Poco prima di Pasqua, l’ONU ha presentato un rapporto sulla catastrofica situazione in cui versa Haiti e la sua popolazione. Con uno stato di diritto al collasso, e la situazione politica alle soglie del caos, più di tre quarti della capitale Port-au-Prince è in mano a bande armate criminali in lotta fra di loro.
Nel corso del 2023 il paese aveva contato 4.451 omicidi e nei soli primi tre mesi se ne devono già registrare 1554. La violenza delle bande armate non conosce limiti: donne stuprate, bambini e bambine costretti ad arruolarsi nelle bande e uccisi se cercano di fuggire, ospedali resi inagibili, carceri attaccate con la conseguente fuga dei criminali prigionieri.
Oltre alla situazione sanitaria del paese, drammatica è anche la situazione dell’approvvigionamento di cibo e acqua: con 5,5 milioni di persone in condizione di estrema necessità e ben 1,4 milioni che vivono in condizione di totale carestia. Particolarmente colpiti dalla malnutrizione e dall’assenza di assistenza sanitaria minima sono i bambini.
Il caos generale creato dai raid delle bande armate, che hanno preso il controllo delle vie di accesso per i vari tipi di approvvigionamento, sta avendo ripercussioni gravissime sul sistema educativo del paese. Alla fine di gennaio erano ben 900 le scuole che avevano temporaneamente sospeso le attività, con oltre 200.000 bambini e giovani che si trovano privati del loro diritto all’educazione e formazione scolastica.
Haiti è sostanzialmente diventato una prigione a cielo aperto per i suoi abitanti. Dopo l’uccisione del presidente Jovenel Moïse nel 2021, le sue funzioni sono state prese dall’allora primo ministro Ariel Henry – con il supporto degli Stati Uniti e altri paesi occidentali, che da allora ha agito in maniera sostanzialmente autocratica senza alcuna base democratica di legittimazione per l’esercizio del potere. Trasformando una situazione di emergenza politica in una sorta di status quo.
Nel 2023 l’ONU aveva deliberato una missione multinazionale di sicurezza e polizia nel paese, per la quale il Kenya aveva dato la disponibilità ad assumerne il comando. A tutt’ora, la missione si trova ancora in una situazione di impasse, sia per la mancanza di fondi sia per la difficoltà a darle forma in rapporto al caos politico che regna ad Haiti.
Nel marzo scorso, i leader dei paesi caribici si sono incontrati in Giamaica nel tentativo di creare un Consiglio di transizione che dovrebbe ricostruire un minimo di assetto dello stato di diritto e portare il paese alle elezioni. Dopo alcune resistenze, Henry ha accettato di dare le dimissioni l’11 marzo 2024. Ma questa condizione minima non è stata ancora sufficiente per l’avvio effettivo del Consiglio di transizione, di cui dovrebbero fare parte esponenti di tutte le forze politiche e rappresentanti della società civile, dell’economia e delle comunità religiose di Haiti.
Al momento, le bande armate hanno avanzato la pretesa di far parte del Consiglio – sospendendone di fatto la creazione, visto che controllano orami la capitale. Ma anche da parte di attivisti civili il Consiglio di transizione, e la stessa missione ONU, non sono visti di buon occhio – in quanto rappresenterebbero una intromissione indebita degli Stati Uniti negli affari del paese.
La devastante crisi umanitaria ha finito col far aumentare il flusso di persone in fuga dal paese – molte delle quali dirette verso le coste degli Stati Uniti (in particolare la Florida). Attualmente, l’amministrazione Biden sta valutando se usare la base cubana di Guantanamo Bay come sede per processare i migranti haitiani senza permesso in fuga verso gli USA. La reazione del governatore della Florida, Ron DeSantis, ha assunto oramai una portata militare – con il dispiegamento di soldati, aerei e navi per impedire l’approdo via mare di coloro che da Haiti intraprendono un pericoloso tragitto di oltre 700 miglia nautiche.
«Quando uno stato si trova difronte alla possibilità di un’invasione – così il governatore – esso ha il diritto e il dovere di difendere il suo territorio e la sua gente». Questo sembra non valere però per l’invasione di armi che, nonostante l’embargo internazionale, raggiungono quotidianamente Haiti finendo nelle mani delle varie bande armate. L’appello dell’ONU a rendere effettivo l’embargo di armi verso Haiti continua a cadere nel vuoto. Gran parte delle armi che raggiungono Haiti vengono «contrabbandate da stati americani che hanno leggi lassiste in materia di armi – come l’Arizona, il Texas, la Georgia e la stessa Florida» (R. Munch, Commonweal Aprile 2024).
Gli Stati Uniti, «che negli ultimi cento anni hanno occupato Haiti, si sono immischiati nei suoi affari interni, e hanno imposto sanzioni che hanno strangolato il paese, sono coinvolti in quello che Haiti sta soffrendo oggi» (Munch).