate di tutta la sua dirigenza, a cominciare da Hezbollah, che governa da anni; senza dimenticare le enormi responsabilità degli altri, di tutti gli altri: la casta libanese che ha dissanguato un Paese, oggi in ginocchio. Ove la permanenza di un milione e mezzo di profughi siriani viene messa, dall’oggettiva emergenza, al centro dell’odio popolare, con azioni razziste da parte di singoli che esprimono però il grave malessere di tanta gente letteralmente alla fame e che ha problemi a pensarsi “ospitale”. Il Libano è affamato, ma ciò nonostante rimane un paese del Bengodi per molti siriani che vivono nella totale indigenza, per cui si registrano anche ulteriori arrivi.

Ma rimandarli in patria in moltissimi casi vuol dire mandarli al patibolo. Assad li ha intenzionalmente deportati, perché li ritiene, in quanto sunniti, «non fedeli»: il suo è un governo tribale e lui viene da una comunità molto minoritaria. Il loro destino in Siria sarebbe segnato. Difficile avere dubbi su questo.

Eppure, da qualche ora tutto sta precipitando. Nel pieno dell’emergenza di Rafah, la presidente Ursula von der Leyen, pochi giorni fa, è corsa a Beirut ed ha presentato un dono di un miliardo di dollari nel corso del triennio ‘24-‘27 per assistere scuola, sanità e sicurezza, che il premier Miqati ha definito dono “incondizionato”. Molti hanno interpretato queste sue parole come una mano tesa al disastrato Libano, purché si impedisca ai profughi di arrivare in Europa, cioè a Cipro, in Grecia e in Italia.  Dunque, pattugliamento delle coste. Poi però è intervenuto un deputato cristiano, delle Forze Libanesi, assicurando che il dono sarebbe respinto se escludesse il rimpatrio dei profughi in Siria.

Subito dopo il patriarca maronita, il cardinale Beshara Rai, ha promosso un incontro tra tutte le autorità competenti. Poche ore e sono emerse le nuove linee guida della Sicurezza Generale, illustrate dal suo comandante, generale Elias Baissari: per prima cosa ha annunciato un suo viaggio a Damasco, ancora non fissato, per definire le modalità di rimpatrio dei siriani detenuti in Libano. Poi ha annunciato una nuova normativa sui permessi di soggiorno e residenza: i giornali scrivono che verranno rilasciati solo a chi si dimostri proprietario di una casa o titolare di un permesso di lavoro rilasciato dal competente ministero.  Chi ha casa in affitto o un garante locale perde il diritto al permesso e può essere arrestato o rimpatriato, ma, considerato l’accordo sul rimpatrio dei detenuti, è difficile cogliere la differenza.

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Per molte organizzazioni libanesi impegnate per i diritti umani il Paese non ha gli strumenti per gestire questa fortissima stretta e quindi molti siriani scivoleranno ancor più nettamente nell’illegalità. A meno che – il timore non può essere escluso – i fondi europei per la sicurezza non vengano usati a tal fine. Comunque si procede. La stampa informa che 2.000 profughi saranno rimpatriati già martedì prossimo. Non leggo invece riferimenti ai facoltosi esponenti dell’elite siriana che sono stati naturalizzati anni fa.

I casi di profughi che si guardano intorno inebetiti ripetendo soltanto «io non sono un clandestino, io non sono qui illegalmente», lasciano il segno.

La Sicurezza sembra funzionare anche retroattivamente, visto che molte richieste di rinnovo del permesso di soggiorno sono state respinte pur rispondendo ai requisiti sinora vigenti. Mentre, da quattro anni, è totalmente bloccata l’inchiesta sull’incredibile esplosione che ha distrutto il porto commerciale della capitale, un colpo mortale all’economia nazionale. Inoltre, il confine con la Siria è – a dir poco – molto poroso per missili, altre armi, droga, traffici enormi. Questo lo sanno tutti. Cosa si farà al riguardo?

Certo, si devono capire i timori profondi dinnanzi a problemi evidenti e drammatici, che nessuno può negare. Ma bisogna pure affermare che chi si trova ad affrontarli – in Libano e non solo – ha contribuito ampiamente a diffonderne l’ansia, ad aggravare le emergenze. E poi (devo scriverlo): in frangenti così gravi, è questa la posizione di leader cristiani?

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Veniamo così all’Europa e alle sue radici, un’Europa che pensa soprattutto a chiudersi, a rinserrarsi, nell’illusione di poter creare un fortino sicuro, come un bunker. Certo, quando fuori il barometro segna tempesta tutti chiudono le finestre, le persiane, le porte.

Mi ha colpito l’editoriale di un giornale arabo, che comincia così: «Con mezzo mondo in fiamme, da Gaza a Donetsk, dalla Siria al Sudan, è rincuorante notare che i nostri amici in Europa hanno le loro priorità nell’ordine giusto: e in cima a quell’ordine c’è il cibo. In Germania è in corso una campagna popolare e unicamente teutonica per porre un tetto al prezzo del doner kebab – cibo di strada divenuto popolarissimo – che per anni è rimasto a circa 4 euro, ma che dopo la pandemia è raddoppiato e ora si avvicina ai 10 euro. Dall’altra parte del confine, in Francia, le legioni di pasticceri artigianali tradizionali sono in rivolta per la tendenza dei giovani panettieri a creare croissant giganti, alcuni dei quali pesano fino a un chilo, in parte per essere consumati da persone particolarmente golose, ma soprattutto per una gara tra fan su Instagram e TikTok».

L’autore aggiunge: «Se la Germania non è diventata la potenza economica del libero mercato europeo imponendo tetti artificiali ai prezzi di beni e servizi, i suoi politici non sono nemmeno ciechi di fronte alle opportunità che si presentano. In questo caso, il Partito della Sinistra ha individuato un’opportunità e non ha perso tempo a salirci. Il partito ha chiesto che il prezzo di un doner kebab sia limitato a 4,90 euro e a 2,50 euro per gli studenti, e che il divario tra il prezzo sovvenzionato e quello reale sia finanziato dai contribuenti».

«Non si tratta di uno scherzo su internet, ma di una seria richiesta di aiuto», ha dichiarato il portavoce del partito: «lo Stato deve intervenire affinché il cibo non diventi un lusso» L’amara ironia del testo poi ci porta in Francia, dove i partiti ancora non hanno preso parte alla disputa transalpina, ma ricordano il destino di Maria Antonietta, dopo la sua famosa risposta a chi le faceva notare che il popolo non aveva il pane: «che mangino i croissant». Questo articolo l’ho trovato davvero tremendo.

Il titolo del libro del grande scrittore franco-libanese, Amin Maalouf, oggi segretario perpetuo dell’Accademia di Francia, diviene allora impressionante proprio per la sua attuale drammaticità: Il naufragio delle civiltà. A Malta papa Francesco non usò parole molto diverse. La questione dei profughi siriani nel vicino Libano è un grave campanello d’allarme: non il solo, ovviamente. Sono questioni enormi, ma anche noi abbiamo la responsabilità di comprenderle e rifletterci su, responsabilmente.

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