La presidente Von der Leyen al secondo mandato ridisegna la squadra per accentrare ancora di più le decisioni. All’Italia di Meloni un contentino simbolico, ma per Raffaele Fitto un incarico minore
La seconda Commissione di Ursula von der Leyen ha come fondamentale caratteristica l’accentramento del potere sulla presidente, con un indebolimento di quelle caselle di commissario che negli ultimi cinque anni avevano dimostrato di poter essere poteri autonomi, o quantomeno assurgere a una rilevanza propria.
Per quanto riguarda il ruolo dell’Italia, il portafoglio assegnato a Raffaele Fitto indica una promozione nella forma (vice presidente) e una retrocessione nella sostanza (Coesione invece che gli Affari economici di Paolo Gentiloni, e pare niente competenza specifica sul PNRR).
Adesso deve pronunciarsi il Parlamento, sulle singole nomine, e tutto può succedere, visto che in passato sono stati bocciati candidati per ragioni ideologiche o di competenza (Rocco Buttiglione, nel 2004) o per ragioni politiche (la francese Sylvie Goulard, nel 2019, per danneggiare Emmanuel Macron).
Tutto il potere alla presidente
Ursula von der Leyen ha presentato una ripartizione dei portafogli molto diversa da quella degli ultimi cinque anni, quando – per accontentare tutti i governi e i Partiti – aveva introdotto un doppio livello: i commissari competenti per un certo portafoglio e poi dei vicepresidenti che dovevano assicurare supervisione e coerenza tra le diverse aree.
Così in tanti potevano sostenere di essere loro a decidere: l’Italia con Paolo Gentiloni aveva l’importante portafoglio degli Affari economici e monetari, ma sopra Gentiloni c’era sempre l’intransigente Valdis Dombrovskis, lettone, esponente di quella linea del rigore cui di solito l’Italia si oppone.
Questa volta si cambia, von der Leyen si richiama ai trattati per giustificare una uguaglianza formale tra tutti i commissari. Trattati che dal 2019 non sono cambiati, ma oggi li interpreta in modo diverso. E così sparisce il doppio livello, Fitto per esempio sarà un vice presidente esecutivo, ma non supervisionerà altri commissari.
Inoltre, i portafogli vengono in gran parte redistribuiti in un modo che rende praticamente impossibile chi deciderà su cosa, infatti i giornalisti in conferenza stampa sono parecchio confusi.
La spagnola Teresa Ribera, attesa come una delle figure chiave in quanto esponente di uno dei pochi governi di area socialista nell’UE, sarà vice-presidente, e le sue competenze includono sia la concorrenza che la transizione ecologica. Sarà dunque commissaria alla «Transizione pulita, giusta e competitiva».
Che non è molto chiaro cosa significhi, soprattutto perché in parallelo viene confermato un commissario per il Clima, Net Zero e la Crescita pulita, l’olandese Wopke Hoekstra.
Come interpretare la scelta: sul clima la socialista che ha guidato la transizione verde della Spagna si eliderà con l’olandese espresso da un governo di destra scettico sul clima. Inoltre, Teresa Ribera è un’esperta di clima e transizione, non certo di concorrenza, dunque difficilmente saprà essere all’altezza dell’uscente Margrethe Vestager, degna erede di Mario Monti nel contestare fusioni e acquisizioni pericolose per il mercato unico e vincere contro i giganti del digitale americani, da Google a Apple.
Per non farsi mancare nulla, c’è pure una «commissaria all’Ambiente, la Resilienza idrica, e un’economia circolare competitiva», Jessika Roswall.
Le relazioni tra altri portafogli sono ancora più imperscrutabili: c’è il commissario alle Migrazioni, ma anche quello al Mediterraneo, che si sovrappongono; quello alle «Persone, competenze e preparazione» e quello all’«Equità intergenerazionale» e così via.
Ursula von der Leyen sostiene di aver applicato criteri di equilibrio, non solo di genere, ma anche di appartenenza politica, tra Paesi grandi e piccoli, tra Stati che erano membri dell’Ue prima della caduta del muro di Berlino e dopo… è chiaro che quanto i criteri sono così tanti, la sintesi apre spazio al massimo della discrezionalità. Che von der Leyen ha esercitato e dimostrato quando ai parlamentari ha spiegato i nuovi portafogli, ma i nomi dei commissari li ha fatti soltanto in conferenza stampa, in modo da evitare domande politiche.
