A fronte della grave crisi geopolitica in atto e della conseguente crisi energetica all’orizzonte, SettimanaNews ha posto al prof. Gianfranco Pacchioni, docente di chimica dei materiali presso l’Università Milano Bicocca, alcune domande a cui la politica – unitamente alla collettività italiana – dovrà, molto presto, dare risposte. Le domande sono di Giordano Cavallari.
- Caro Professore, cosa pensa della riattivazione e potenziamento delle centrali termoelettriche a carbone, come prospettato dal Presidente Draghi? Abbiamo carbone in Italia? Si tratta di riprendere l’attività estrattiva? È una cosa che si può fare in breve? Con quali costi, anche ambientali?
Non è mai facile riprendere attività che sono state interrotte, in particolare quando si parla di attività estrattive. In Italia abbiamo 6-7 centrali a carbone che potrebbero a regime fornire il 15% dell’energia elettrica. La stragrande maggioranza del carbone che utilizziamo (o utilizzeremo) proverrà dall’estero, in quanto l’attività estrattiva in Italia è molto ridotta e limitata alle miniere del Sulcis in Sardegna. Bruciare carbone produce circa il 30% in più di CO2 rispetto ad altri combustibili fossili, per cui l’idea di procedere verso una decarbonizzazione viene al momento accantonata di fronte a un rischio di grave emergenza energetica.
- Cosa pensa della intensificazione della attività estrattiva di gas e petrolio in Italia? Quali risultati potrà dare e in quali tempi?
Una cosa è certa, come dicevo le attività estrattive non si attivano dal mattino alla sera, servono tempi lunghi, mesi quando non anni. È chiaro che in un quadro geopolitico profondamente cambiato dopo l’invasione dell’Ucraina l’Italia dovrà cercare di differenziare fortemente le sue forniture energetiche e ridurre per quanto possibile la dipendenza dall’estero.
- In fatto di “fonti di energia rinnovabili” su cosa si può, secondo lei, puntare nell’immediato e nel breve termine?
Incentivare il fotovoltaico con provvedimenti mirati potrebbe aiutare a ridurre i consumi urbani. Ma non ci sono soluzioni miracolistiche, la prevista transizione energetica richiede qualche decennio per essere ultimata.
- Risparmio energetico e austerità: si può risparmiare in maniera significativa e in che modo, con quali misure, imposte per legge?
Il risparmio energetico probabilmente non verrà imposto per legge ma sarà inevitabilmente determinato dall’innalzamento dei prezzi dell’energia. Questo vale per i consumi domestici e individuali, meno per quelli industriali. Un forte aumento dei costi di gas ed elettricità potrebbe portare i consumatori ad essere necessariamente più attenti, ma con costi sociali molto alti. Ci avviamo verso la stagione calda, e molti consumi saranno legati al condizionamento degli edifici. Fino alla fine del secolo scorso questo non era molto diffuso, e la gente sopportava il caldo senza lamentarsi. Ora basta poco più caldo del dovuto per «soffrire». Ridurre il raffrescamento estivo potrebbe essere una misura di risparmio che darebbe un po’ di disagio senza intaccare pesantemente gli stili di vita. Ma di nuovo il vero problema sono le produzioni industriali: le aziende sono già attente da tempo al risparmio energetico, per cui ci sono ancora margini di miglioramento, ma non enormi.
- Cosa pensa dei termovalorizzatori con cui recuperare energia dai rifiuti, specie quelli plastici che attualmente sono riciclati in misura minima? Perché non andare a recuperare tutta la plastica dispersa nell’ambiente (compresa quella in fiumi, laghi e mari) per farne combustibile? Quale, secondo lei, per contro, l’impatto ambientale?
I termovalorizzatori sono in effetti utili per produrre energia dai rifiuti, ma solo se questi sono raccolti in modo efficace e selettivo. Raccogliere plastica dispersa nell’ambiente è una operazione costosa, che va fatta sostanzialmente a mano, di fatto vanificando i vantaggi economici della raccolta. Resterebbero ovviamente quelli ambientali.
- Conosciamo il suo pensiero sul nucleare di cui si ritorna a parlare: vuol ribadire in breve?
I problemi principali del nucleare sono tre: non ci sono soluzioni chiare per lo stoccaggio delle scorte radioattive che vengono lasciate “in regalo” alle generazioni future; i tempi di realizzazione sono molto lunghi: 10-20 anni; non è facile ottenere il necessario consenso della popolazione locale per l’installazione di una centrale su un dato territorio.
Delle tre problematiche, la seconda (tempi) e la terza (consenso) sono veri e propri macigni sulla strada del nucleare.
- Come affrontare dunque l’attuale crisi energetica – di natura geopolitica – che si va ormai profilando, specie in Italia?
Non è per niente facile. Ci sono problemi di grande portata. L’unica via è differenziare le fonti di approvvigionamento e non perdere tempo in inutili diatribe come avvenne nel caso della realizzazione dalla TAP (Trans Adriatic Pipleline).
- Gli obiettivi di COP 26 stanno saltando?
Purtroppo, si. È una cosa che temevo, ma che non mi aspettavo avvenisse così presto. L’energia è il motore dello sviluppo e del benessere. Se vengono meno le fonti “pulite” e sostenibili, non c’è nessun dubbio che nessuno esiterà ad utilizzare fonti fortemente inquinanti per ottenere l’energia di cui c’è bisogno. Bertold Brecth diceva: «Erst commt das Fressen, dann di Moral», prima di affrontare questioni etiche, va riempita la pancia.
Apprezzo molto il realismo e la franchezza del Prof. Pacchioni.