La Caritas in Ucraina

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Ettore Fusaro è membro dell’Ufficio Europa di Caritas italiana. Dall’aggressione russa del 24 febbraio del 2022, si occupa dei progetti di aiuto in Ucraina, in cui si sposta frequentemente. Approfittando della sua lunga esperienza in Caritas, gli abbiamo sottoposto alcune domande non solo sull’azione caritativa in Ucraina, ma anche sulla situazione al termine del primo anno di guerra. L’intervista è a cura di Giordano Cavallari.

– Ettore, quando sei stato l’ultima volta in Ucraina?

Ci sono stato poco prima delle feste di Natale, quindi due mesi fa. In questo tempo sono rimasto costantemente in contatto. In precedenza, ci sono stato per mesi, dall’inizio della guerra, in via quasi continuativa. Mi sto organizzando per il prossimo viaggio: sarà dopo il difficile anniversario del 24 febbraio.

– Qual è l’obiettivo della prossima spedizione?

La situazione, come noto, è sempre molto tesa. Vado – assieme ad altri operatori del team di Caritas internationalis – per seguire e coordinare i vari progetti di aiuto che sono già in essere e per programmarne altri, nuovi. Il problema che ho davanti è che non riusciamo – a motivo di una situazione così tesa (e diciamo pure pericolosa) – a fare piani di intervento di lungo periodo.

– Quali sono le difficoltà?

Caritas lavora necessariamente per progetti di un certo respiro, che hanno un inizio e dovrebbero conoscere una fine prevedibile, con la relativa rendicontazione ai donatori. L’intento è sempre quello di dare quanto più “respiro” alla popolazione, alla povera gente, per aprire prospettive di futuro, con la più rapida emancipazione dalle difficoltà del presente. Ma, rispetto a queste finalità di fondo – in una crisi così forte e prolungata –, siamo costretti a rimanere ancora in attesa, in balìa degli eventi bellici.

Abbiamo in corso centinaia di interventi, in diversi luoghi dell’Ucraina, in tante comunità cristiane, per conto di diversi donatori, in un’emergenza che continua a prolungarsi, senza migliori orizzonti. Questo è il disagio, in primo luogo umano, che sto vivendo come operatore della carità. Nonostante gli anni di esperienza accumulati in ambito internazionale, sono preparato su emergenze di minore durata e con visioni di sbocchi più vicini.

Andrò, dunque, anche questa volta, per essere prossimo alle comunità ucraine attraverso le due Chiese nazionali cattoliche, cercando di affiancarle perché possano formulare le richieste di aiuto più appropriate nella situazione data, che è ancora di grave emergenza.

Lavorare in questo stato di cose dà pure più forza e tiene alti i livelli di motivazione e di impegno, anche se non possiamo fare più di tanto: abbiamo voglia di fare, ma non si può.

La guerra e la presenza della Caritas

– Preoccupa l’entità delle risorse per affrontare le difficoltà?

Le offerte alle Caritas per affrontare le difficoltà della gente non sono mancate e non mancano. C’è ancora tanta generosità. Ma, nella società del consumo e dell’efficienza, non manca pure una concezione consumistica dell’offerta, se così si può dire. Giustamente si richiede la trasparenza, si vuol sapere quanto è stato raccolto nelle collette, che cosa è stato fatto e, soprattutto, in quanto tempo. Mentre in Ucraina, per certi versi, siamo sempre al punto iniziale.

Le posizioni, in inverno, si sono congelate in tutti i sensi: la gente che è sfollata all’interno dell’Ucraina è rimasta lì, dando luogo alla cronicizzazione di situazioni drammatiche.

– Mi pare di capire che servirebbe almeno una tregua. Quali sono gli umori in proposito?

Ci sono segnali di stanchezza e di logoramento nello stesso assetto organizzativo dell’Ucraina: destituzioni e cambiamenti nei posti chiave, secondo me, significano qualcosa. Ciononostante, si vuole resistere. Sarà così sino a quando una delle parti deciderà di fare un passo indietro o di mostrare un’effettiva volontà di trattare.

