Elezioni: il nuovo volto dell’America Latina

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Colonialismo, democrazia, liberazione

L’America Latina ha chiuso il 2021 con cambiamenti importanti nella leadership politica. Nella prima metà dell’anno si sono tenute le elezioni presidenziali in Ecuador e Perù, mentre nella seconda metà i Paesi protagonisti sono stati Nicaragua, Cile e Honduras. Il 2022 sarà un anno altrettanto importante per il subcontinente. In Venezuela, alle elezioni governative del 10 gennaio, il regime di Maduro ha subito una dura sconfitta proprio nello stato di Chavez, ex presidente famoso per la sua filosofia socialista detta «chavismo», e lo stesso ci si aspetta per i governi di Duque in Colombia, e di Bolsonaro in Brasile.

Il 2021 in America Latina: tra elezioni democratiche e non

All’inizio del 2021 non sembrava possibile parlare di una virata a sinistra a livello regionale, vista la vittoria di Guillermo Lasso (centro-destra) alle elezioni in Ecuador dell’11 aprile. Il successore di Lenin Moreno eredita un Paese con un elevato debito pubblico e una grave crisi economica, aggravata ulteriormente dalla situazione pandemica. Nonostante ciò, Lasso, ex banchiere, conta sull’appoggio delle organizzazioni internazionali finanziarie, quali il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, che da sempre mantengono una buona relazione con la destra latinoamericana. L’Ecuador rappresenta quindi una vittoria per la destra, ma i risultati delle altre elezioni presidenziali della regione vanno nella direzione opposta.

Nello stesso mese anche i peruviani sono stati chiamati alle urne e, dopo giorni di grande incertezza, il 6 giugno si sono confrontati al secondo turno Pedro Castillo, professore e sindacalista di estrema sinistra, e Keiko Fujimori, figlia dell’ex presidente Alberto Fujimori ed esponente della destra conservatrice. Con una differenza di 44.000 voti (meno di un punto percentuale) e molti reclami da parte della candidata Fujimori per annullare i voti del suo avversario, Castillo è stato proclamato presidente del Perù.

Mentre Lasso e Castillo sono stati riconosciuti come presidenti legittimi dalla comunità internazionale, lo stesso non si può dire della rielezione di Ortega e sua moglie in Nicaragua. L’11 novembre, con il 97% dei tavoli scrutati e il 75% dei voti, Daniel Ortega ha ottenuto la sua terza rielezione, nonostante le minacce da parte di Antony Blinken di nuove sanzioni al paese centroamericano. I soprusi istituzionali e la svolta autoritaria di Ortega dopo le manifestazioni studentesche del 2018 lo hanno posto infatti sotto la lente d’ingrandimento del sistema internazionale. Nei mesi precedenti, secondo i dati della Commissione Interamericana dei Diritti Umani, il presidente sandinista ha fatto in modo che venissero arrestati sette leader dell’opposizione e 159 oppositori politici, negando la possibilità ai nicaraguensi di avere delle elezioni democratiche.

Il Cile: la sconfitta dei moderati

Spostandosi in Cile, il primo turno delle elezioni, tenutosi il 21 novembre, ha visto vincitori José Antonio Kast, vicino alla dittatura di Augusto Pinochet, sostenitore di politiche radicali contro la migrazione, critico dell’aborto e del matrimonio egualitario, e Gabriel Boric, leader delle proteste studentesche del 2011 e guida eletta di una coalizione di partiti «Apruebo Dignidad».

Le proposte di Boric corrispondono alle richieste dei protestanti del 2019, ovvero: ridurre le disuguaglianze, riformare il sistema pensionistico e sanitario e un’istruzione libera e gratuita. Il successo di queste riforme e del mandato del neo eletto presidente saranno estremamente legati al lavoro dell’Assemblea Costituente, eletta dopo il referendum dell’ottobre 2020.

Boric, il leader più votato nella storia della repubblica, il 19 dicembre ha concluso il suo discorso «di vittoria» con una citazione di Salvador Allende, il presidente socialista deposto dalla dittatura di Pinochet nel 1973: «Tornate a casa con l’allegria sana della limpida vittoria ottenuta».

Appuntamenti elettorali del 2022

Il 2021 si è concluso con le elezioni hondureñe del 28 novembre, che hanno visto vincitrice Iris Xiomara Castro Sarmiento, del partito di sinistra «Libertad y refundación», con il 51,2% dei voti. Il 2022 vedrà altre importanti elezioni generali che potrebbero confermare o invertire la virata verso sinistra impostata dalle elezioni del 2021.

