Dopo che socialdemocratici, verdi e liberali hanno trovato l’accordo di coalizione e formato il nuovo governo, si è molto discusso in Germania delle ricadute che esso potrà avere nel rapporto fra lo Stato e le Chiese del paese – con sentimenti misti sia tra i cattolici sia tra i protestanti.
A inizio legislatura viene ora posta la questione della cessazione dei cosiddetti “contributi statali” (Staatleistungen) che i Länder, per antichi diritti, versano alle diocesi cattoliche e alle Landeskirchen evangeliche. Questa forma di finanziamento pubblico diretto va distinta dalla “tassa ecclesiastica” (Kirchensteuer) che i cittadini devolvono, su base volontaria, alle proprie Chiese di appartenenza al momento della dichiarazione annuale dei redditi. In questo caso, gli uffici delle entrate dei Länder fanno solo una raccolta girando poi i contributi volontari dei cittadini alle Chiese.
Quella dei “contributi statali” rappresenta una vecchia prassi giuridica che prevede che i Länder provvedano a finanziamenti, monetari o di beni, alle Chiese – e, in alcuni casi, contemplano anche il pagamento dello stipendio dei vescovi e dei prelati (evangelici e cattolici), come forme di sostentamento dei parroci e dei pastori.
L’idea di far decadere questa antica prassi non è nuova, tutt’altro. Già la Costituzione della Repubblica di Weimar (1919) prevedeva la cessazione del regime di “contributi statali” mediante apposite leggi che dovevano essere emanate dai Länder (essendo i concordati tra le due Chiese maggiori del paese stipulati con i singoli Länder e non con lo Stato federale). D’altro lato, la Chiesa cattolica e quella evangelica sono aperte e disponibili da tempo a rivedere questa prassi consuetudinaria – e in alcuni Länder sono stati già avviati dei tavoli di lavoro congiunti in materia.
Si dovrà valutare, caso per caso, se questa prassi origina in ragione dei concordati o meno. Nel secondo caso, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, non sarebbe necessaria l’inclusione della Santa Sede. Il nuovo governo non intende procedere ex officio, anche perché i rapporti con le Chiese e le comunità religiose è materia giuridica propria ai singoli Länder tedeschi; si tratterebbe dunque di creare una Commissione mista con rappresentanti del governo federale, dei Länder, delle Chiese e di esperti.
È prevedibile che si possa arrivare all’abbandono di questa vecchia prassi entro il termine della legislatura, dato anche il fatto che vi è una certa convergenza tra tutti i soggetti coinvolti.
Come accennato, al momento non sembrerebbe essere in questione, da parte della nuova maggioranza parlamentare, la “tassa ecclesiastica”; anche se, secondo l’ex ministro degli interni de Maiziere (attualmente presidente del Kirchentag evangelico) le due confessioni maggiori devono prendere in considerazione un dibattito su di essa spinto dalla nuova coalizione di governo.
In questo caso, si andrebbe a toccare su entrambi i fronti il diritto concordatario e il suo ancoraggio nella Legge fondamentale tedesca – rendendo la questione molto più complessa da un punto di vista giuridico.
Ricordiamo che fu lo stesso Ratzinger, con un articolo pubblicato sulla Frankfurter Allgemeine, ad auspicare la cessazione di un simile tipo di rapporto fra Stato e Chiesa in Germania, in vista di quella “Entweltlichung” della Chiesa cattolica tedesca così cara all’ex prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.
Margot Käßmann ha recentemente affermato che la tassa ecclesiastica è “una cosa giusta”, in quanto i finanziamenti che essa provvede confluiscono, per la maggior parte, nel sostentamento delle attività caritative e sociali delle due Chiese a bene di tutto il paese, soprattutto dei ceti più marginali e disagiati della popolazione. Senza Caritas e Diakonie, o con una forte restrizione della loro sfera di azione, la cura sociale della Germania pagherebbe un prezzo altissimo a spese di coloro che si trovano già in difficoltà di vita.
Questa copertura del sociale mediante le organizzazione ecclesiali, basata sul principio della sussidiarietà, rappresenta una caratteristica specifica dello stato sociale così come la Germania lo ha modellato nel dopoguerra.
Abbandonare il sistema della “tassa ecclesiastica” significherebbe, in pratica, prendere congedo definitivo dalla Germania come stato sociale – cosa che è certamente nelle corde del neo-liberismo dei liberali, ma dovrebbe stridere all’orecchio dei social-democratici e anche dei verdi.
È caricaturale il tentativo di celare il carattere simoniaco della kirchenstauer dietro le attività caritative ecclesiastiche. Le tasse ed i contributi statali – nonché le cattedre statali di teologia – sembrano piuttosto alimentare un ipertrofico sistema di potere ecclesiastico che ha addomesticato anche buona parte del laicato
cattolico i cui opinion leader sono spesso dipendenti ecclesiastici.
Un sistema di potere oramai orientato alla protestantizzazione del cattolicesimo tedesco.
Ma poi non la si doveva abbandonare ‘sta chiesa costantiniana?