Cosa pensavo il 1° gennaio? Ho assistito alla cerimonia di insediamento del presidente Lula, con la costante preoccupazione delle possibili reazioni violente dell’estrema destra, perseguitato dal ricordo del 22 novembre 1963, quando a Dallas, Texas, fu assassinato John Kennedy.
João Filho, giornalista di The Intercept Brazil, ha scritto che «l’insediamento di Lula non è l’inizio del paradiso, ma l’uscita dall’inferno»; ma la continuità della folle contestazione del risultato elettorale mi ha mostrato che l’inferno sembrava continuare, resistendo agli importanti pronunciamenti di Lula e anche alla narrazione fatta di simboli belli e suggestivi del protagonismo popolare.
Insomma, oltre ad assumere la presidenza in un contesto disastroso dell’economia, dopo le violenze, le distruzioni e i saccheggi del precedente governo, Lula continuava ad essere minacciato dalle mobilitazioni dell’estrema destra. Non riuscivo a cancellare il ricordo del tentativo di far saltare in aria un camion di carburante vicino all’aeroporto di Brasilia, il 23 dicembre, e quindi all’incontrastata continuità degli accampamenti che la stampa insisteva unanimemente a definire legittime manifestazioni democratiche che settori delle Forze Armate, delle Polizie Federali e delle Polizie Militari hanno permesso, appoggiato e protetto.
Dopo l’8 gennaio
Cosa pensavo l’8 gennaio? Dopo l’occupazione e la devastazione delle sedi dei Tre Poteri a Brasilia, ho avuto la stessa impressione del sociologo Rudá Ricci. È l’ipotesi un po’ stravagante che il governo federale possa aver deciso di non affrontare gli invasori, nonostante i servizi segreti avessero informato Lula, fin nei minimi dettagli, sulle reali intenzioni della marcia “bolsonarista”.
Sospetto che Lula e il ministro della Giustizia, Flávio Dino, avrebbero finto di fidarsi del servizio di pubblica sicurezza garantito dall’inaffidabile Governo del Distretto Federale e così avrebbero portato i “bolsonaristi” – in questa partita a scacchi che è la politica – a illudersi della facilità della marcia golpista, forti e sicuri dell’appoggio del governatore Ibaneis Rocha, dei militari del Quartiere Generale di Brasilia e dell’Ufficio di Sicurezza Istituzionale della Presidenza della Repubblica (GSI/PR).
Lula e Dino avrebbero scommesso – ed era un rischio da affrontare in quella situazione estrema – sulla presunzione dell’avversario di poter dare lo scacco matto: al contrario, l’esito della violenza dei vandali è stato il riallineamento di tutta la stampa e di gran parte dell’opinione pubblica contro l’estrema destra e a favore del Governo.
In pochi minuti, i “bolsonaristi” e i loro sostenitori – occulti, ma non poi così tanto – avrebbero dovuto trasformarsi in pericolosi terroristi punibili con il rigore della legge. C’è stata, di fatto, una ritirata precipitosa del fronte di opposizione della nuova destra, con politici, impresari, militari e poliziotti preoccupati delle conseguenze politiche e criminali delle loro scelte. Insomma, ho avuto l’impressione di una battaglia sapientemente e vittoriosamente condotta da Lula.
Domande aperte
In questi giorni, appena successivi, sorgono molte domande che restano ancora senza risposta. La prima: è possibile la riconciliazione nazionale quando una parte significativa della popolazione sostiene movimenti non democratici e vive in una realtà parallela?
La seconda: la nuova priorità che la situazione impone al Governo – quella di difendere il Paese dalla violenza dell’estrema destra – non può ritardare l’agenda delle politiche pubbliche urgenti, a cominciare dalla lotta contro la fame e l’insicurezza alimentare che attinge il 15,5% (33,1 milioni di persone) della popolazione?
