Il dopo Assad raccontato da p. Dall’Oglio

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In Siria è giunta l’ora della Liberazione. Come sempre il futuro non è garantito. Ma nel giorno della liberazione, quando è caduto il regime siriano, una dinastia che ha tormentato la Siria e i siriani per 54 anni, è triste che nessuno abbia ricordato padre Paolo Dall’Oglio. Eppure i suoi libri e la sua storia, espulso da Assad e sequestrato dall’Isis undici anni fa, oggi sono preziosi per capire dove siamo e dove potremo andare – domani.

Il libro dal quale prendo qualche spunto si intitola Collera e luce, pubblicato da EMI poco poco che lui sparisse nel 2013. È un libro che, rileggendolo oggi, scopriamo che ci parlava già di domani, dei dubbi, delle speranze, delle paure che ognuno si porta in cuor suo in queste ore. L’orrore assadista non può aver creato gruppi di figli dei fiori: ha creato odio, sete di vendetta, disperazione. Pensiamo soltanto a chi si è visto estirpato dalla sua casa e cacciato oltre i confini nazionali, sono 6 milioni; o chi è stato gettato nelle campagne di Idlib o dell’estremo sud, senza un motivo se non la sua appartenenza comunitaria – sono sei milioni, desolati, come la terra che abitano.

Ecco, tutto quello che questa ferocia ha provocato e tutto quello che la rabbia di queste vittime può scaricare sugli altri è il vero problema. Assad ha governato creando scontri tra comunità, perseguitando quella maggioritaria. Questo ha alimentato un’ideologia religiosa, il terrorismo, che p. Paolo ha presentato così:

«Ritengo necessario dire, nel mondo musulmano e al di fuori, che gli attentati suicidi sono una malattia spirituale peggiore che l’eventuale perdita di territori. Difatti, rappresentano simbolicamente e talvolta liturgicamente una assolutizzazione dell’odio che si prolunga fino all’aldilà, nel mondo di Dio, oltre la morte, in orribili paradisi. Si simboleggia attraverso la scelta di tali strategie l’assoggettamento radicale del valore della persona a quello di valori mitici e di obiettivi collettivi. Si perde il senso del valore teologico della vita terrestre, sostituito da paradisi fantastici stranamente comparabili a quelli del consumo proposti in televisione ai poveri della terra. Si banalizza la morte e la sofferenza e si ingigantisce il sacrificio […]. Ci tengo ad affermare che i mezzi più efficaci per lottare contro il jihadismo sono la solidarietà nella trasparenza e un dialogo sul campo per far uscire i nostri figli dal baratro della violenza».

Ma non si può vedere un guaio solo della medaglia dell’orrore. Gli esempi sono tanti, ne leggo uno nel libro di Dall’Oglio:

«A Natale del 1981, nel salotto dei gesuiti, un membro della sicurezza dello stato suscitò l’approvazione di tutti gli ospiti presenti raccontando di aver messo a tacere dei mascalzoni che avevano calunniato il patriarca. Aveva fatto loro capire che erano in errore minacciandoli violentemente. Ecco che il teorema era dimostrato: “Vedete, il nostro regime è la vostra protezione”.  Io non sono intervenuto. Ma ho preso coscienza allora della complicità della chiesa con il potere, un potere basato sulla repressione generalizzata, fondato sulla tortura. Ho fatto in modo di non dimenticarmene mai» (p. 32).

Questa onestà oggi diviene così preziosa da aprirci gli occhi, adesso che la ruota potrebbe girare in senso inverso. La vedetta, la ritorsione, potrà esserci, ma renderla identificatrice di tutta la comunità da cui verrà, o verrebbe, sarebbe il più grave degli errori – quello su cui Assad ha fatto perno per creare urti e comandare ricattando tutti come Dall’Oglio ha avuto il coraggio di spiegare. Ma nel risvolto di copertina del libro si legge:

«La mia coscienza cristiana è chiaramente lacerata. Da un lato vi è un desiderio radicale di portare fino in fondo la rivoluzione contro questo regime. Ma dall’altro, poco o tanto, questa pare provocherebbe una islamizzazione radicale della Siria e creerebbe le condizioni per una definitiva emarginazione della comunità cristiana. Confesso di provare anche, dentro di me, un desiderio di vendetta contro coloro che ci hanno fatto così tanto male…».

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Non a caso procede dicendo che il regime lo accusò di lavorare per al-Qaida. Non c’è qui tutto il dramma di oggi? Non ci sta raccontando quel che sta accadendo adesso? Ma c’è dell’altro, in queste stesse righe. Infatti conclude il paragrafo così: «Secondo ogni evidenza qualora questo regime potesse riprendere il potere sul paese, la Siria diventerebbe un buco nero». È quanto è accaduto: trafficanti di armi, di droga, di essere umani, pezzi deviati di intelligence straniere, eserciti, milizie, terroristi… Ecco la Siria che lascia Bashar.

