«Sono giunto alla conclusione che solo il nostro intervento potrebbe muovere coloro che vanno mossi. Chiamo il popolo di Israele a scendere per strada questa notte e tutti affinché partecipino allo sciopero».
Dopo il sindaco di Tel Aviv, che aveva aderito in via parziale, in serata il capo dell’Histadrut, il sindacato che rappresenta centinaia di migliaia di lavoratori nel settore pubblico in Israele, ha fatto sua l’idea di sciopero generale avanzata per oggi, lunedì 2 settembre, dalle famiglie degli ostaggi dopo il ritrovamento dei corpi di sei loro e lo ha proclamato.
Gli ostaggi sono stati uccisi da Hamas. Tra di loro anche un cittadino con doppio passaporto, statunitense e americano. Per lui, come per le altre vittime, si è detto devastato il presidente degli Stati Uniti Biden, che ha detto che i leader di Hamas pagheranno per la loro disumanità e che gli Stati Uniti continuano a lavorare per assicurare l’accordo sul cessate il fuoco e il rilascio degli altri ostaggi.
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Già ieri sera centinaia di migliaia di persone sono scese per le strade del Paese chiedendo al governo di firmare l’accordo sul cessate il fuoco. Secondo il forum dei parenti degli ostaggi a Tel Aviv in piazza c’erano 300mila persone. Stime sulla partecipazione in tutto il Paese porterebbero il totale dei manifestanti a 500mila.
Ci sono state discussioni sul fatto se Hamas avrebbe davvero rilasciato subito 30 ostaggi, o solo 18. Ma almeno 18 pare certo che sarebbero stati rilasciati subito, cioè nella prima fase dell’accordo, dei 50 che venivano ritenuti ancora vivi.
Il clima politico, da tempo rovente, è diventato incandescente da quando un’emittente televisiva ha affermato che il premier israeliano avrebbe fatto sapere, nell’esplicito dissenso del suo ministro della difesa, di anteporre la presenza israeliana nel corridoio che corre a cavallo del confine tra Gaza ed Egitto alla liberazione degli ostaggi.
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Per Benjamin Netanyahu ciò è essenziale per la sicurezza di Israele, i suoi oppositori non ne negano l’importanza, ma sottolineano che l’esercito israeliano vi è sopraggiunto solo dopo otto mesi di guerra. Al centro di tutto c’è dunque la discussione su quale sia la priorità.
Si può dire anche così, ma i parenti degli ostaggi e chi dà loro ragione si sentono abbandonati dal loro governo, consapevoli che il piano presentato il 31 maggio scorso da Biden, e da lui stesso definito una proposta giunta dal governo israeliano, parla di ritiro completo dell’esercito da Gaza e di rilascio degli ostaggi in due fasi, prima e dopo il passaggio dal cessate il fuoco al cessate il fuoco permanente. Così per molti di questo campo il problema del governo sarebbe quello di non cadere, stante la contrarietà dei ministri dell’estrema destra a ogni intesa. Uno di loro ieri sera ha chiesto alla magistratura di impedire lo sciopero odierno.
Netanyahu è stato anche criticato per aver parlato solo diverse ore dopo la notizia del tragico rinvenimento degli ostaggi morti, e con un messaggio televisivo registrato. Nel suo messaggio il primo ministro ha attribuito ad Hamas la responsabilità del mancato accordo. Ma per i suoi avversari politici è vero il contrario. Questo ha avuto un pesante esito: il rifiuto di due famiglie degli ostaggi uccisi di riceve la telefonata di condoglianze del premier – una ha risposto, le altre tre al momento della stesura di questo articolo ancora dovevano rispondere.
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Anche in Libano la guerra ha effetti di divisione interna profonda. Il capo delle Forze Libanesi, partito cristiano da sempre avverso ad Hezbollah, ha rivolto un attacco molto duro all’avversario, accusandolo di trascinare l’intero Paese in una guerra sulla quale i libanesi non si sono potuti pronunciare, come se lo Stato non esistesse. La sua posizione è stata ripresa con grande risalto dalla stampa saudita.
Un’altra sfida intanto è cominciata a Gaza, dove reggono le pause umanitarie per realizzare il piano di vaccinazione di 640mila bambini dopo l’accertamento del ritorno dopo 25 anni della poliomielite. Si è cominciato nella zona centrale della striscia.
N0n è più tempo di parteggiare per gli uni o per gli altri. E di responsabilità assai gravi ne hanno entrambi, Ma ora più che mai bisogna fermare la guerra e rimettere i popoli sulla via della condivisione in pace per un felice futuro per le nuove generazioni che stanno venendo alla vita. Quindi non parteggiare ma pregare-pregare-pregare perché Dio nostro Signore ci aiuti a trovare la soluzione “Giusta”: senza né vincitori né vinti. Ma ognuno di noi cristiano sa che chiedere “con tutta l’Anima” comporta un nostro impegno, un nostro sacrificio, una nostra rinuncia a qualcosa a cui teniamo nel nostro vivere quotidiano – e in ciò nella preghiera il Signore ci verrà sicuramente in aiuto. Amare è sofferenza preghiera e speranza, Che Dio ci aiuti e a Voi tutti un fraterno saluto
Tutto vero. Anche io credo nella forza della fede, ma gli sbandieratori di questa, il riferimento particolare va all’amministrazione americana, così prodiga di richiamare Dio ad ogni passo, non mi pare vada in questa direzione. Da decenni riempiamo i tabloid in relazione alle teocrazie di matrice islamica, quali stati canaglia e fucine del terrorismo; mi domando se i nostri stati, in qualche modo ancora una volta teocratici per il continuo richiamo alla religione, siano migliori. Mi piacerebbe, ma temo non sia così. E’ fastidioso, anzi ridicolo, sentire continui richiami alla nostra qualità occidentale, in raffronto alla barbarie islamica. Le nostre società hanno maturate molte qualità, molti diritti “intra”, ma la morale del diritto si perde “extra”. Il debordante militarismo occidentale e il diritto, appunto, di imporre tramite le armi il proprio pensiero, spesso cercando di legittimarlo attraverso non più credibili istituzioni internazionali, sono uno dei motivi del crollo. Le disuguaglianze che abbiamo prodotto fruttificano nelle guerre, nell’inquinamento, nelle disparità. Per paradosso, in quelle guerre che abbiamo contribuito sostanzialmente a generare, vorremmo intervenire come pacificatori. Penoso. Fossimo guidati dalla fede e dai valori tutto sarebbe molto differente, invece noi, come del resto l’Islam, usiamo la fede in modo e per scopi per nulla elevati, anzi direi diabolici.