Le affermazioni e le scelte del patriarca di Mosca sono inequivocabili, soprattutto se interpretate non solo nella tragica contingenza dell’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, bensì nel più ampio e complesso mondo dei rapporti tra le religioni e la geopolitica.
Riguardano e impattano il mondo ortodosso, ma hanno grande rilievo nella connessione di pensieri dalle origini, di per sé, molto lontane: in Occidente – negli stessi Stati Uniti, ad esempio – ovvero nel Medio Oriente. Sino ad imbastire una sorta di ecumenismo dei fondamentalismi religiosi.
Il punto cruciale è il tempo: in quale tempo della storia si colloca il baricentro o la casa di questi pensieri?
Il luogo del tempo
Secondo il grande scrittore siriano Yassin al-Haj Saleh, dobbiamo cogliere il tempo, capire dove abita. Sì, dobbiamo stabilire dove sia più saggio ubicare la casa del tempo: nel presente o nel passato. Compiendo la seconda scelta, si vive rintanati in piccoli mondi, tribali, contrapposti, mitologici.
L’antica Odissea ci parla di un tempo che ha la sua casa, appunto, nel passato. Ulisse vuole tornare ad Itaca. La meta del viaggio è il ritorno. Mentre nella contemporaneità – a noi più prossima – è arrivato uno come Keruac a dirci che siamo su una strada che passa sulla soglia di casa, su cui immetterci, non per tornare indietro ma per andare avanti, incontro al domani, perché ci sia domani.
La tendenza a riportare la casa del tempo nel passato l’abbiamo vista diffondersi tra noi, in questi anni, coi sovranismi. La tendenza più rischiosa è stata colta alla perfezione da una religiosa orientale cattolica che, in un’intervista a un quotidiano italiano, ha detto: “Il presidente, il popolo e l’esercito sono la nostra Santissima Trinità”.
Patriarcato e nazionalismo
Il nazionalismo è patriarcale, perché concepisce il passato come il padre del presente e rifiuta di pensare il presente come il tempo dei fratelli. Uscire dal passato è quindi impossibile per chiunque usi il passato quale strumento di legittimazione del potere.
Così collocano la casa del tempo – nel passato – molti fondamentalisti islamici. È infatti evidente quanto l’esportazione della rivoluzione khomeinista abbia mirato e miri a ri-fare l’impero persiano, ossia a tornare a quel tempo. Che dire poi della scelta del regno saudita di fare del Corano la Costituzione ove collocare la casa del proprio tempo?
Per certi versi, gli unici che vogliono cancellare il passato e ri-fare la storia sono gli ultraestremisti islamici dell’Isis, ma a loro modo, cioè con un nuovo punto di inizio posto nella scelta del presunto califfo di chiamarsi Abu Bakhr, come il primo successore di Maometto: nuova origine del tempo e uso della gomma abrasiva sulla storia islamica, da riscrivere dalle origini guardando indietro.
Nazionalismo, insieme a piccolo o grande impero, è il concetto chiave per interpretare il pensiero politico dei fondamentalisti.
Il mondo russo di Cirillo
Kirill – da quando è stato eletto patriarca di Mosca e di tutte le Russia – insiste sul concetto di mondo russo, equivalente a Santa Russia. Il suo patriarcato, dunque, non riconosce gli attuali confini politici della Federazione Russa: non sono i confini fisici a delimitare le sue competenze territoriali. Il patriarca vuole avere piena giurisdizione su tutto ciò che appartiene al supposto mondo russo, cioè su Russia, Bielorussia, Ucraina, Moldavia e persino Kazakistan. Almeno.
Senza un minimo accenno alle vicende di un passato prossimo dolorosissimo – ad esempio, lo sterminio dei kulaki ucraini da parte di Stalin -, Kirill torna al passato remoto del battesimo della Rus’ – il mitologico rito collettivo con cui il re Vlad unì le tribù slave nell’860 – per là collocare la sua casa del tempo, evocando, con ciò, un idealismo spiritualistico che dominerebbe il corpo unitario del popolo russo.
