Il recente articolo da noi pubblicato sulla Bielorussia (cf. SettimanaNews) si concludeva così: “Le probabili difficoltà a cui andranno incontro i cattolici rispetto al regime dittatoriale alimenteranno la credibilità e il prestigio di una Chiesa minoritaria, ma coraggiosa”. La controprova è nell’arresto di fedeli e preti, fra cui due dehoniani, e la decisione del dittatore Aleksander Lukachenko di impedire il ritorno dalla Polonia del metropolita mons. Kondrusiewicz, come uno “finito in una lista di persone indesiderate, comune alla Russia e alla Bielorussia”. La diocesi di Minsk ha qualificato la decisione come strana e incomprensibile. Una richiesta di spiegazioni è stata inviata al Comitato doganale bielorusso. Se non ci sarà risposta, verrà inoltrata una richiesta all’amministrazione presidenziale.
«È molto difficile dire in poche parole che cosa abbiamo provato (…). Eravamo insieme al nostro popolo, con le persone, come il nostro fondatore p. Dehon è stato vicino alla gente durante la sua vita. Abbiamo sperimentato l’ingiustizia, vissuto la paura, ma ci sentivamo profondamente uniti in Dio».
Questa è la breve testimonianza di uno dei due confratelli dehoniani che sono stati vittime della repressione in Bielorussia ancora in corso. Per motivi di sicurezza i loro nomi rimangono anonimi. Detenuti in carcere insieme a tante altre persone, sono stati rilasciati dopo una settimana. Non hanno ancora superato il trauma e lo shock psicologico, ma continuano a dare testimonianza accanto alla gente.
I dehoniani in Bielorussia sono impegnati nel sociale, svolgono ministero parrocchiale e in questo momento sono solidali con le vittime, pregando per loro. Essi ci raccontano: «Un grande cambiamento è avvenuto e avviene nel cuore e nella mente del popolo bielorusso. Il popolo è unito contro la dittatura. Le persecuzioni sono in corso, ma insieme a tutte le chiese cristiane, i nostri fratelli ebrei e musulmani stiamo cercando in modo diverso di rompere la violenza e di proteggere i diritti del popolo».
La Bielorussia sta attraverso uno dei momenti più critici della sua recente storia sociale e politica. Una serie di manifestazioni e proteste popolari sono ancora in corso contro il governo bielorusso. Il presidente Aljaksandr Lukašėnka, definito “l’ultimo dei dittatori” in Europa in carica dal 20 luglio 1994 è stato rieletto per il sesto mandato consecutivo durante le elezioni presidenziali del 9 agosto 2020. Egli è accusato di brogli elettorali, di corruzione, di aver rifiutato di adottare misure di sicurezza per la pandemia di COVID-19, di repressione dell’opposizione e censura della stampa.
Centinaia di migliaia di persone si sono riversate in piazza per chiedere giustizia e nuove elezioni. Le Nazioni Unite stanno seguendo con preoccupazione lo sviluppo della vicenda, l’Unione Europea ha condannato la violenza della polizia a seguito delle elezioni e ha dichiarato di “non accettare i risultati dell’elezione”. Al contrario, altre potenze mondiali come la Federazione Russa e Cina all’indomani delle elezioni si sono congratulate con Lukašėnka.
L’Alto commissario per i diritti umani dell’ONU ha condannato la repressione, gli imprigionamenti e le torture che si sono verificate in seguito alle proteste popolari.
Papa Francesco durante l’Angelus del 16 agosto ha rivolto un forte appello al dialogo contro la violenza: “Seguo con attenzione la situazione post-elettorale in questo Paese e faccio appello al dialogo, al rifiuto della violenza e al rispetto della giustizia e del diritto”
Anche i nostri confratelli dehoniani rivolgono un forte appello alla Congregazione: “Chiediamo alla Congregazione la preghiera e il digiuno per la Bielorussia”. Un appello che speriamo non rimanga inascoltato.