Il nostro compito è quello di essere presenti non solo per prestare soccorso alimentare o portare generatori di corrente elettrica ove vengono richiesti con urgenza, ma anche per assorbire le emozioni più forti o per aiutare a misurare le forze. I progetti possono passare in secondo piano, lo stile di presenza, invece, può passare in primo piano.

– Questo vuol dire che gli operatori della carità sono possono essere anche operatori di pace?

Parlare esplicitamente di pace in Ucraina è impossibile. Nessuno ne parla. E non circola alcuna idea di metodo per la costruzione della pace. Il portato dei grandi costruttori della pace – Danilo Dolci per fare un nome – è lontanissimo. Io credo tuttavia nella funzione maieutica degli operatori della carità, come della pace. Non andiamo a dire “basta alle bombe!”, ma parliamo di comunità.

– Quale lavoro sta svolgendo la Caritas?

Caritas italiana sta portando avanti due o tre azioni fondamentali. La prima è di supporto alle progettualità delle due Caritas nazionali, cattolica-latina (6 diocesi) e greco-cattolica (42 diocesi). Questi progetti confluiscono nel cosiddetto Emergency Appeal nazionale ucraino e coprono quasi tutto il territorio, a parte il Donbass occupato dalla Russia.

La seconda azione è coordinata con alcune Caritas diocesane italiane, ad esempio quella di Roma, che porta direttamente aiuti e generatori di corrente a Kherson.

Caritas sostiene pure diverse Ong collegate a congregazioni religiose in Ucraina, a Leopoli e a Kiev. Sosteniamo anche realtà più “laiche” in tante micro-realizzazioni.

Siamo intervenuti, per fare un altro esempio, nella diocesi di Kiev per l’attivazione di una mensa nell’episcopio durante il periodo invernale, naturalmente per tutta la popolazione nel bisogno.

– Caritas italiana è presente con operatori fissi in Ucraina?

Si sta valutando di insediare una presenza permanente a Leopoli e/o a Kiev. Il prossimo viaggio servirà anche a capire questo. Sino ad ora, io ho fatto la spola con l’Ucraina quale membro di un team internazionale nell’emergenza. Ora la squadra di Caritas internationalis è stata sciolta, ma sarà presto ripristinata in altra forma, meno numerosa nella composizione ma più stabile.

La popolazione ucraina

– Come sta la gente in Ucraina?

La condizione della gente è diversa in relazione alle zone. Ma ovunque la povertà è crescente e i disagi sociali sono tantissimi.

L’avvicinarsi dell’anniversario dell’invasione sta, pubblicamente, riscaldando gli animi per fare mostra di un grande recupero di energie. Ma, nell’intimo di ogni famiglia, ciascuna vive la tragedia, anche se con diverse intensità, secondo il dolore. Non si parla mai, ad esempio, delle vittime ucraine tra i militari.

Si dice delle centinaia di militari russi che muoiono ogni giorno, ma la sensazione è che ne muoiano altrettanti fra gli ucraini. La gente non ne parla, se non dentro le case, perché non se ne deve parlare…

– Perché non se ne deve parlare?

Forse è un modus vivendi dettato dalla tradizione o indotto dalla forma pubblica. Non è bene mostrare alcun segno di debolezza. Questo pensa la gente. È la risposta all’aggressione subìta dalla Russia di Putin, dai russi. Questa cosa continua ad impressionarmi. È probabilmente comprensibile solo dall’Ucraina, là dove, anche a distanza di migliaia di chilometri dal fronte, si susseguono gli allarmi e capita frequentemente di alzare la testa e vedere i razzi nel cielo.

Parlo di persone che si sentono in guerra, che si sentono aggredite, minacciate, toccate profondamente nella vita quotidiana: i loro diritti sono limitati dalla guerra, nella loro facoltà di muoversi, di comunicare, di cercarsi un lavoro ecc. Tutto è gravemente limitato dalla guerra.

