In Libano si è notato un certo contenimento dei bombardamenti urbani, almeno nei giorni passati; i mercati invece hanno fatto scendere un po’ il prezzo del petrolio dopo che autorevoli quotidiani hanno scritto che Israele avrebbe assicurato agli americani che non attaccherebbe centrali nucleari e installazioni petrolifere in Iran, ma obiettivi militari.
La preoccupazione viene però dalle parole del ministro degli esteri iraniano, che ha dichiarato per ora sospeso, per via della situazione regionale, il tavolo di colloqui indiretti con gli Stati Uniti per tramite dell’Oman. Gli Stati Uniti non vorrebbero discutere solo di nucleare ma anche di espansionismo iraniano nella regione. Questo richiede di chiarire i termini di una guerra evidente, ma della quale si parla poco.
È questa la guerra a cui si dovrebbe porre termine con un accordo di pace per prefigurare la soluzione di altri conflitti. Ci si riferisce alla guerra tra Iran e mondo arabo. Infatti molti si domandano dove stiano, e con chi, i petromonarchi arabi.
Si tratta della guerra nascosta, ma abbastanza evidente, tra Iran e arabi. Questo astio è antico di secoli, per molti risalirebbe ai tempi in cui gli arabi islamizzarono la Persia, evento a cui la grande civiltà persiana avrebbe risposto mutando dall’interno l’Islam.
Discorsi troppo grandi, ma che hanno trovato una ricaduta nella storica rivalità tra ottomani e persiani, che hanno fatto dell’altro Islam, quello sciita, la loro religione di Stato. E il conflitto, non dissimile da quello tra bizantini e persiani, si è fatto islamico – divenendo poi ancor più profondo con Khomeini e la sua esportazione della rivoluzione. Esportazione dove? Nel mondo arabo, hanno risposto in molti. Il conflitto religioso ha coperto quello storico, tra imperi.
***
La nuova fase conflittuale, almeno ufficialmente, cominciò con l’aggressione contro l’Iran rivoluzionario (sciita) da parte dell’Iraq di Saddam Hussein (sunnita). È stata la prima guerra del Golfo, che ebbe luogo negli anni ’80. Determinatisi per l’enorme prezzo pagato a tenere la guerra lontana dai propri confini, gli ayatollah crearono una loro rete di milizie armate all’estero per allontanare la guerra dai propri confini; comunque era una esportazione di conflitti, alla cui base c’era la milizianizzazione delle comunità arabe sciite.
Il solco tra i due campi si allargò e gli ayatollah avviarono un costante lavoro di denigrazione delle leadership arabe (sunnite), portando alcuni di loro nella loro sfera di influenza. L’autolesionista intervento americano in Iraq del 2003 ha consegnato all’Iran una larghissima influenza sull’Iraq; il fallimentare intervento dei petromonarchi nella grande rivolta siriana del 2011, non certo a loro ispirata, ha rafforzato l’alleanza tra Siria e Iran; l’enorme investimento iraniano su Libano e Yemen ha ridotto questi due Paesi a territori controllati dai filo-iraniani di Hezbollah e degli Houti – qui per impedire la vittoria degli Houti i sauditi sono intervenuti militarmente, una scelta costosissima e in gran parte fallita.
La minaccia nucleare iraniana divenne il coronamento di questo disegno che, nato forse come difensivo, si è fatto nel tempo offensivo, egemonico, imperiale. Una grande partita “politica”, quella per il controllo della “questione palestinese”, ne ha trasformato gli sviluppi in uno strumento di indebolimento o rafforzamento dell’un campo o dell’altro, culminato nel noto avvicinamento di Hamas all’Iran, non recente.
***
C’erano un’ideologia rivoluzionaria, un piano imperiale, una visione apocalittica a Tehran? Qui se ne è sovente parlato, senza nascondere che ci sia stata reazione aggressiva da parte saudita, soprattutto quando ci si sentiva forti; ma tornarci porterebbe lontano da ciò che si vuol sottolineare per l’oggi.
In queste ore delicatissime l’Iran non potrebbe scegliere di essere il primo a indicare la propria determinazione a porre termine a questa lunga fase bellica tra arabi (sunniti) e iraniani (sciiti), con una serie di rinunce?
La prima: rinuncia all’ uso di milizie armate in territorio nemico (arabo) ritenuto da conquistare, in cambio di un effettivo coinvolgimento degli sciiti nei vari sistemi arabi. Basta pensare a quante decine di miliardi di dollari sono stati spesi per armare Hezbollah per capire l’enormità della differenza dal punto di vista dell’ordinario iraniano.
