Quando sulla scena politica apparve nella seconda metà degli anni ’80 Michail Gorbaciov, le riforme politiche – perestrojka) da lui attuate portarono allo scioglimento dell’Unione Sovietica (25 dicembre 1991). Il Vaticano riconobbe subito i segni dei tempi nuovi e le accettò con un certo ottimismo.
La visita di Gorbaciov in Vaticano, il 1° dicembre del 1989, portò frutti concreti: i rapporti diplomatici tra il Vaticano e l’Unione Sovietica, la libertà religiosa, il riconoscimento della Chiesa greco-cattolica da parte dello Stato e l’invito rivolto al papa di visitare la Russia.
I primi tre punti si realizzarono nei primi mesi del 1990, ma la visita del papa non si realizzò e vi fu la questione della registrazione e dell’organizzazione delle Chiese libere nel territorio della Russia. Divenne, con il titolo di nunzio apostolico, rappresentante del papa non più in Unione Sovietica, ma nella Federazione Russa, il diplomatico p. John Bukovsky, uno dei grandi artefici dell’Ostpolitik, proveniente da Bucarest. L’edificio della nunziatura era un appartamento in un grande edificio di 13 piani.
In Russia vi erano due amministrazioni apostoliche (non diocesi): una per la parte europea a Mosca (mons. Kondrusiewicz) e l’altra per la parte della Siberia a Novosibirsk (mons. Werth).
La Costituzione e la libertà religiosa
In quegli anni era in corso una grande e accesa discussione sulla legge ecclesiastica, modificata nel 1990 in coincidenza con la nuova Costituzione dello stesso anno.
La Costituzione garantiva la libertà religiosa secondo il modello occidentale; ogni persona è libera di credere o non credere, di confessare il proprio credo religioso privatamente o in pubblico; tutte le religioni e le Chiese sono uguali davanti alla legge; nessuno può essere perseguitato per la sua religione. Le Chiese e le organizzazioni religiose potevano aprire scuole e seminari e dotarsi di trasmittenti radio; potevano registrarsi e svolgere liberamente le proprie attività.
Per buona parte della Chiesa ortodossa una legge del genere era inaccettabile. Nel 1993 non fu firmata dal presidente Jeltzin, perché conteneva molti punti in contraddizione con la Costituzione. Nel 1997 fu presentata una nuova stesura, che fu approvata dal parlamento russo a grande maggioranza, che Jeltzin però non firmò. Ma, dopo il secondo veto da parte del presidente, entrò automaticamente in vigore.
Approfittando di un certo clima favorevole, la Sante Sede decise di mettere mano all’organizzazione della vita ecclesiastica in Russia.
Al tempo degli zar vivevano in Russia circa 8 milioni di cattolici. Dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica, restarono nella Federazione Russa, formando una piccola minoranza, forse un milione e mezzo. Verso gli anni 2000, i cattolici in Russia non oltrepassavano le 200 mila unità.
Nel paese vi erano 397 parrocchie e molte di queste erano ridotte a piccole comunità di 50 membri circa. I sacerdoti erano circa170, per metà religiosi. Quasi tutti erano stranieri, in maggioranza polacchi, tedeschi, soprattutto nella zona del Volga, italiani, slovacchi e americani. Le religiose (120) provenivano da 27 istituti diversi.
Si aprirono scuole in Siberia e si riuscì a pubblicare un giornale cattolico La luce del vangelo per tutto l’immenso territorio. Nel 1996 a San Pietroburgo si aprì il seminario sotto l’instancabile operosità di don Bernardo Antonini, un prete di Verona. Nel 1997 il vescovo Werth aprì un seminario minore a Novosibirsk, affidato ai gesuiti.
Nel 1999, sotto la forte pressione del nunzio Bukovsky, vennero nominati due vescovo: mons. Klement Pickel, amministratore per la parte sud-europea con sede a Saratov e mons. Jerzy Mazur, amministratore per la Siberia orientale con sede a Irkutsk.
