La drammatica situazione che i profughi siriani stanno vivendo nel limbo dei confini turchi e greci rende urgente una politica effettivamente europea sui confini dell’Unione.
In questo momento, in cui ogni paese europeo sembra ricadere su se stesso come ultimo tentativo di contenere la pandemia da Coronavirus, diventa sempre più evidente la fragilità estrema dei confini nazionali. Aperti per far uscire tutti quelli che non sono di noi, ermeticamente sigillati per impedire l’ingresso di chi non è dei nostri. Su questo limite sottile, che sarà la misura di una solidarietà complessiva dell’Unione Europea, impatta oggi il destino anonimo di migliaia di profughi abbandonati a sé stessi tra Turchia e Grecia.
Un destino del quale davvero ci interessa poco, perché stiamo tentando di salvare il salvabile del nostro – ancora in maniera sparsa, senza comprendere che l’indebolimento dei confini nazionali, così permeabili all’invisibile, potrebbe rappresentare quella condizione di «crisi» davanti alla quale l’Europa ha mostrato di avere le capacità di dare il meglio di sé.
Quando l’ammasso delle emozioni, identitarie o sanitarie, dettano il regime del discorso politico piegando i timori della gente a legittimazione di prassi nazionali illiberali verso chiunque non è dei nostri, ci vuole lo slancio di una nuova razionalità politica comune che sappia farsi carico, non strumentalmente, di questo arcaico che ha ripreso a circolare selvaggiamente tra noi europei.
Francesco rimane, in questo momento, voce solitaria che richiama alla memoria di tutti il destino di questi profughi dimenticati fra i dimenticati. Nelle zone più coinvolte dalle ricadute di questa drammatica situazione, sulla rotta balcanica che oramai non porta più da nessuna parte, la Caritas italiana insieme ad altre associazioni si spende quotidianamente per far diventare pratica reale la parola di Francesco.
Ma una chiara politica europea, comune e concordata, dei confini è divenuta oramai questione urgente: quei confini sono di tutti e non di una singola nazione che appartiene all’Unione Europea. Quello che lì accade riguarda tutti i cittadini europei in quanto tali, e non può essere risolto come crisi regionale da affrontare senza un piano politico complessivo e a lungo termine.
Oggi si «tratta di rafforzare l’azione di agency e di fare della solidarietà un valore positivo, che unisce gli uomini e le donne oltre ogni confine e aiuta a superare l’individualismo personale e nazionale. Forse è giunto il momento di tornare a mettere al centro in Europa l’uguaglianza tra tutti gli esseri umani anziché la libertà individuale; e di aprire agli occhi davanti al fatto che ciò che ci è comune è ben più fondamentale di quello che ci distingue» (Sigrid Müller).