Non c’è bisogno di specificare l’anno e il luogo. Il 7 ottobre è una di quelle date che restano fissate nella memoria collettiva – come avvenuto per l’11 settembre. Incontriamo di nuovo Lior Genah, italo-israeliano di Tel Aviv, guida turistica, e Jessica Jasmine Barhom, imprenditrice britannica, musulmana, che vive vicino a Gerusalemme.
- A un anno di distanza da “quel” 7 ottobre, come è cambiata la tua vita?
Jessica: La nostra vita quotidiana è stata sconvolta. Uno dei problemi principali è il lavoro, visto che noi accoglievamo gruppi di ebrei dall’estero e gestivamo incontri per far conoscere loro la cultura islamica. La nostra fattoria ha due cucine, ne abbiamo riservata una per i pasti kosher, ma le agenzie hanno sospeso ogni tipo di attività. Io ho trovato un lavoro part-time in una scuola locale araba e tengo corsi in inglese sulla sostenibilità e la biodiversità connesse con il disastro climatico, ma è difficile trovare motivazione per insegnare in un contesto di distruzione.
Le esplosioni emettono nell’aria CO2 e altre sostanze pericolose che poi respiriamo; cerco di rendere i miei studenti consapevoli almeno di questo aspetto del conflitto, perché il mio ruolo di insegnante mi impedisce di parlare di politica.
L’intera situazione è stressante per noi adulti e anche per i nostri alunni. Siamo avvolti da una sorta di intorpidimento emotivo per non cedere alla preoccupazione, perché non si riesce a trovare un senso quando tutto sembra peggiorare.
Lior. Questa domanda può avere molteplici risposte, a seconda del punto di vista. Il trauma vissuto a livello nazionale ha modificato profondamente anche le situazioni personali. Dal punto di vista economico, la mia attività di guida turistica si è praticamente azzerata e alla soglia dei cinquant’ anni ho dovuto rimettermi in gioco per supportare la famiglia. Ho trovato un nuovo lavoro, ma la mia passione resta la divulgazione culturale.
Seguo i corsi di aggiornamento e ho elaborato nuovi itinerari, attualizzandoli: nel mio giorno libero, offro tour gratuiti ai tanti volontari che sono arrivati in Israele per aiutare le piccole imprese, soprattutto in campo agricolo, o per il sostegno fattuale ai soldati.
Dal punto di vista psicologico, subentra la paura per il fortissimo trauma di quelle immagini forti e scioccanti che tutti abbiamo visto sui media: la distruzione e la violenza nei kibbutz, le case con persone vive bruciate dentro, le immagini dei ragazzi che scappano dal festival. È come aver subito un’altra Shoà.
- Pensando ai prossimi mesi, tra le persone che ti circondano, negli ambienti che frequenti, prevale speranza o sconforto?
Jessica: Si alternano. Può sembrare strano, ma prevale la speranza. Sono sempre in contatto con amici e colleghi di ogni grado sociale, e ho la certezza di sperimentare diverse realtà e storytelling del periodo che stiamo vivendo. Confido nella capacità di ascolto e anche su quella di non reagire.
Sara, la mia figlia maggiore, ha terminato la scuola presso le Rosary Sisters di Gerusalemme, e sta cercando di capire come affrontare il percorso universitario. Una cosa è certa: non si iscriverà a un’università palestinese né ebraica. Una parte della mia famiglia è in Svizzera, forse lei la raggiungerà l’anno prossimo, insieme alla sorella.
I due maschi, dopo l’esperienza alla scuola di Neve Shalom/Wahat al Salam, il villaggio dove vivono pacificamente arabi ed ebrei, stanno frequentando un istituto ebraico e sono ben integrati in un’atmosfera di uguaglianza e valorizzazione, con l’enfasi su come il nostro comportamento abbia influenza sugli altri: ambienti come questo sono scintille di speranza in tempi bui.
Lior: Provo entrambe le sensazioni. Io e la mia famiglia cerchiamo di aggrapparci all’idea che tutto questo stato di orrore e incertezza finirà prima o poi, ma molti amici hanno perso la speranza e sono sprofondati nello sconforto più totale. Dal punto di vista pratico, resta l’impossibilità di fare progetti per il futuro, anche per eventi relativamente semplici. Quanto sarà momentanea questa impossibilità? Quanto durerà? Sono domande che cerco di evitare anche quando parlo con i miei figli.
- Quale opinione hai della copertura mediatica dei giorni di guerra?
Jessica: Mi sembra che i media stiano giocando un ruolo servile in tutto questo. Per capire come siamo giunti a questo punto, serve dedizione all’ascolto per le molteplici spiegazioni contrastanti e per mettere insieme un puzzle complicato: ormai gli eventi coinvolgono altri luoghi, oltre la cosiddetta ‘Terra Santa’. Nella cultura attuale, prevale l’oggi. Dubito che molte persone si prendano la briga di informarsi da varie fonti. Inoltre, come sottolineavo prima, sembra che a nessuno interessi il devastante impatto che armi, esplosioni e distruzioni hanno sull’ambiente, oltre che sull’economia nazionale.
Lior: Penso che ci sia una fortissima propaganda di delegittimazione dello Stato di Israele; non si ricorda che la mia Nazione è stata attaccata per prima, ma questo sembra non avere peso sull’opinione pubblica. Leggo commenti orribili a favore di atti terroristici, espressi con un linguaggio violento; sono giustificate le azioni di Hamas e Hezbollah. È preoccupante il crescente negazionismo sui massacri al Nova Festival e nei kibbutz, così come è preoccupante l’antisemitismo che spinge ad azioni mirate contro gli ebrei. Cito un episodio recente, gravissimo: nel palazzo dove vivono amici, a Roma, è apparsa la scritta ‘qui vivono ebrei’.
- Concludiamo con una domanda posta anche un anno fa: se tu potessi parlare ai tuoi leader, cosa diresti?
Jessica: Non saprei cosa dire, davvero, perché sembra che chi detiene il potere abbia già preso decisioni, al di là delle richieste, da più parti, di fermare i combattimenti. La nostra voce, purtroppo, non conta più.
Lior: Oggi direi che le priorità assolute sono riportare a casa gli ostaggi e far tornare gli sfollati del nord alle loro case.
Sandra Manzella è assidua frequentatrice del Medio Oriente e della terra d’Israele. Dai suoi viaggi riporta impressioni e testi di approfondimento di carattere storico, interreligioso e sociale. Con Oligo Editore ha pubblicato Gerusalemme ancora (2024, pp. 308); insegnante e scrittrice, è membro di Agorà delle Religioni di Mantova.