L’enorme focolaio di Coronavirus (circa 1600 infetti e 7000 persone in isolamento) concentrato in un’azienda per il macello nel Nordrehin-Westfalen ha smascherato condizioni di lavoro in Germania di migranti provenienti dall’est dell’Unione Europea, in particolare Bulgaria e Romania, che mons. A. Puff, vescovo ausiliare di Colonia e presidente della Commissione per i migranti della Conferenza episcopale tedesca, non ha esitato a definire come «sfruttamento e pratiche simili alla schiavitù».
Attraverso l’esternalizzazione delle assunzioni a tempo determinato, le grandi imprese che operano nel settore del macello e in quello agricolo raggirano la legge federale sul salario minimo, aumentando vertiginosamente i guadagni delle proprietà a spese dei lavoratori e della loro salute: costretti a lavorare «in mancanza delle necessarie misure di sicurezza e a vivere in locali sovraffollati».
Davanti a queste nuove schiavitù dei lavoratori dell’Unione Europea in Germania la politica – prosegue mons. Puff – deve reagire «impedendole in maniera definitiva», mettendo in atto controlli effettivi che non siano influenzati da gretti interessi economici di parte e da alleanze lobbystiche di malaffare tra amministratori locali e imprenditori.
Questo ultimo focolaio di Coronavirus scoppiato, non senza preavviso, in Germania ha rivelato dunque una zona grigia della virtuosità tedesca in cui pratiche lavorative di sfruttamento e schiavitù, che «sembravano essere fenomeni di tempi passati o di paesi lontani», sono invece la dura realtà dell’imprenditoria tedesca. I cittadini stessi devono interrogarsi davanti a questi dati di fatto, chiedendosi «se ciò che consumano sia dovuto allo sfruttamento del lavoro. Dobbiamo essere consapevoli che i nostri modi di consumo influenzano le condizioni di lavoro e il reddito dei lavoratori».
Il caso non ha mancato di assumere toni razzisti: dapprima con l’accusa del proprietario del mattatoio rivolta verso gli operai bulgari e rumeni di aver importato in Germania il Coronavirus dopo un breve periodo di vacanza passato da alcuni di essi nei loro paesi di origine; poi da parte del presidente del Land, il cristiano-democratico Armin Laschet, che si era espresso in maniera analoga – salvo poi dover ritrattare le sue dichiarazioni sotto pressione del ministro federale degli esteri H. Maas e del governo di Berlino.
In questo momento Maas è impegnato in un’intensa opera di diplomazia nei confronti dei paesi dell’Unione Europea più duramente colpiti dalla pandemia (Spagna e Italia fra gli altri), per cercare di ricucire gli strappi violenti causati dall’opinione pubblica tedesca e dalle dichiarazioni di rappresentanti dei partiti di governo nei confronti di questi paesi europei.
Nell’insieme, la credibilità della leadership politica tedesca in Europa, e la presunzione con cui oppone la sua virtuosità al lassismo degli stati meridionali e orientali dell’Unione, ne esce sicuramente scalfita – e questo proprio alla vigilia dell’inizio del semestre tedesco alla presidenza del Consiglio dell’Unione Europea.
Adesso sappiamo bene che esiste anche la versione teutonica del caporalato italiano, lo sa anche l’opinione pubblica tedesca «che non se ne interessava affatto, perché era più comodo chiudere gli occhi davanti a questo fenomeno» – come ha onestamente riconosciuto mons. Puff a nome della Conferenza episcopale.