Irlanda del Nord: vittoria dei nazionalisti

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Il Paese (superficie: 13.793 kmq, popolazione: 1.185.510 abitanti, capitale Belfast 342.560 abitanti) giovedì 12 maggio è andato alle urne per rinnovare i 90 seggi del parlamento unicamerale, che gode di autonomia dal parlamento britannico.

L’affluenza è stata del 63,6%. Il Sinn Féin, partito nazionalista, ha ottenuto 27 seggi, il DUP, partito unionista, ne ha ottenuti 25, il secondo partito al quale gli elettori hanno dato il loro voto. Alla camera dei Comuni del Regno Unito il Sinn Féin, repubblicani nordirlandesi, contano 7 seggi e il DUP, partito democratico unionista, ne conta 8.

Un po’ di storia

Il Venerdì santo del 1998 si firmò l’Accordo di Belfast, cui aderì la maggior parte dei partiti politici dell’Irlanda del Nord, una specie di “compromesso storico”, che sancì un quadro costituzionale e legislativo entro cui agire da parte delle due comunità, la protestante e la cattolica. Conteneva norme sul rapporto tra Gran Bretagna e Irlanda per una convivenza pacifica e la condivisione del potere. Poneva fine alla violenza che, dal 1970, insanguinava il Paese. Un conflitto culturale, religioso e politico. L’Accordo impegnava le due parti a cambiare la propria cultura impregnata di una identità divenuta reciprocamente ostile e conflittuale.

Il nazionalismo irlandese affonda le sue radici alla fine del XIX secolo. L’Irlanda faceva parte del Regno Unito, i cui rappresentanti sedevano al parlamento di Londra, che aveva concesso la Home Rule, una limitata autonomia legislativa rispetto al governo centrale.

L’Irlanda era un Paese a maggioranza cattolica e, nel periodo 1550-1800, non si riteneva britannica protestante. C’era molto di astio nei confronti dei coloni protestanti che, nel nord-est del Paese, avevano incamerato le terre dei cattolici.

Per timore dei protestanti “unionisti”, i cattolici organizzarono una propria milizia armata. Negli unionisti cresceva l’ossessione verso il potere della Chiesa cattolica.

Nel 1916 la parte violenta del nazionalismo irlandese organizzò una rivolta, che però non ebbe esito.

Nel 1919 l’Ira iniziò a lottare per l’indipendenza del Paese contro la Gran Bretagna.

Nel 1920 il governo di Londra approvò il Government of Ireland Act, che creava due amministrazioni: una a Dublino e una a Belfast e, nel 1921, venne istituito il governo autonomo di Belfast. Così nacque l’“Irlanda del Nord”.

Comprendeva sei delle 32 contee irlandesi, a maggioranza protestante, politicamente e culturalmente legate alla Gran Bretagna. L’Ira vi si oppose ed ebbe inizio la guerra per l’indipendenza.

Il governo di Londra, per la verità, tra il 1922 e il 1948, ampliò l’indipendenza, ma le incursioni nell’Irlanda del Nord da parte dell’Ira insanguinarono il Paese. I leader politici dell’Irlanda del Nord disprezzavano i cattolici, che accusavano di essere sottomessi al clero.

La presenza dell’IRA

Negli anni Sessanta i nazionalisti cattolici subirono tali repressioni da spingere l’Ira a rialzare la testa con lo scopo di cacciare gli inglesi. Era il tempo dell’unionista e intollerante rev. Ian Paisley.

Nel 1972 il governo inglese decretò la fine dell’amministrazione autonoma dell’Irlanda del Nord, pur spingendo per un accordo di condivisione del potere tra politici unionisti e nazionalisti, che non condividevano il terrorismo dell’Ira.

Quel patto ebbe vita breve a causa delle resistenze degli unionisti estremisti e della furia dell’Ira, che voleva il trionfo militare nazionalista e la fine della presenza protestante nel Paese.

Agli inizi degli anni Novanta, i capi dell’Ira ammisero che le loro azioni violente non avevano avuto successo. Si arrivò, dopo interminabili incontri, al 1998, quando il Sinn Féin, partito politico, e i gruppi paramilitari unionisti coinvolti, si sedettero attorno a un tavolo, presenti anche quasi tutti i partiti politici e i governi inglese e irlandese per elaborare le linee di un accordo di pace e di condivisione del potere (l’Accordo di Belfast del Venerdì santo)

Non è dato di verificare se vi siano ancora gruppuscoli legati all’Ira. Il Sinn Féin, come le ultime elezioni hanno messo in luce, s’impone come la formazione più votata. «Non è certamente un normale partito democratico – osserva il gesuita James Murphy su La Civiltà Cattolica n. 4124) –, perché si trova sotto il controllo non di rappresentanti eletti, ma dei vecchi leader dell’Ira».

L’Accordo di Belfast – ne erano convinti i firmatari – era solo un inizio, non la conclusione di eventi tragici. Non ha certamente risolto i problemi dell’Irlanda.

Il Sinn Féin continua la sua battaglia per una Irlanda unita e preme per l’unificazione, convinto che la polarizzazione cattolico-protestante, retaggio del passato, non abbia più senso, lasciando agli storici la valutazione critica degli eventi.

Si chiede per questo l’abbandono del risentimento e delle questioni ideologiche.

Dell’esito della consultazione elettorale, ritenuta storica, si sono detti soddisfatti i vescovi.

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