– Quali sono le conseguenze economiche e quindi di tenore di vita della popolazione?

Dopo essere precipitato del 40%, forse il PIL dell’Ucraina è risalito. Ma la sensazione che qui voglio condividere è che l’economia dell’Ucraina si regge ormai solo sugli aiuti e solo sulla guerra. Anche gli scampoli di economia che tirano sono fortemente funzionali alla guerra. Questo dato sistemico è evidentemente molto pericoloso, non solo per l’oggi, ma anche e soprattutto per il domani. Si sta sviluppando in Ucraina un’economia di mero aiuto e di dipendenza internazionale.

Per me, è molto preoccupante notare come la richiesta più pressante sia quella delle armi: più pressante della stessa richiesta, ad esempio, dei generatori di corrente o dei depuratori d’acqua per il sostegno alla popolazione e alla vita civile e produttiva. Non mi pare che i Paesi occidentali si stiano adeguatamente preoccupando di questo.

– Dal punto di vista militare, come vanno le cose?

Il mio pensiero, al riguardo, è molto infantile: non sono certo un esperto, né voglio esserlo. Tirarsi i sassi è una cosa. Spararsi con i fucili è già un’altra cosa. Usare i carri armati è un’altra cosa ancora. E via di questo passo. Ciò per dire che il livello dello scontro militare si sta alzando sempre più.

Sappiamo chi ha aggredito e con quale forza. Chi ha la forza delle armi, in guerra, è ritenuto il più forte. Per cui bisogna armarsi sempre di più. Ma questa è la solita logica della guerra totale, dell’assenza del dialogo e, ancor più tragicamente, dell’assenza di ogni regola di umanità.

Il guaio di fondo, secondo me, è che non ci sono solo due parti in conflitto con un mediatore in mezzo. Ci sono l’Ucraina e la Russia e tanti diversi mediatori, ciascuno con la propria parte e i propri interessi da sostenere. Le Nazioni Unite sono delegittimate. Due dei cinque membri del tavolo permanente dell’ONU sono pienamente coinvolti: uno fa la guerra e l’altro lo appoggia. Qualsiasi risoluzione di pace non verrà mai approvata.

L’Europa parla lingue diverse. Questo caos fa gioco alla Russia che sta continuando a compiere nefandezze, senza essere messa all’angolo dalla comunità internazionale in maniera veramente seria. In qualche modo, il caos fa gioco anche all’Ucraina che batte cassa tra i principali Paesi europei. Senza parlare degli Stati Uniti. Francamente, non so a quanti stiano veramente a cuore i valori democratici che tutti dicono di voler difendere.

– Hai accennato ai cambi di vertice in Ucraina. Cosa significano?

Col passare del tempo, le certezze della prima ora possono essere mutate. Probabilmente c’è chi mantiene la fermezza e chi è preso dall’incertezza. Il caso politico ucraino è assai complesso. Lo era ben prima di questa guerra.

Tieni conto, poi, che l’amministrazione dello Stato è sempre più affidata a militari. Sempre più figure militari sono poste ai vertici. La linea ufficiale dice che questo è il momento – più che mai – in cui tenere duro e non cedere in nulla. Questa è la linea rappresentata da Zelensky. Ma quanto questa sia seguita integralmente da tutto l’apparato non sono in grado di dirlo.

Posso dire invece che, tra la gente, ho raccolto tante opinioni, anche con sfumature diverse tra loro. Non ho sentito solo dire «mandiamo fuori i russi!», ma anche «che sarà della mia casa, del mio quartiere, dei miei figli?».

I rapporti tra le Chiese

– Come va tra le Chiese in Ucraina?

Il lavoro di Caritas con le due Chiese nazionali cattoliche sta manifestando segni visibili: il conflitto ha avvicinato le comunità nella sofferenza; la speranza unisce.

