L’Iran, Hezbollah e la «guerra di sostegno» a Gaza

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Milizie di Hezbollah sfilano a Beirut Sud (Marwan Naamani/Getty Images)

Il 9 ottobre dello scorso anno è cominciata la cosiddetta «guerra di sostegno» a Gaza da parte dell’Iran e delle milizie sue alleate, a partire dalla più nota, quella libanese, Hezbollah. È dunque importante, almeno una volta, osservare i fatti ponendo al centro questi attori, le loro azioni, i loro intendimenti. Questa «guerra di sostegno» ha coinvolto oltre ai pasdaran iraniani operativi all’estero, l’organizzazione libanese di Hezbollah, la Siria, le milizie irachene, e su un teatro separato che qui non tratteremo gli Houti yemeniti.

Tale guerra, che si svolge con azioni di «attrito» quotidiano da allora, cioè dal 9 ottobre, ha avuto due picchi: quello che tutti ricorderanno, l’attacco del 13 e 14 aprile partito dall’Iran e quello del 25 agosto, compiuto da Hezbollah. Sono state entrambe due «vendette» per due operazioni militari nemiche: l’eliminazione di comandanti dei pasdaran in una sede consolare iraniana in Siria e l’eliminazione del cosiddetto «capo di stato maggiore di Hezbollah», Shukr, ucciso nel raid del 30 luglio a Beirut Sud.

Ipotecare la causa palestinese

Entrambe le operazioni, comunque le si voglia considerare, hanno dimostrato la disparità di potenza militare tra l’asse iraniano e l’esercito israeliano sostenuto con enorme dispiegamento di forze da parte degli Stati Uniti.

L’idea di una sfida bellica dunque non esiste, e lo conferma l’annuncio della mai verificatasi terza vendetta, quella annunciata dall’Iran per l’eliminazione in Iran del capo di Hamas, Ismail Hanyeh. La «guerra di sostegno» a Gaza ha dunque lasciato Gaza nelle condizioni che tutti sanno, senza modificarne neppur minimamente l’andamento e gli accadimenti politici e militari.

Le modalità delle due «vendette» compiute sono state variamente valutate, con molti che le hanno definite «dimostrative», quasi a dire che l’importante era aver agito, dimostrando ai propri «determinazione» e «capacità». Questo ha determinato qualcosa per Gaza?

In concreto ciò che è cambiato è che, mai citati, oltre centomila cittadini del Sud del Libano sono dovuti fuggire dalle loro case, ampi territori sono stati devastati dalla «guerra di sostegno» che Hezbollah combatte da 11 mesi. Poi c’è la situazione dei 100 mila israeliani costretti anch’essi a lasciare le loro case per i razzi di Hezbollah, il che rafforza il fronte favorevole alla «guerra al terrorismo»: a creargli problemi è la tragedia degli ostaggi, non certo Hezbollah.

Eppure l’attenzione che Iran ed Hezbollah hanno ottenuto nel mondo sono enormi e l’armata americana schierata al largo delle coste libanesi lo dimostra. Uno dei più autorevoli commentatori libanesi, Michel Tuma, ha scritto in queste ore, drammatiche:

«È diventato necessario ammettere alcune realtà, per quanto dure possano essere. Il regime dei mullah è riuscito, lentamente ma inesorabilmente, a ipotecare la causa palestinese. Non con l’obiettivo di liberare un territorio o di favorire la costruzione di uno Stato palestinese, ma con il solo e unico scopo di rafforzare e cementare la statura regionale della Repubblica islamica. E, va detto, tale obiettivo è, in ultima analisi, la vera priorità della lotta condotta da Hezbollah dall’8 ottobre … in barba agli interessi vitali, al benessere e persino alla sopravvivenza del popolo libanese».

L’«asse della resistenza»

La sopravvivenza che interessa è evidentemente l’altra, quello del ruolo regionale dell’Iran, da rafforzare, pur in una condizione di evidente disparità militare. Dunque si usano le sofferenze di Gaza e del Sud del Libano per una politica di potenza, o di acquisizione di peso e spazio regionale.

In questo quadro si inserisce il dato della convalida dell’arresto dell’uomo che per 30 anni ha guidato la Banca del Libano. Paese ormai fallito economicamente, il Libano ha sempre negato l’arresto del suo «banchiere eterno», Riad Salameh, da quando la richiesta in tal senso è stata presentata dalla Francia all’Interpol. Ora finisce in prigione in Libano, con convalida dell’arresto.

In un Paese dove da due anni non si riesce ad eleggere il capo dello Stato, e quindi non c’è un governo nella pienezza dei suoi poteri, l’unico potere esistente che può aver avallato un fatto di tale rilevanza è Hezbollah. Forse perché in un contesto sconvolto dall’enormità della crisi economica, che sta portando i libanesi a fuggire sui barconi verso l’Europa, arrestarlo distrae dall’oggi, richiama l’attenzione sull’enorme circuito corruttivo che ha devastato il Libano, distogliendo dalla «guerra di sostegno» che nessuno capisce a cosa serva e che molti cominciavano a mettere in discussione.

Nessuno può garantire che non ci siano estensioni del conflitto, l’estrema pericolosità del quadro largo è evidente a tutti. Ma quella che qui si è tentata è un’onesta rappresentazione delle intenzioni e finalità dell’Iran e del suo strumento di intervento, il cosiddetto «asse della resistenza».

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