Solo un paio di settimane fa i vescovi della Germania orientale si esprimevano in questi termini: «Le posizioni populiste, estremiste di destra e antisemite, stanno diventando sempre più accettabili. La sfiducia, l’odio e l’agitazione stanno frammentando la società. (…) Riteniamo che i partiti politici che mettono in discussione l’inviolabile dignità degli esseri umani non possono rappresentare un’alternativa». Giocando con le parole, ma non troppo, il soggetto politico in questione è chiaramente il partito Alternative für Deutschland (AfD).
La preoccupazione è diffusa, non solo tra il ceto episcopale cattolico, perché oramai diffuso è l’ancoraggio dell’AfD tra la popolazione tedesca – orientale e occidentale (cf. SettimanaNews, qui). Le ragioni di aggancio sono diverse tra le due aree del paese.
Se nei Länder dell’ex DDR il partito di estrema destra raccoglie soprattutto i vagoni deragliati dell’ex locomotiva tedesca, i dimenticati dalle amministrazioni pubbliche, dai servizi di trasporto, da servizi sanitari accettabili e presenti nei contesti di vita locale, nella regione occidentale del paese vi si aggregano immediatamente, per sintonia di fondo, tutte le frange neo-naziste che il benessere di quelle zone continua a generare come prodotto di scarto – quasi una scoria che si sparge nei meandri della società. Ma non solo.
Già da anni si poteva, infatti, osservare una crescente simpatia verso le posizioni dell’AfD da parte del giovane ceto universitario occidentale – per il quale inclusione, multiculturalismo, integrazione, ridistribuzione sociale, erano tutti vocaboli fastidiosi, un impedimento sulla strada del successo e della riuscita personale. A questa fetta della popolazione, i partiti dell’establishment classico (in particolare la CDU, con la CSU in Baviera, insieme ai liberali della FDP) avevano cercato di venire incontro reintroducendo il dibattito sulla Leitkultur tedesca – la cultura trainante, si potrebbe tradurre, con cui si intendeva di fatto la cultura dominante (quella egemone, etnicamente e nazionalmente).
La mossa non ha dato i risultati sperati e l’attrazione di parte di questo giovane ceto medio tedesco verso l’AfD ha continuato a drenare forze e consensi dei partiti conservatori. Perché accontentarsi di una retorica elettorale, quando lo schieramento politico offre un partito che ne incarna i principi? Finendo poi con l’alienarsi anche quella parte della cittadinanza tedesca, che forse gode ancora di un’esigua maggioranza, che non è proprio poi così ben disposta a gettarsi nell’avventura di Länder e governo federale guidati da un manipolo di politici che hanno ridato casa a un lessico e a programmi che sembravano scomparsi con la caduta del regime nazista.
Dopo la pandemia, l’ultimo colpo l’ha dato la guerra in Ucraina – con l’aumento del costo della vita e la riduzione della capacità di risparmio da parte di un diffuso ceto medio-benestante tedesco. Non che questo sia diventato improvvisamente povero, ma ha da sopportare una qualche incrinatura nel suo benessere ancora più che soddisfacente.
Solo che questo ceto, che in molti altri paesi desterebbe ancora oggi invidia e ammirazione, non riesce a sopportare di non stare più bene come prima – meglio, di sentire di non stare bene come prima. Perché qui, più che i dati oggettivi, vale la sensazione – il sentirsi, per la prima volta, esposti alle temperie del vivere (come capita a milioni di concittadini europei altrove). Questa sensazione, ancora priva di riscontri effettivi, sta facendo cadere nel panico parte del ceto medio tedesco – panico che si nutre di un risentimento senza oggetto reale e, quindi, plasmabile a piacere da qualsiasi abile demiurgo della politica nazionale.
E l’AfD fa proprio questo: offre un oggetto da investire con le proprie paure che, così, hanno finalmente un nome e una ragione. Il risentimento, per (il poco) a cui si è dovuto rinunciare, trova così il suo sfogo – e il partito che ha reso possibile questa dinamica espiatoria il suo meritato voto.
Da un lato, si tratta di tendenze in corso da anni, se non decenni, dall’altro, di una irrazionalità che si nutre della fragilità innata delle società occidentali odierne. A simili fenomeni non si può mettere riparo in poco tempo, né tantomeno possono essere addomesticati in chiave elettorale e riconfigurati da politiche sempre più a breve termine (prive di qualsiasi progettualità e immolate all’immediatezza di un sentire nazional-popolare insaziabile).
L’argine delle anime belle, che ancora abitano il tessuto sociale tedesco, da sé non basterà – se non forse a procrastinare di una tornata elettorale l’insediamento nei gangli vitali del potere politico tedesco di un partito di estrema destra (antisemita, razzista, etno-nazionalista).
L’attuale leadership governativa a livello federale, davanti alla portata di quello che potrebbe succedere al paese, è inetta se non anche complice (con un cancelliere social-democratico che parla di «deportazioni in grande stile – se sarà necessario»). L’opposizione democratico-cristiana corteggia, oramai, il medesimo elettorato che si sta spostando verso l’AfD. I Verdi non rappresentano più una forza politica percepita come esterna all’establishment ritenuto colpevole di aver condotto la locomotiva tedesca su un binario morto – dopo aver perso già da sempre i vagoni della Germania orientale.
Rimangono, forse, le Chiese e le religioni – che hanno però quasi tutte grossi problemi di autogiustificazione civile. Sentono di non poter rimanere immobili, ma non riescono a passare a un’azione che vada oltre la retorica della messa in guardia parenetica. Eppure qualcosa le Chiese cristiane bisogna fare, per non passare una seconda volta nel giro di meno un secolo alla memoria per il loro silenzio inerme.