Il 21 giugno in Etiopia si terranno elezioni parlamentari, regionali e un referendum per l’istituzione di un undicesimo Stato regionale. Lo ha dichiarato, Solyana Shimelis, portavoce della Consiglio, durante la presentazione del nuovo calendario elettorale.
Inizialmente, il voto si sarebbe dovuto tenere il 5 giugno, problemi logistici hanno però costretto le autorità a spostare la data. Il rinvio permetterà di terminare la stampa e di trasportare le schede a tutte le circoscrizioni elettorali del Paese. Shimeles ha detto che, oltre alle elezioni parlamentari e dei consigli regionali, il 21 giugno si terrà anche un referendum per creare un possibile undicesimo Stato regionale.
Rimangono però i timori per la sicurezza. Shimelis ha ammesso che alcuni collegi elettorali potrebbero non aprire. Tuttavia, ha affermato che la Commissione farà tutti gli sforzi possibili per assicurare un voto libero.
Proprio sul tema sicurezza, il governo degli Stati Uniti, in una nota rilanciata dall’ambasciata di Addis Abeba, chiede a “tutti gli attori armati in Etiopia di salvaguardare la vita e le attività degli operatori umanitari”. È quanto è scritto in una dichiarazione dell’ambasciata Usa in Etiopia resa pubblica ieri.
“Il governo dell’Etiopia – è scritto – ha un ruolo centrale nel garantire la sicurezza dei civili, inclusa la comunità umanitaria. Inoltre, tutti gli attori armati devono rispettare i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario. Chiediamo a tutti gli attori armati di consentire e facilitare l’accesso senza ostacoli, coerente e sicuro per gli aiuti – e gli operatori umanitari – per raggiungere tutte le persone bisognose”.
La presa di posizione arriva dopo l’uccisione di otto operatori umanitari negli ultimi mesi. Tutti uccisi mentre erano impegnati a portare aiuto alle popolazioni civili. “Condanniamo con la massima fermezza l’uccisione di operatori umanitari – è scritto nella nota -. Devono finire e i responsabili devono essere assicurati alla giustizia”.
Intanto arrivano notizie allarmanti sui livelli di malnutrizione nell’area nord-occidentale della regione del Tigray, in Etiopia. I più colpiti sono bambini, donne incinte e neo-madri in allattamento. È quanto hanno rilevato le équipe di Medici Senza Frontiere (Msf) attive con cliniche mobili in circa 50 villaggi rurali e montuosi del Tigray.
“Nelle ultime settimane abbiamo assistito 309 bambini in una delle zone più remote della regione. Il 26,6% era malnutrito, nel 6% dei casi in forma grave. Siamo estremamente preoccupati per lo stato nutrizionale del resto della popolazione che non riusciamo a raggiungere. Servono azioni immediate per far fronte a questa situazione” afferma Karline Kleijer, responsabile delle emergenze di Msf.
Nella nota diffusa da Msf si apprende che l’organizzazione umanitaria ha anche visitato più di 100 comunità per riallestire centri di salute saccheggiati o distrutti dalle violenze. Le équipe mediche riscontrano che molte persone hanno scarso accesso all’acqua potabile e al cibo e che non possono nemmeno svolgere attività commerciali per via della chiusura di diversi mercati.
“Molte persone continuano a vivere nella paura e in condizioni di insicurezza – spiega Tommaso Santo, coordinatore dei progetti di Msf nel Tigray -. La qualità e la quantità di cibo disponibile è notevolmente diminuita. Molte famiglie riescono a mangiare solo una volta al giorno e spesso quell’unico pasto consiste solo in un pezzo di pane”.
Con l’avvicinarsi della stagione delle piogge, ricorda Msf, i problemi di insicurezza alimentare potrebbero anche peggiorare, poiché gli agricoltori avranno maggiori difficoltà ad accedere ai campi. Inoltre, a causa del conflitto e dell’elevato livello di insicurezza, hanno paura degli spostamenti o non dispongono dei mezzi necessari per lavorare i campi.
Msf, che lavora in Etiopia dal 1984, lancia quindi un monito di allarme: se non verranno fornite immediatamente scorte di cibo sufficienti e aumentati gli interventi medici e umanitari, c’è il rischio considerevole che la malnutrizione si diffonda ampiamente nei prossimi mesi, con la possibilità dell’insorgere di molti casi gravi con focolai di malattie trasmissibili.
- Ripreso dalla rivista Africa.