Ma il patriarca non ricorda o non vuole ricordare le lezioni di grandi autori – scrittori, filosofi e teologi russi -, quali Nikolai Berdjaev, che, dall’esilio di Parigi, ormai diversi decenni fa, scriveva della libertà quale valore supremo dovuto al prossimo.
Il dovere verso l’altro
Mentre la libertà – quale dovere verso il prossimo -, altro da sé, mi sembra una caratteristica – questa sì – santa (perché da Dio) e perciò posta in evidenza nel Documento sulla fratellanza umana firmato da Francesco e dall’imam di al Azhar ad Abu Dhabi! “La libertà è un diritto di ogni persona: ciascuno gode della libertà di credo, di pensiero, di espressione e di azione. Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”.
La libertà è un dono di Dio e, nello stesso tempo, un dovere nei confronti dell’altro. Come, dunque, l’idea di mondo russo – così come pure altre idee che hanno circolato e circolano anche nel mondo cattolico collegando l’altare all’impero – può conciliarsi con la libertà nella comunione ecclesiale?
Il professor Antoine Courban, in un suo recente articolo sulla questione moscovita, ha riassunto brillantemente l’incompatibilità dei due modelli di Chiesa: da una parte sta la Chiesa che si pone in funzione dell’assemblea dei fedeli del luogo in cui questa vive – come da tradizione apostolica -, dall’altra sta la Chiesa etno-nazionale, fondata sull’identità dei suoi membri che inevitabilmente piomba nel filetismo, o etno-filetismo, cioè nella predilezione di un gruppo etnico, ossia nell’eresia condannata dal Grande Concilio ortodosso del 1872.
Il filetismo – molto diffuso, ad esempio, anche nella cultura e nella realtà del cattolicesimo medio-orientale – affonda, per me, le sue radici nella questione della protezione, così come conosciuta dai cristiani sotto il governo ottomano.
La protezione ottenuta dai musulmani – nel momento in cui arrivò Napoleone e portò con sé il concetto di nazione – indusse a tradurre il termine sino ad allora usato per indicare le comunità di fede – millet – con “nazione”. “Nazione cristiana” è divenuto il modo di dire che non esiste un mondo che non conosca le nazioni su base etnica e religiosa. Ma non è sempre stato così. E non detto che debba essere così.
Fondamentalismi: il nemico necessario
La mia sensazione – forse esagerata – è che l’idea del mondo russo richieda dei nemici per autosostenersi. Nella Quarta Teoria Politica di Aleksandr Dugin, – quella del mondo russo contro l’Occidente – l’idea diviene “metafisica”. “Metafisica” è la parola che il patriarca ha pronunciato nella sua omelia del 6 marzo scorso, tracciando un muro tra il mondo russo e il potere mondiale che vuole imporre il peccato contro Dio quale opzione disponibile all’uomo.
“I gay pride sono progettati per dimostrare che il peccato è una delle variabili del comportamento umano. Ciò significa che si vuole imporre con la forza un peccato condannato dalla legge di Dio, e quindi imporre con la forza alle persone la negazione di Dio e della sua verità. […]. Intorno a questo argomento oggi c’è una vera guerra. Stiamo parlando di qualcosa di diverso e molto più importante della politica. Stiamo parlando della salvezza umana, di come finirà l’umanità, da quale parte, a destra o sinistra, di Dio Salvatore che viene nel mondo come Giudice […]. Quanto affermato indica che siamo entrati in una lotta che non ha un senso fisico, ma un significato metafisico”.
Non è esattamente quanto scriveva il padre del fondamentalismo islamico, Sayyd Qutb? Per Qutb la questione con l’Occidente è soprattutto “stabilire per legge le norme del comportamento collettivo e scegliere qualsiasi modo di vita senza tener conto di quanto prescritto da Dio”.
