L’estate violenta della Colombia

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Un’estate di violenza come non si vedeva da 15 anni a questa parte, proprio nel momento in cui il Covid-19 è letteralmente esploso tra la popolazione. È lo scenario da incubo che sta vivendo in queste settimane la Colombia, mentre a livello giudiziario, suscitando peraltro speranze di fare luce su tanti fatti di sangue, affiorano i ricordi di un passato che sembrava lontano, con i casi Uribe e Mancuso che riempiono le cronache politiche e le pagine dei giornali.

Mentre, dunque, la Colombia diventava il quarto Paese latinoamericano in totale per contagi e vittime del coronavirus (e il terzo nell’ultimo mese dietro al Brasile e al Perù), con circa 10mila nuovi casi e centinaia di morti al giorno, nuovi massacri compiuti dai tanti gruppi armati ancora presenti nel Paese insanguinavano i dipartimenti più periferici.

Secondo l’Onu, fino a metà agosto ci sono stati nel Paese 33 massacri accertati, e 7 da accertare. Secondo le cronache, almeno 9 quelli registrati nel mese di agosto. In tutto oltre 50 le persone morte in questi ultimi attentati commessi da vari gruppi armati, dalla dissidenza FARC a bande criminali e del narcotraffico. Ha suscitato scalpore, in particolare, l’uccisione di 5 adolescenti afro, l’11 agosto, nella periferia di Cali. Altri otto giovani sono stati massacrati nel municipio di Samaniego (Nariño) il 18 di agosto.

La quarantena fa aumentare la violenza

L’accordo di pace tra Governo e FARC di 4 anni fa appare, insomma, lontanissimo. Ma perché questa ondata proprio ora? I gruppi armati stanno “approfittando” della pandemia per “regolare i conti”? Il SIR lo ha chiesto a padre José Darío Rodríguez Cuadros, gesuita, collaboratore dell’Università Javeriana e del movimento «Fé y Alegria», autore di un recente articolo sulla situazione colombiana per la Civiltà Cattolica. Un duplice punto di vista quello offerto dal religioso: di studioso dei processi di pace e di residente in uno dei municipi storicamente più “caldi” del Paese, La Macarena, nel dipartimento centro-orientale del Meta.

«Effettivamente nelle ultime settimane c’è stata un’esplosione di violenza che ha interessato numerosi dipartimenti: Valle del Cauca, Cauca e Nariño a sudovest, Antioquia a nord, provincia del Catatumbo (Norte de Santander) e Arauca a est. Il primo elemento d’analisi è che questi episodi di violenza non sono parte di una strategia nazionale, ma rispondono a dinamiche locali. Si combatte per interessi circoscritti e specifici, che girano soprattutto attorno al traffico di cocaina, ma non solo. Ci sono anche il controllo dell’attività estrattiva illegale, delle estorsioni, e altre attività criminali. Un altro elemento è che in tutti questi luoghi teatro di scontri e massacri un tempo le Farc erano presenti in modo massiccio. Coloro che non hanno lasciato la guerriglia si sono inseriti in altri gruppi, c’era un vuoto che è stato subito colmato, creando però nuovi conflitti. Di fatto, gli attori armati continuano a essere numerosi: la dissidenza Farc, la guerriglia dell’Eln, i paramilitari del Clan del Golfo, i pelusos (cioè la rinata Epl, in origine una formazione maoista), altri gruppi del narcotraffico. In pratica, si combatte per il controllo del territorio, centimetro per centimetro».

In tutto questo, si inserisce la pandemia, con la prolungata quarantena, spesso fatta rispettare in modo intimidatorio dai gruppi armati al posto di uno Stato assente: «La quarantena è stata usata dai gruppi per rafforzarsi. Ma, al tempo stesso, in questa situazione di contrazione dell’economia, anche le attività illecite ne risentono. Perciò, è una mia supposizione, aumentano nervosismo e aggressività ed è più facile che si rompano i patti tra le formazioni illegali». In questa situazione, risalta il fatto più doloroso: «La maggioranza delle vittime è civile, popolazione innocente: leader sociali e campesinos, studenti universitari ecc».

Scettico, invece, il religioso, sul fatto che la recrudescenza della violenza derivi dalla riorganizzazione della dissidenza FARC, dopo che alcuni importanti capi hanno disconosciuto gli accordi e sono tornati ad abbracciare le armi: «Dipende dalle zone. Io vivo in un municipio, La Macarena, dove la guerriglia non ha accettato l’accordo e continua a esercitare una forte presenza. Altrove, non è così».

In ogni caso, aggiunge, «non sono del tutto pessimista sul fatto che il processo di pace vada avanti, non tanto per volontà dell’attuale Governo, ma per la pressione della Comunità internazionale di Paesi come Norvegia, Francia, Spagna, la stessa Italia, in qualche modo anche gli Usa. Ora, i guai giudiziari di Uribe stanno creando una nuova polarizzazione, che colpisce anche il fondamentale lavoro della Commissione per la Verità, presieduta da padre Francisco De Roux, la quale non opera certo per interessi politici, ma per scrivere quello che è successo in Colombia in questi decenni, stando dalla parte delle vittime. Certo, stiamo pagando il fatto che in molti punti l’accordo non è stato applicato, soprattutto per la volontà politica».

Due casi giudiziari «pesanti»

Padre Rodríguez accenna, così, al dibattito di questi giorni. Mentre nelle periferie del Paese la violenza si moltiplica, a Bogotá i titoli dei giornali si suddividono equamente tra gli aggiornamenti sul Covid-19 e i due tormentoni giudiziari dell’estate.

L’uomo forte della politica colombiana degli ultimi vent’anni, Álvaro Uribe, ferocemente contrario agli accordi di pace, è agli arresti domiciliari: gli viene contestato di aver manipolato testimoni, di fronte alle accuse di paramilitarismo rivolte al fratello Santiago.

Intanto è esploso il caso di Salvatore Mancuso, l’italo-colombiano fondatore delle Autodefensas unidas de Colombia (AUC), la formazione paramilitare di destra ufficialmente smobilitata nel Paese sudamericano nel 2005. Mancuso, implicato in un grande giro di narcotraffico internazionale che coinvolgeva anche l’Italia attraverso la n’drangheta, e in numerosissimi delitti in Colombia (circa 600 fatti di sangue), ha finito da poco di scontare 15 anni di reclusione negli USA.

Errori procedurali da parte della Colombia nel richiedere la sua estradizione, lo stavano «spingendo» verso l’Italia, dove pure è richiesto per le sue pendenze giudiziarie. Una situazione che ha creato fortissime polemiche in Colombia. La vicenda è ancora intricata e non è escluso che gli USA, con una decisione «politica», facciano prendere a Mancuso la strada per Bogotá.

«Al momento – dice il gesuita – mi pare che da parte delle autorità colombiane stiamo assistendo a una sorta di pantomima. Non si capisce se il Governo voglia e non voglia avere Mancuso». Che sarebbe, infatti, un testimone «scomodo»: «È stato il capo della più grande formazione paramilitare della Colombia. Dopo l’accordo per la smobilitazione delle AUC, allo Stato ha fatto comodo favorire l’estradizione di alcuni capi, tra cui Mancuso, negli USA per narcotraffico. Se fossero rimasti qui, avrebbero potuto parlare dei legami tra i militari e il mondo politico, magari con gli ambienti riconducibili a Uribe». Ecco perché il Mancuso «parlante» viene visto con più di qualche inquietudine dai «poteri forti» del Paese.

  • Agenzia SIR, 7 settembre 2020
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