La seconda: rinuncia alla supremazia nucleare in cambio di una regolazione del riarmo. I sauditi, che da anni chiedono a Washington di sviluppare un loro programma nucleare, potrebbero ritenere possibile un fruttuoso partenariato, se Teheran compisse questo passo: si tratta di una spada di Damocle che pende da anni sul loro capo, condizionandone le scelte di politica internazionale.
***
Al momento le indicazioni che giungono da Tehran appaiono opposte. Due dei massimi esponenti della politica iraniana, il ministro degli esteri e il presidente del Parlamento, sono potuti atterrare a Beirut per dettare l’agenda a Hezbollah: combattere fino alla fine.
Questo allevierebbe la pressione militare su Teheran, secondo l’analisi compiuta da settori del regime iraniano, mantenendo dal Libano una forte pressione su Israele. È un calcolo, di certo non rasserena le corone arabe sulle intenzioni regionali di Teheran. In questa lettura iraniana infatti scompare il fatto che la comunità sciita libanese, costituita oggi da sfollati interni senza fissa dimora, vive o sopravvive grazie alla vicinanza e alla solidarietà dei libanesi cristiani e sunniti. Il tema è rimosso.
Purtroppo però si legge che la questione nucleare viene ora sollevata come nuova indispensabile forma di deterrenza, a cui il regime dovrebbe ricorrere con urgenza. Lo sostengono soprattutto esponenti dell’ala ultraconservatrice, per i quali l’imminente attacco israeliano direbbe che solo dotarsi subito della bomba darebbe un potere deterrente a Teheran.
Una fatwa (sentenza religiosa) di Khamenei di anni fa impegnerebbe l’Iran a usare il nucleare solo per scopi civili. Ora questi ambienti ultraconservatori dicono che si è fatta l’ora di dichiarare non più valida quella fatwa e farsi veramente la bomba, per impaurire e fermare il nemico. Non è difficile eccepire che potrebbe non andare così, ma è sicuro che anche questo allargherebbe il solco tra Iran e monarchie arabe.
***
La strada che Teheran ha davanti a sé, inesplorata sin qui, è quella che appare scartata: rinunciare al nucleare in cambio della rimozione delle sanzioni americane e delle prevenzioni opposte dagli arabi, da un lato; e rinunciare alle milizie, perché le terre arabe non sono terreno di conquista, in prospettiva difensiva o offensiva dipende dai punti di vista (la mia impressione è questa scelta sia stata vissuta dalla maggioranza dei pasdaran come offensiva), dall’altro.
Non sarebbe una resa, piuttosto un nuovo inizio, un autentico e urgente cambio di paradigma – quello che forse l’anziano Khamenei non può fare. Se nei fatti l’esportazione della rivoluzione è fallita, bisogna ripensare la cultura e i metodi della rivoluzione.
Non per un caso la scelta dei conservatori di criticare il presidente riformista Pezeshkian di essere il Gorbraciov di Teheran non tiene conto che la strada di Gorbaciov non aveva alternative, quel che gli è mancato sono stati gli alleati. Forse un mondo arabo che sa di dover rapidamente e profondamente cambiare un Gorbaciov iraniano non lo lascerebbe appassire.
I libri dei sogni a volte sono troppo semplici, a volte troppo complessi. In questo caso sembra che il problema non sia il semplice salvare la faccia, visti gli enormi benefici che il libro dei sogni porterebbe, ma la complessità della rinuncia all’ideologia rivoluzionaria, privilegiando una vocazione all’autodifesa, adattandola ai tempi correnti. È infatti evidente che anche per le monarchie del Golfo si tratterebbe di ridefinire se stesse e il senso delle loro alleanze. Ma Khamenei ha 85 anni – ’85 per il saudita Mohammad bin Salman è il suo anno di nascita.
Eppure è l’Iran ad avere l’urgenza di agire, innanzitutto per ritrovare un minimo rapporto con il popolo, non solo per sopravvivere. Per bin Salman siamo in un’epoca di cambiamenti enormi che a modo suo sta fronteggiando; per l’Iran siamo all’urgenza di un cambiamento d’epoca, cioè archiviare l’esportazione della rivoluzione, voltare pagina. Impossibile?
Eppure è stato Khamenei a dire recentemente che il suo mondo dovrebbe affidarsi al soft power. Quel discorso è scomparso, sommerso dalla sua apparizione a un sermone del venerdì con in mano un mitra.
Così il recente tour regionale dei diplomatici iraniani nelle monarchie arabe del Golfo ha cercato la neutralità del Paesi del Golfo, non un accordo. La prospettiva però esiste da quando Iran e Arabia Saudita hanno ristabilito relazioni diplomatiche, due anni fa. L’idea era di procedere a tappe. Forse avere il coraggio di riconoscere che i tempi richiedono un’accelerazione prima impensabile sarebbe una prova di saggezza, quella che gli anziani dovrebbero dimostrare ai giovani.