Iraq: si riparte da Mosul

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A sei anni di distanza dall’occupazione delle milizie jihadiste del califfato di Abu Bakr al-Baghdadi, della piana irachena di Ninive, avvenuta nel 2014 e a tre dalla fine del loro dominio, caratterizzato da violenza e terrore, la situazione nel paese sta vivendo una fase di lenta rinascita e di speranza. Ma l’«esodo silenzioso» dei cristiani rimane ancora una delle ferite più dolorose che non pare rimarginarsi.

Ritorno a Mosul

Lo scorso 10 giugno, anniversario della conquista jihadista di Mosul, una delegazione, guidata dal nuovo primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi incontrando i rappresentanti delle comunità cristiane, con a capo il nuovo arcivescovo cattolico caldeo Michael Najeeb Moussa, ha dichiarato: «I cristiani rappresentano una delle componenti delle origini dell’Iraq e fa male vedere che molti di loro se ne vadano». Faceva parte della delegazione del Primo ministro anche Eva Faeq Yaqub Jabro, cristiana cattolica caldea, unica rappresentante cristiana del nuovo gabinetto iracheno, incaricata dei rifugiati e dei migranti.

Al-Kadhimi ha visitato anche la cittadina di Bartella nella piana di Ninive che era prima una roccaforte cristiana. Dopo la liberazione, molti rifugiati cristiani sono tornati ma, allo stesso tempo, numerose famiglie shabaki (membri di una comunità religiosa, in cui si mescolano credenze islamico-sciita e zoroastriana, e con legami con influenti circoli sciiti – hanno occupato le abitazioni lasciate vuote nei villaggi e nelle piccole città nella pianura di Ninive.

Rimane inoltre da risolvere il nodo della piana di Ninive riguardante la competenza politica tra il governo centrale di Baghdad e il governo regionale curdo di Erbil. La zona comprende diverse migliaia di rifugiati cristiani fuggiti da Mosul e dalla piana di Ninive nella capitale regionale curda di Erbil nel 2014. Molti di loro non sono ancora tornati nella loro città natale, e chissà mai se torneranno.

Oltre alla delegazione del primo ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi, negli stessi giorni si è recato a Mosul, metropoli del nord dell’Iraq, anche mons. Najib Mikhael Moussa, assieme ad alcuni leader religiosi musulmani e capi tribù locali. Secondo quanto ha riferito all’agenzia Asia News don Paolo Thabit Mekko, responsabile della comunità cristiana di Karamles, si notano dei segni di rinascita e di speranza: «Con la ricostruzione delle chiese [e delle moschee] e la ripresa delle attività commerciali lanciamo un messaggio forte, diciamo a tutti i cristiani che se ne sono andati di tornare, di essere presenti».

Ricostruire i luoghi simbolo

La visita ha avuto luogo il 6 giugno scorso in concomitanza con l’anniversario dell’arrivo nel 2014 delle milizie jihadiste del califfato. Un dominio durato fino all’estate del 2017 e caratterizzato dalla violenza, dal terrore e dalla devastazione di luoghi simbolo come la moschea di al-Nouri e la chiesa di Al-Saa (Nostra Signora dell’Ora). I due luoghi di culto, musulmano e cristiano, costituiscono oggi un simbolo di rinascita grazie a un progetto di ricostruzione finanziato dall’Unesco e dagli Emirati Arabi Uniti nel contesto del programma denominato “Ravvivare lo spirito di Mosul ricostruendo i suoi monumenti storici”.

«Da mesi – ha affermato don Paolo T. Mekko – sentiamo notizie che parlano della ricostruzione della moschea, del minareto e della chiesa dell’orologio dei domenicani. I fondi sono stati stanziati e vi è un movimento condiviso che preme per il ripristino di questi luoghi significativi, simbolo di una città vecchia che è stata vittima della distruzione per mano jihadista».

Ma, ha sottolineato, «a tutt’oggi siamo ancora all’inizio dei lavori». Il governatore «si sta adoperando per ricostruire la città, e sta ingaggiando una battaglia a tutto campo contro la corruzione che resta molto forte. Inoltre bisogna ripristinare le strutture, partendo dagli ospedali e dai servizi che sono ancora scadenti».

La presenza dell’arcivescovo cattolico caldeo Michael Najeeb Moussa – ha dichiarato don Paolo – «è stata fonte di incoraggiamento» per i cristiani e per tutta la città, e rappresenta un messaggio che «invita ad andare avanti, a ricostruire prima l’uomo e poi le pietre quali fondamenti della nuova Mosul». In quest’ottica, prosegue, è essenziale «rafforzare la convivenza fra confessioni diverse. I cristiani devono tornare, ma la situazione non è ancora adeguata per un loro ritorno».

Servono inoltre sicurezza, sviluppo, garanzie di stabilità, fiducia perché i cristiani «si sono sentiti traditi da [una parte dei] musulmani che hanno collaborato con Daesh alla loro cacciata e alle violenze». Ancora oggi c’è una «ferita aperta a livello psicologico» che va «guarita». Dare un volto nuovo, moderno alla città diventa essenziale «nell’opera di contrasto al fondamentalismo. Siamo ancora all’inizio – ha concluso don Paolo – ma sono obiettivi da raggiungere per un vero cambiamento».

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