È importante cogliere la convergenza rintracciabile grazie al saggio pubblicato da La Civiltà Cattolica di padre Antonio Spadaro e Marcello Figueroa a proposito dei fondamentalisti americani, cattolici e protestanti: nella loro narrativa “ciò che spinge al conflitto non è bandito. Non si considera il legame esistente tra capitale e profitti e la vendita di armi. Al contrario: spesso la guerra stessa è assimilata alle eroiche imprese di conquista del Dio degli eserciti, di Gedeone e di Davide. In questa visione manichea, le armi possono dunque assumere una giustificazione di carattere teologico, e non mancano anche oggi pastori che cercano per questo un fondamento biblico, usando brani della Sacra Scrittura come pretesti fuori contesto”.
Cosa aggiungono gli 800 teologi ortodossi che hanno contestato Kirill? Se i fondamentalisti americani parlano di Stati Uniti come nazione benedetta da Dio, i teologi ortodossi ricordano al patriarca russo che parlare in questi termini è eresia, perché se la Chiesa fosse etnica non sarebbe più la Chiesa di Cristo, del Vangelo, degli Apostoli.
Dalla Chiesa etnica filtra un approccio messianico – in senso politico – che a prima vista può sfuggire. Voler edificare il Regno di Dio, pretendere di possederlo nel mondo russo, o altrove, è molto pericoloso.
Nel citato saggio di padre Antonio Spadaro e del pastore Marcelo Figueroa sul fondamentalismo americano, si scrive: “Il termine fondamentalismo evangelico, che oggi si può assimilare a destra evangelicale o teoconservatorismo, ha le sue origini negli anni 1910-15.
A quell’epoca un milionario del Sud della California, Lyman Stewart, pubblicò 12 volumi intitolati I fondamentali (Fundamentals). L’autore cercava di rispondere alla minaccia delle idee moderniste dell’epoca, riassumendo il pensiero degli autori di cui apprezzava l’appoggio dottrinale. […]. Furono suoi estimatori vari esponenti politici e anche due presidenti recenti come Ronald Reagan e George W. Bush. Il pensiero delle collettività sociali religiose ispirate da autori come Stewart considera gli Stati Uniti una nazione benedetta da Dio, e non esita a basare la crescita economica del Paese sull’adesione letterale alla Bibbia”.
Non sorprende allora che il professor Massimo Borghesi abbia scritto sul fondamentalismo islamico parole che possiamo riferire anche a Kirill come ai fondamentalisti americani: “Non si tratta di una mera espressione di tradizionalismo, ma di una modernità reazionaria che prende forma nell’imitazione dell’antioccidentalismo ideologico marxista che dilaga nell’Europa e nel mondo a partire dalla seconda metà degli anni Sessanta. La critica all’Occidente, che è propria del fondamentalismo, è del tutto analoga a quella che il marxismo rivolgeva al sistema capitalistico, egoista e corrotto”.
La leadership di Francesco
Qui emerge un altro punto che unisce i fondamentalisti ma pure i pan-arabisti e buona parte dei marxisti sovietici e post-sovietici: porsi contro il mondo egoista e corrotto. E dunque bisogna combattere contro questo mondo, corrotto e corruttore.
Il timore è fortemente fondato anche in America. Padre Spadaro e il pastore Figueroa ancora scrivono: “(questi vogliono) combattere le minacce ai valori cristiani americani e attendere l’imminente giustizia di un Armageddon: una resa dei conti finale tra il Bene e il Male, tra Dio e Satana”.
Ecco perché, per me, solo Francesco emerge come il leader morale globale, perché il suo ecumenismo unisce nella fratellanza tutti coloro che pongono la casa del tempo nel presente, quale tempo dei fratelli. Unisce credenti e non credenti per il mondo, non contro il mondo, per cambiarlo, non per distruggerlo.
È un ecumenismo – quello di Francesco – che richiede l’impegno esigente e il sostegno di tutti, diversamente fratelli. Ci ricorda che non può esserci un fondamentalismo anti-fondamentalista.