L’ortodossia moldava (il 97% dei 4 milioni di abitanti) è attraversata da decenni da un conflitto di giurisdizione fra Russia e Romania. La Chiesa di gran lunga maggioritaria è quella legata a Mosca che conta 1.000 parrocchie. Ma è presente anche una giurisdizione rumena, con lunghe radici storiche, che raccoglie un centinaio di parrocchie.
Sull’insieme non mancano le pretese di Costantinopoli. Il prolungarsi della guerra russo-ucraina e il bellicismo del patriarcato di Mosca che, attraverso il Russkiy mir vuole il controllo della Chiesa locale, stanno mettendo in tensione la politica, la società e la collocazione ecclesiale.
Il conflitto dei metropoliti
Un segnale importante è l’aspro conflitto del gerarca filo-romeno, Pietro, con il metropolita filo-russo. Il metropolita Pietro il 29 giugno ha scritto un comunicato in cui attribuisce il ruolo della metropolia filo-russa come conseguenza delle vessazioni zariste e sovietiche, difende il passaggio legale dei pope all’obbedienza romena e considera invalide le sanzioni canoniche su questi preti (cf. Orthodoxie.com).
In ragione dell’affermazione del sinodo della Chiesa romena (dicembre 1992) «i chierici che desiderano passare sotto la giurisdizione della Chiesa madre sono accolti con gioia nel patriarcato di Romania». Il metropolita filo-russo denuncia «la corruzione di preti e fedeli (che) non può mai essere considerata un processo normale e naturale delle cose, ma, al contrario, una violazione dei santi canoni».
Dire che è un atto legale, non significa affermarne la canonicità. Non si può immaginare che la piena canonicità dei passi precedentemente compiuti dagli interessati non vincoli anche la decisione di passare ad altra giurisdizione.
Russofili
La maggioranza della popolazione moldava ha ereditato dal ceppo romeno la lingua, la letteratura e le tradizioni, ma da oltre 150 anni è in stretto legame col mondo russo.
Una parte consistente è di origine russa, parla e pensa in russo. Nei confronti dell’ingombrante tutore si è sviluppata un’angoscia latente, alimentata dalle deportazioni staliniane e, soprattutto, dalla guerra che, nel 1992, ha staccato di fatto la regione della Transnistria, abitata in prevalenza dai russi, dal resto del paese.
Non è casuale che una visita pastorale di Cirillo del 2018 si sia limitata alla Transnistria per sottrarsi a probabili contestazioni nel resto del paese. I russofili sono presenti in tutto il paese. Molti hanno lavorato in Russia (la loro pensione arriva da lì) e altri sono convinti che non ci sarà futuro senza un legame forte con quel paese. Secondo le indagini, il 10% approva pienamente l’aggressione russa.
Filo-occidentali
Come nel caso della confinante Ucraina, vi è una crescente parte della popolazione che guarda all’Europa: «L’Europa – ha detto il vescovo cattolico della capitale, Chisinau, mons. Anton Cosa – è la strada che può condurre verso gli autentici valori cristiani che non si fondano su nessun nazionalismo, ma sui principi della democrazia».
Praticamente non c’è nessuna famiglia moldava che non abbia un amico, un familiare o un parente in paesi europei, come Italia, Portogallo, Irlanda e Inghilterra. Questa parte ha assistito con paura all’avvio trionfale dell’occupazione russa (poi rivelatasi fallimentare) e ha fatto il tifo per la resistenza di Odessa. La sua caduta avrebbe aperto la strada per entrare in Moldavia.
Destabilizzazione
L’attuale maggioranza politica, guidata dalla filo-occidentale Maia Sandu, ha iniziato a prendere le distanze dalla Russia. Prima allontanando l’oligarca V. Plahotniu dal governo, poi chiedendo ragione al partito filo-russo delle sue entrate economiche, approvando in parlamento una dichiarazione formale di responsabilità russa in merito alla guerra e licenziando una legge contro il separatismo (Transnistria). Infine, chiedendo di connotare la lingua, non come moldava, ma come rumena, chiudendo alcuni centri informativi di proprietà russa e attendendo la de-militarizzazione della Transnistria (vi è uno stabile contingente russo di 2.000 uomini e un grande deposito di armi).
Dopo alcune esplosioni a Tiraspol (Transnistria), molti temono le provocazioni di un conflitto ibrido, soprattutto da quanto è stato reso noto il piano di destabilizzazione dei servizi servizi segreti russi. Scritto nel 2021, esso prevede il condizionamento anti-occidentale attraverso i media, il favore concesso a ONG di ispirazione russa, l’entrismo nelle istituzioni con il partito filo-russo e la moltiplicazione di aggregazioni politiche anti-occidentali. L’accettazione della candidatura all’UE (giugno 2022) ha permesso a Maia Sandu di porre in discussione la tradizionale “neutralità” del paese.
Romania: la più grande Chiesa libera dell’Ortodossia
Il processo di autonomia del paese corre sul filo del rasoio dell’esito della guerra ucraina e delle tensioni interne. Il contesto ha permesso alla Chiesa di Bucarest di rafforzare il suo legame con le comunità romene.
Nel caso moldavo non è influente la divisione slavo-ellenica sull’autocefalia (anche se a Mosca alcuni la temevano), quanto il rapporto fra Chiesa russa e Chiesa romena. In occasione del 105° anniversario dell’unione di Bessarabia alla Romania (regione geografica storica che comprende territori della Moldavia e della Romania e Ucraina), alti politici romeni (presidente della Camera, della Commissione esteri, ministro della cultura ecc.) e moldavi si sono impegnati nel dialogo fra i due paesi e hanno assicurato il completamento della basilica degli ortodossi filo-romeni e della residenza del metropolita Pietro.
Inoltre, hanno garantito che i preti che transitano all’obbedienza romena abbiano il sostegno economico previsto dalla Romania per i suoi preti, considerati dipendenti statali. Per il centenario della costituzione della grande Romania (1923) il patriarca Daniel, in un discorso al parlamento, ha accennato alla volontà di quella costituzione, cioè che «la Romania fosse al confine del mondo libero e raccogliesse la più grande popolazione cristiana ortodossa in grado di manifestare senza ostacoli la sua fede» (27 marzo).
Conflitti giurisdizionali e rivendicazioni identitarie su base etnica e linguistica mi sembra stiano sempre più minando l’unità e l’autorevolezza dell’Ortodossia. Ciò potrebbe però anche aiutare chi nella Chiesa latina si è infatuato del “modello ecclesiale orientale” a riconsiderare la propria visione e a farlo in modo più critico e meno storicamente ingenuo. La dissonanza tra teoria e prassi nel vissuto dell’Ortodossia non è infatti così ridotta come talvolta si può essere indotti a credere