All’avvento della libertà religiosa, in Unione Sovietica erano aperte due chiese: la chiesa di San Luigi a Mosca e la chiesa della Madonna di Lourdes a San Pietroburgo. Ambedue erano di origine francese e, durante il regime comunista, servivano soprattutto per i diplomatici presenti a Mosca e per gli stranieri. Oltre a queste, nel territorio della Russia, per i fedeli non c’era nessun’altra chiesa o cappella. In Siberia c’era una chiesa a Karaganda e una a Frunze.
A San Pietroburgo, prima della rivoluzione del 1917, vi erano 5 chiese. L’amministrazione della città iniziò a restituirle. A Mosca c’erano tre chiese; ne fu restituita una, la chiesa dell’Immacolata, che fu consacrata nel 1999 dal card. Sodano.
Le riparazioni o le costruzioni di nuove chiese impegnavano moltissimo i sacerdoti e le piccole comunità, con i fondi che provenivano soprattutto da Germania, Italia, Polonia e America. La gran parte dei preti, religiosi e religiose viveva in condizioni modeste e precarie.
Difficile convivenza tra Chiesa cattolica e Chiesa ortodossa
La convivenza tra le Chiese cattolica e ortodossa non fu certo facile. Il patriarca Alessio, morto nel 2008, si lamentava e condannava la Chiesa cattolica per questi motivi:
- l’esistenza della Chiesa greco-cattolica nell’Ucraina occidentale,
- la rapida riorganizzazione della gerarchia cattolica nel territorio canonico del patriarcato di Mosca,
- il proselitismo della Chiesa cattolica in Russia.
La Santa Sede rispose con tre documenti:
- la lettera di papa Giovanni Paolo II inviata ai vescovi europei nel 1991,
- i documenti della commissione Pro Russia del 1992,
- il testo della Dichiarazione di Balamand del 1993.
I documenti stabilivano alcuni principi:
- la Chiesa greco-cattolica ha diritto alla propria esistenza,
- il problema delle chiese e degli edifici va risolto con il dialogo e non con la violenza,
- i sacerdoti cattolici e le suore non hanno il compito di convertire i fedeli ortodossi,
- deve essere rispettata la coscienza delle singole persone,
- l’obbligo delle scuole teologiche ecclesiastiche di educare i sacerdoti nello spirito dell’ecumenismo;
- l’impegno della gerarchia cattolica a informare la gerarchia ortodossa sulle iniziative importanti.
Il nodo “ecumenismo”
Il problema grosso era l’ecumenismo. Secondo alcuni vescovi, l’ecumenismo era una delle più grandi eresie dei tempi contemporanei. Nei seminari e nelle facoltà non si respirava lo spirito ecumenico. Si davano informazioni distorte e false, spesso ostili, nei confronti dei cattolici.
Si attaccava l’idea della visita del papa a Mosca, proposta già da Gorbaciov nel 1989, che non poté realizzarsi.
Vi furono due tentativi. Nel 1996 il governo ungherese e i vescovi, d’accordo con l’ambasciatore a Mosca, lavorarono all’incontro del patriarca Alessio con Giovanni Paolo II nell’abbazia di Pannonhalma in Ungheria. L’incontro doveva aver luogo in giugno, ma il patriarca chiese di spostare l’incontro a settembre. Roma acconsentì, ma l’incontro non si realizzò a motivo della forte opposizione da parte di metropoliti, vescovi, preti e monasteri della Chiesa ortodossa.
Si parlò successivamente di Heilegenkreuz, monastero dell’Austria. Tutto pronto, ma una settimana prima dell’incontro tutto saltò a causa del problema riguardante la Chiesa greco-cattolica in Ucraina.
Lo diceva spesso Giovanni Paolo II, che di Est se ne intendeva: dobbiamo lavorare molto, pregare e soffrire per essere veramente ecumenici.