È tutto molto complicato in Ucraina, ma i percorsi di prossimità stanno danno luogo a qualcosa di nuovo e di bello, in senso cristiano. Purtroppo, non c’è molto tempo per pensarci su e per valorizzare le esperienze. Ma ci sono davvero cose belle.

– Riguardo alle Chiese ortodosse, cosa puoi dire?

Come sapete, c’è stata una forte presa di distanza della Chiesa ortodossa ucraina – quella autocefala – insieme alla Chiesa greco-cattolica da quella ortodossa russa, con la ricerca, ad esempio, della conciliazione sulla data del Natale. Ho visto qualche segnale positivo. Non vedo, peraltro, una Chiesa ortodossa russa omogeneamente schierata in Ucraina. Ho notato tanti gesti di solidarietà tra ortodossi e cattolici, indifferentemente, nella comune situazione di difficoltà. Questi mi sembrano i fatti più importanti.

Cerco di guardare le cose sempre dal punto di vista della comunità umana, fatta da tante comunità e persone particolari. Quando tutti si è nel bisogno, ci si aiuta.

Siamo in vista dell’anniversario della guerra e, perciò, ci si sta “gonfiando il petto” per l’occasione. Ma sotto l’apparenza guerresca c’è tanto altro che sta lavorando nell’umanità ucraina.

Profughi

– Hai l’occhio anche sui milioni di profughi ora al di fuori dell’Ucraina? Cosa puoi dire?

In Polonia ci sono cinque milioni di profughi ucraini. Il Paese ha modificato le proprie leggi sull’immigrazione per integrare questo flusso nell’economia locale. La Polonia è molto sostenuta dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti. Tale dato significa una prospettiva diversa: non breve, ma molto lunga, forse persino definitiva.

Della Polonia non so francamente molto, perché non vi siamo presenti come Caritas italiana. Conosco molto meglio la realtà della Romania ove stiamo curando un progetto di accoglienza di profughi ucraini fragili e molto fragili: circa duemila presone nelle due principali diocesi cattoliche. Devo dire di essere orgoglioso dei colleghi romeni che lavorano con un’alta qualità dei servizi ma soprattutto con una grande attenzione per gli ucraini.

Ciò che mi sembra stia emergendo dall’accoglienza prestata nei Paesi limitrofi è che l’ospitalità può andare di pari passo con una maggiore cura delle povertà della popolazione locale. In Romania questo si sta facendo in maniera molto intelligente e interessante. Anche in Italia, Caritas cerca di lavorare in questo modo: l’accoglienza dei profughi ucraini incentiva a organizzare migliori servizi per tutte le categorie di povertà.

– Quali sono le conseguenze della guerra sulla povertà globale?

Abbiamo già visto, nel primo anno di guerra, molte conseguenze negative, soprattutto sull’esportazione dei cereali e di altre fondamentali materie prime.

Penso che, in questo 2023, se la guerra andrà avanti in questo modo, le cose non potranno che peggiorare. C’è da mettere nelle previsioni un drastico calo delle produzioni in Ucraina, così come un ulteriore difficoltà di transito e di commercio.

– Cosà accadrà nella prossima primavera?

Voglio naturalmente alimentare una sana speranza e un po’ di gioia cristiana. Come ho detto, il livello della potenza di fuoco sta aumentando, non sta diminuendo. Poi tutto può accadere. Per la prima volta nella mia esperienza, faccio fatica ad immaginare che cosa sarà il domani, in Ucraina e nel mondo. Ci troviamo al centro di una “tempesta perfetta”, come è venuto di moda dire e scrivere. Peserà la crisi gravissima del terremoto in Turchia e Siria.

Mi piacerebbe comunque che la prossima volta ci potessimo sentire da Leopoli, ad esempio, non solo per rappresentare la riuscita di un progetto, bensì per narrare qualche episodio di vita vissuta, con carità. Potrà lasciare qualche migliore ricordo ai lettori e soprattutto far pensare che – nella carità – c’è ancora motivo di credere e di sperare.

https://youtube.com/watch?v=hpMntAq_4VA&feature=share

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