Ma c’era, e c’è, anche l’altra Siria – che vedeva nei giovani che si erano liberati dalla paura e scendevano in piazza a gridare per la libertà. Giovani che gli dicevano:

«Quando riesci a mettere in dubbio che il Presidente sia un dio, dopo che te lo hanno insegnato sin dalla scuola materna, quando riesci a separare verità e autorità, a distinguere oggettività e potere, e in piazza domandi dignità, allora senti di vivere un momento di libertà, di verità, di autenticità. E la cosa più incredibile è che ti arrestano per questo, ti torturano, ma il giorno dopo scendi di nuovo in piazza. Perché non possono più colpirti al cuore della tua dignità ritrovata, di uomo libero. Anche se ti picchiano, se ti obbligano a ripetere che Bashar è il tuo dio. La tortura non intacca questa dignità ritrovata».

Dovremmo imparare a rispettare queste persone, questi giovani che per mezzo secolo hanno sfidato l’orrore, e convincerli che la forza della dignità è quella che gli chiediamo se la ruota si dovesse rovesciare, non considerarli dei complici del temibile sopruso a venire. Anche questo p. Paolo lo aveva capito già allora, visto che conclude il capitolo così:«La democrazia sta in piedi solo se noi ci impegniamo e investiamo in essa». Quella che sento oggi è una evidente sfiducia: i giovani che hanno agito per la dignità una volta lo possono rifare, se servirà, se gli diamo fiducia e non gli sbattiamo in anticipo la porta in faccia. Ma questo potrebbe bastare? Non è scontato, ovviamente, ma vale la pena provarci, agendo anche su altre leve.

«Collettivamente noi cristiani ci siamo messi dalla parte di uno stato fascista e con lui perderemo tutto. È troppo tardi, il disastro è già qui […]. Tuttavia […] il tessuto sociale siriano si ricomporrà nella sua pluralità […]. Io conservo la speranza che le comunità cristiane residuali possano fiorire in una futura Siria islamica, capace di scegliere un coerente pluralismo inclusivo».

Queste righe mi commuovono e mi scuotono da anni. Benché non lo si dica, il regime di Assad e la sua pestilenziale politica ha già ridotto le comunità cristiane a fatto residuale. È così. È stato questo orrore a produrre questo esito. Ma Dall’Oglio vede che l’ottimismo deve restare di rigore. Come? Come ha fatto il suo amico Jacques Murad, il vescovo di Homs che ieri mentre i ribelli entravano in città ha parlato di Liberazione.

Questa è non solo la verità, ma anche l’unico parziale antidoto al settarismo, alla vendetta, alla risacca settaria che può esserci, che si vede nei volti di molti, non solo del capo jihadista Joulani – che già però si è tagliato la barba. Apparenza? Certo! Ma se si avverte il bisogno di apparire diversi, forse, agendo con intelligenza, si potrà farlo cambiare davvero. Non si chiede di credere in lui, è impossibile, ma nella necessità di avviare un processo.

Non si può ripercorrere tutto il libro, tutti gli spunti visionari che ci aprono un mondo non solo di cristianesimo profondo ma anche di speranza e visione. E il processo che lui voleva avviare era questo: la Siria si salva se diviene federale. Una volta al telefono Dall’Oglio mi disse che su questo si sarebbe giocato l’osso del collo. E nel mio piccolissimo sento il bisogno di dire che questa coraggiosa intuizione, che può essere fraintesa, è un distillato di inculturazione e di amore per un futuro migliore ma possibile, non ideologico.

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La Siria è una casa di mille dimore, il mosaico è stato strappato dalla consapevole ferocia di Assad che solo mettendo una tessera contro l’altra avrebbe potuto uniformarlo al suo culto della personalità. Questo mosaico può rinascere con il federalismo.

Non si tratta di cantonalizzare la Siria, come propongono gli identitaristi – questo è il mistero, questo il punto. Il federalismo che sceglieranno loro, ma che lui richiedeva e sapeva arrivare ad ammettere tutti i pensieri e tutte le comunità.  Nel federalismo, allora, ogni comunità si sentirà garantita e potrà scegliere un suo governo locale che concorrerà al governo nazionale, di tutti.

Questo federalismo non si piega a un potere straniero coloniale, o totalitario, ma concorre a configurare il paese, preservando la propria storia, la propria paura, la propria diversità. E a livello centrale tutte queste diversità valorizzandosi si incontrano, si riconoscono, si uniscono, formando dal basso la Siria, non dall’alto.

Scrivo questa semplice e parziale cronaca di un pensiero rimosso per un atto dovuto io credo da tutti, ma che mi ha sorpreso non aver trovato altrove. Quella di ieri è stata la Liberazione, il riscatto di padre Paolo – e con lui di un enorme numero di vittime siriane come lui, espulse da Assad e deportate dall’Isis.

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7 Commenti

  1. Gian Piero 9 dicembre 2024
  2. Sabatini Gianni 9 dicembre 2024
    • Anima errante 9 dicembre 2024
    • Riccardo 9 dicembre 2024
      • Angela 10 dicembre 2024
        • Riccardo 11 dicembre 2024
          • Angela 11 dicembre 2024

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