Il primo appuntamento elettorale sono le elezioni presidenziali in Costa Rica del 6 febbraio, un Paese con più del 75% della popolazione vaccinata, ma con costo della vita, corruzione e tasso di disoccupazione in aumento. Tra i 25 candidati, i principali appartengono alla destra conservatrice, mentre l’unico candidato di sinistra, che conta sull’appoggio dei giovani e delle città, è Maria Villalta del partito «Broad Front». Queste elezioni saranno fondamentali per rispondere alle diverse proteste degli ultimi anni contro la riforma delle tasse, le politiche sul lavoro e il programma macroeconomico.

Ma di speciale interesse sono le elezioni in Colombia, che si terranno il 29 maggio, e, soprattutto, quelle in Brasile, dove il ritorno in politica di Lula da Silva ha già da un anno acceso il dibattito sul futuro del Paese.

Colombia: scende in campo la sinistra

A seguire l’esempio cileno di Boric, in Colombia c’è Gustavo Petro. Sindaco della capitale Bogotà e molto critico dell’attuale presidente, Iván Duque, Petro si appoggia sui milioni di voti delle scorse elezioni e sul forte malcontento della popolazione.

Nel 2021 si è sentito parlare molto della Colombia a causa delle violente proteste di aprile contro la riforma tributaria voluta da Duque, che prevedeva l’aumento delle tasse sui beni di prima necessità. Secondo le ultime inchieste, a confrontarsi con Petro e con più del 20% del supporto elettorale sono due candidati di destra, Sergio Fajardo della coalizione «Centro esperanza» e Oscar Ivan Zuluaga del centro democratico.

Il risultato di queste elezioni si inizierà a delineare dopo le elezioni parlamentari del 13 marzo, in cui non solo saranno eletti i membri del prossimo Congresso della Repubblica, ma si voterà anche per le consultazioni delle coalizioni presidenziali e si sceglieranno i candidati che rappresenteranno ogni corrente politica. La vittoria di Petro sarebbe un evento storico in una società conservatrice come quella colombiana, che non vede un presidente di sinistra dagli anni 90.

Il ritorno di Lula e le elezioni brasiliane

Il Brasile arriva alle elezioni del 2 ottobre 2022 con una popolazione fortemente polarizzata e tre candidati piuttosto conosciuti. Con più di mezzo milione di morti per Covid, un’economia stagnante e un aumento della disoccupazione, l’attuale presidente Jair Bolsonaro conta comunque un supporto del 30% della popolazione votante. Ma ciò che rende interessanti queste elezioni è il ritorno in politica di una figura di estrema importanza nella storia della sinistra latinoamericana: Luis Inácio da Silva, semplicemente chiamato «Lula».

Lula, del partito dei lavoratori (Partido de los Trabajadores, PT), è stato il 35° presidente brasiliano dal 2003 al 2010. Durante i suoi mandati Lula è riuscito a portare avanti due riforme importanti: la «fome zero», volta a ridurre la fame nel Paese e la «bolsa familia», mirata ad abbassare i tassi di povertà. A tali riforme è stato riconosciuto il merito di aver abbassato il tasso di povertà di 10 punti percentuali.

In quegli anni era già iniziata un’indagine riguardo la Petróleo Brasileiro S.A. – Petrobras, ovvero la compagnia petrolifera più importante del continente – detta «operazione Lava Jato» (autolavaggio), che avrebbe coinvolto gli esponenti del PT, tra cui Lula stesso e Dilma Rousseff. Nel 2017, Sérgio Moro, giudice responsabile dell’operazione e futuro ministro di giustizia di Bolsonaro, condannò Lula a 9 anni e 6 mesi di carcere con l’accusa di corruzione.

Tuttavia, ad aprile 2021 la Corte Suprema Brasiliana ha annullato le condanne per corruzione di Lula, che è subito tornato in politica per partecipare alle elezioni di quest’anno, in cui si confronterà proprio con il responsabile della sentenza. A novembre, infatti, Sergio Moro ha annunciato la sua candidatura alle presidenziali, sposando le battaglie della destra più conservatrice (i valori tradizionali della famiglia, la lotta contro la corruzione e la sicurezza).

Il nuovo volto dell’America Latina

Dall’elezione di Castillo a quelle di Boric, all’eventuale vittoria della sinistra in Colombia e in Brasile, la direzione politica dell’America Latina sembra delinearsi in modo piuttosto evidente, come lo era stato per la destra nel 2016 con la vittoria di Mauricio Macri in Argentina e la successiva vittoria di Bolsonaro nel 2018.

Le differenze tra le sinistre latinoamericane sono molte, quella di Castillo e la «nuova sinistra» di Boric hanno pochi punti in comune, così come l’eventuale governo di Lula non sarà una ripetizione di quanto già accaduto in passato. È comunque possibile individuare un punto in comune tra le promesse elettorali dei candidati di sinistra sopra citati, ossia la lotta alle disuguaglianze.

Il successo di questa nuova «marea rosa» dipenderà, in ogni caso, da come ciascun governo di sinistra affronterà le sfide economiche e sociali.

 

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