La terza. Appoggiando le lotte degli indigeni, dei quilombolas, dei contadini tradizionali, dei movimenti sociali delle periferie urbane, sorge una domanda – o una serie di domande – ancora più pericolosa: possiamo ipotizzare uno scenario in cui aumenterà la protezione e il controllo sui movimenti popolari nelle campagne e nelle città come un modo per salvaguardare la democrazia? La narrazione del terrorismo e dei terroristi che è oggi sposata dalla sinistra riformista può essere ambivalente e tendere ad attaccare tutti coloro che mettano in discussione l’ordine costituito, sia a destra che a sinistra? L’articolazione del potere giudiziario che oggi attacca la destra, non potrebbe forse prima o poi rivolgersi contro i movimenti che lottano per difendere la vita?
La quarta: è possibile che le mobilitazioni dell’estrema destra possano continuare? La repressione dello Stato, se non riuscirà a sconfiggere rapidamente l’organizzazione eversiva, potrà rafforzarla e favorire un’ulteriore radicalizzazione della militanza di destra?
Quinta domanda: questo movimento di estrema destra è necessariamente “bolsonarista” o potrebbe sopravvivere senza Bolsonaro, con nuovi leader regionali, ancora in gestazione?
Sesta domanda: esiste la possibilità di uno scenario, ancora più funesto, con la fondazione di un nuovo partito di destra che possa dare unità e comando a questa base violenta? La Marcia su Roma del 28 ottobre 1922 – che sembra aver ispirato la strategia del movimento di estrema destra a Brasilia – fu infatti una manifestazione armata eversiva, organizzata da un partito, il Partito Nazionale Fascista, per favorire il colpo di Stato e l’ascesa al potere di Mussolini.
I militari
Oltre alla congiuntura, ci sono processi strutturali. Il contesto attuale è nuovamente segnato dall’indebito protagonismo politico delle Forze Armate, che, dopo gli amnistiati crimini della dittatura civile-militare (1964-1985), tornano alla ribalta, complici per quattro anni di un governo antidemocratico e tendenzialmente golpista.
Oggi continuano ad imporsi con la presunzione di costituire un potere moderatore, ma, al contrario, hanno finito per tradire la Costituzione del 1988, riesumando il ruolo di partito organico dell’estrema destra, con influenze sulla Polizia Federale e sulla Polizia Militare, per combattere i movimenti sociali, considerati comunisti e nemici di classe.
La Nota congiunta dei comandi militari alle istituzioni e al popolo brasiliano dell’11 novembre 2022 e la nomina al Ministero della Difesa di José Múcio Monteiro che, durante la dittatura, era membro del partito dei militari, l’ARENA, mostrano esemplarmente la costante capacità di ricatto delle Forze Armate, che sono sempre state un pericolo per le istituzioni democratiche.
La destra brasiliana
Un’ultima domanda: esiste lo scenario di una fine anticipata del governo Lula?
C’è un aspetto strutturale da considerare qui. La destra brasiliana non è un’eccezione in America Latina; esiste, infatti, un’“internazionale della nuova destra”, che, in tutto il mondo occidentale, usa gli stessi codici, le stesse accuse ai nemici, le stesse ispirazioni religiose cristiane, protestanti e cattoliche, ed è una destra che usa la violenza come strumento fondamentale della lotta politica. Una destra, che mostra il suo legame costitutivo con il sistema capitalista, rivelando, senza artifici e sotterfugi, la violenza strutturale del capitalismo.
Dopo il Campidoglio di Washington del 6 gennaio 2021, l’assalto alla sede della federazione sindacale CGIL a Roma, il 9 ottobre 2021, le bombe di Natale e l’occupazione delle sedi dei Tre Poteri a Brasilia, sembra che le democrazie siano sempre più lontane dal poter vincere la disputa che deciderebbe chi è il miglior alleato del capitalismo e, nella migliore delle ipotesi, saranno condannate, nei prossimi anni, a convivere con le minacce del terrorismo di destra.