Dopo la trasformazione di Santa Sofia (Hagia Sophia) in moschea (cf. SettimanaNews) che ha sollevato aspre critiche in tutto il mondo cristiano e in Occidente, il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan si è precipitato a solennizzare (a distanza) l’inaugurazione del rinnovato monastero di Sumelà.
Ha annunciato il 28 luglio che «il 15 agosto i nostri cittadini ortodossi potranno celebrare di nuovo la divina eucaristia in onore di Maria, interrotta per il tempo necessario al restauro del monastero di Sumelà» L’annuncio si è complicato per un comunicato del Patriarcato di Costantinopoli che smentiva la celebrazione in ragione delle disposizioni della regione interessata a causa del Covid-19. Il malinteso si è rapidamente risolto con l’immediato cambiamento delle regole della regione di Trebisonda nel cui territorio si trova lo storico monastero. La liturgia non sarà celebrata da Bartolomeo, ma dai metropoliti di Kalliopolis, Zambia e Alessandria.
Il monastero di Sumelà
È stato reso noto un dialogo telefonico fra Bartolomeo e Erdogan. Il patriarca si è congratulato per i complessi lavori di ristrutturazione della costruzione monastica, considerata un monumento nazionale. Sono durati 5 anni. Non si sa se nel dialogo Bartolomeo abbia accennato al dissenso dell’intera Ortodossia e cristianità relativamente alla trasformazione in moschea di Santa Sofia.
Di certo la connessione è stata fatta nell’annuncio pubblico di Erdogan: «Se fossimo una nazione che prende di mira i simboli delle altre religioni al posto del monastero di Sumelà ci sarebbero solo rovine». «Con questo monumento facciamo presente a quanti criticano il nostro paese un esempio concreto del modo con cui la Turchia preserva sul suo territorio l’eredità lasciate dalle altre civilizzazioni». E ha aggiunto con supponenza a proposito di Hagia Sophia: «Penso di meritare dei ringraziamenti per aver protetto e fatto vivere questo grande tempio».
Il monastero di Sumelà, avviato nel 386, ha costituito per secoli il più importante luogo di pellegrinaggio sul Mar Nero. Vi si venera l’icona di Maria, che si dice dipinta da san Luca. Nel 1923 tutti i cristiani greci e armeni del Ponto dovettero lasciare il paese, compresi i monaci di Sumelà. Il suggestivo edificio, attaccato alle rocce a 1200 metri di altezza si trasformò in un cumulo di rovine.
Dichiarato monumento nazionale nel 1972 è stato riaperto alla celebrazione il 15 agosto del 2010 per la tradizionale festa della dormizione della Vergine. Anche dopo la conquista ottomana il monastero è rimasto un centro culturale e spirituale fino ai primi decenni del ‘900. L’attuale rinnovamento è presentato dal potere politico come una munifica generosità per coprire l’operazione ideologica e politica di Hagia Sophia ed è avvicinato ai pochissimi luoghi storici di culto restaurati come la chiesa armena di Akdamar, la grande sinagoga di Edirne e la chiesa di tradizione bulgara Sveti Stefan.