Ma von der Leyen ha una risposta pronta a tutte le critiche: è il rapporto di Mario Draghi che suggerisce questo approccio di competenze trasversali. Il rapporto dice molte altre cose, forse troppe, ma è chiaro che Ursula von der Leyen lo citerà soltanto ogni volta che gli farà comodo.
Il bilancio dell’Italia
La premier italiana Giorgia Meloni ha pubblicato una foto celebrativa della nomina di Raffaele Fitto a commissario. Il successo politico deriva dal fatto che Fitto ottiene i gradi di vice presidente, e non era ovvio visto che – come Meloni – appartiene a un gruppo politico (ECR) che a Bruxelles ha votato contro il secondo mandato di Von der Leyen ed è fuori dalla maggioranza.
Meloni e FdI ottengono una prova tangibile di non essere completamente isolati, come invece pareva dopo l’esclusione da qualsiasi negoziato sulle nomine Ue (e pure quelle NATO).
Però è una vittoria soltanto simbolica: Fitto non è un vicepresidente nel senso in cui lo erano quelli della Commissione uscente. Non è il capo di nessuno, soltanto di sé stesso. E il suo portafoglio di competenze è uno dei pochi che – ha ribadito la presidente della Commissione – rimane invariato: le politiche di coesione sono certo importanti, ma molto meno di quelle su transizione, difesa, concorrenza, ecc. In pratica si tratta di assistere gli Stati nello spendere risorse che vengono stanziate dal bilancio europeo (di cui si occupa un commissario diverso).
Nella lettera di missione c’è un riferimento al Recovery Fund e al PNRR, ma soltanto come richiesta di dialogo con i Paesi per il rispetto della scadenza del 2026 (Fitto dovrà mettere fretta al governo da cui proviene, quello italiano).
Da vent’anni l’Italia non aveva un posto così poco rilevante nel collegio dei commissari, dai tempi di Franco Frattini che si occupava di Giustizia e sicurezza (materie sulle quali l’Ue non ha molte competenze).
Nelle ultime tre commissioni, l’Italia aveva avuto ruoli importanti: Antonio Tajani era vicepresidente e commissario all’Industria, poi sostituito dall’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci nell’ultima parte del mandato, ai temi del renzismo Federica Mogherini aveva avuto addirittura la Politica estera (che è uno dei quattro top job europei) e poi Paolo Gentiloni gli Affari economici: un italiano ha gestito la riforma del Patto di stabilità e crescita, qualcosa di impensabile in altre epoche storiche.
Ora la Coesione, che è importante, per carità, ma si tratta dei fondi per il Mezzogiorno, del quale Fitto è esperto, sia come ex presidente della Puglia che come ministro nei governi Berlusconi II e Meloni (al momento ha anche quella delega oltre agli Affari europei).
Una Commissione fragile
Insomma, non è vero che «l’Italia torna centrale in Europa», come dice Giorgia Meloni. Al massimo si può sostenere che Fratelli d’Italia esce dall’angolo di imbarazzante irrilevanza nel quale lo aveva cacciato la premier per essere ammesso al tavolo degli adulti, ma solo in un angolino.
Con una mossa abile e un costo politico minimo, Ursula von der Leyen si è assicurata il sostegno di Meloni che in teoria sarebbe all’opposizione con ECR.
La Francia conserva un portafoglio importante all’Industria, con vicepresidenza, anche se il prezzo per Emmanuel Macron è stato accettare la sostituzione del commissario uscente Thierry Breton, spesso in contrasto con von der Leyen, rimpiazzato all’ultimo dall’ex ministro degli Esteri Stéphane Séjourné: Macron salva la faccia, e von der Leyen si è sbarazzata di un contropotere interno con cui spesso si era trovata pubblicamente in contrasto. Al suo posto un giovane politico 39enne, con una legislatura europea alle spalle, che le darà molti meno problemi.
Nessun presidente della Commissione europea ha mai avuto e ostentato tanto potere, e mai il Consiglio europeo è stato così fragile e spaccato, con Francia e Germania paralizzate da crisi politiche croniche interne. Speriamo che di tutto questo potere e Ursula von der Leyen sappia fare buon uso.
- Dal Substack di Stefano Feltri, Appunti, 17 settembre 2024