L’Iran con lo sguardo di Salman Rushdie

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Il grande sommovimento che sta scuotendo tutto il Medio Oriente ci ha costretto a trascurare un anniversario che mi appare decisivo per capire quanto sta accadendo: il 12 agosto 2022. Quel giorno a New York un assalitore ha tentato di uccidere Salman Rushdie, che si è salvato miracolosamente, perdendo un occhio.

Rushdie è inseguito dal 14 febbraio 1989 dalla fatwa – sentenza religiosa – emessa dell’ayatollah Khomeini, che prometteva ricompensa a chi avesse ucciso l’autore del celebre volume Versetti satanici, e chiunque fosse implicato nella sua pubblicazione. Il vero punto di attualità di questa tremenda decisione contro la libertà di pensiero sta nel motivo per cui Khomeini la prese.

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Per capirlo basta ricordarsi che il 15 febbraio 1989, cioè il giorno seguente la sua fatwa, i sovietici completarono il loro ritiro dall’Afghanistan. Khomeini aveva sconfitto sul tempo i mujaheddin, era arrivato un giorno prima degli antesignani di al-Qaida, lanciando la sua Offerta Pubblica di Acquisto sul fondamentalismo, l’eversione islamista nel mondo. Il nemico era lo stesso, il libero pensiero, ma a guidare la lotta eversiva nel mondo era l’Imam, non i suoi rivali di rito sunnita e finanziati da sauditi e americani.

Era Rushdie il vero obiettivo di Khomeini, o la sua opera? Quel volume fu definito un insulto all’Islam orchestrato da Israele e dai sionisti tramite la casa editrice Penguin, solidamente nelle loro mani – come scrisse più volte la voce ufficiale del regime, il Teheran Times.

Come spiegare altrimenti che Spy Catcher, la biografia dell’agente dei servizi segreti britannici, fosse sparita dagli scaffali delle grandi librerie mentre I versetti satanici si diffondeva a macchia d’olio? La risposta khomeinista era semplice: se quella biografia viene bandita perché offensiva, allora anche i Versetti satanici che offende un miliardo di musulmani deve fare la stessa fine.

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Complotto e vendetta sono le parole decisive di questa vicenda, con la quale Khomeini ha creato uno scontro di civiltà, una linea di frattura tra l’Islam sottoposto alla sua guida oscurantista e l’Occidente nemico giurato. Dunque, pazzo isolato o terrorista preparato dai pasdaran, l’attentatore del 12 agosto ha rinnovato il tentativo di conquista dello spazio islamista.

Questa vicenda ancora drammaticamente dentro la nostra attualità si ritrova sempre nella linea khomeinista dell’egemonia e della vendetta. Questa linea si chiama scontro di civiltà, in evidente sintonia con chi la sosteneva sull’altro versante, e quindi occupazione miliziana dello spazio islamico, nel nome dell’Imam, guida suprema e indiscutibile, contraltare del colonialismo americano.

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Le dimissioni dall’incarico di vice-presidente dell’ex ministro egli esteri iraniano, Zariff, artefice degli accordi sul nucleare con l’Occidente, dimostra che a Tehran è difficile cambiare la scelta strategica. Tutti gli sforzi riformisti sono in realtà tesi a superare la centralità della vendetta e dell’egemonia khomeinista da imporre in tutto lo spazio islamico con le milizie che a questo fine sono state create negli anni in Iraq, Siria, Libano.h

Se si prescinde da questo si prescinde dall’essenza del khomeinismo – e allora è lecito chiedersi se la storia della connessione di date tra la fatwa di Khomeini e il ritiro sovietico dall’Afghanistan non si possa ripetere con la connessione tra la vendetta iraniana per l’assassinio a Teheran del capo di Hamas, Hanyeh, e il negoziato per il cessate il fuoco.

Ai khomeinisti interessa sempre la conquista miliziana dell’islam. Il complotto e la vendetta ne sono gli indispensabili ingredienti. Per favorire un cambiamento in Iran non penso che aiuti la “vendetta”, ma tagliare il cordone ombelicale che lo lega alle milizie khomeiniste. Ricostruire gli Stati in Iraq, Libano, Siria, Yemen: questa è l’enorme sfida.

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