La lezione della Siria

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Hans Küng ha posto alla base del suo lungo lavoro per un’etica globale questa tesi: non ci sarà pace tra le nazioni se non ci sarà pace tra le religioni. Tesi sicuramente efficace e fondata, quanto speculare alla seguente: non ci sarà pace tra le religioni sinché non ci sarà pace tra le nazioni. Esiste l’influenza delle religioni sui popoli, ma esistono anche le influenze dei popoli sulle religioni.

Oggi vediamo il dialogo tra le religioni produrre gesti importanti: rabbini americani che invocano il cessate il fuoco nella guerra tra Israele e Hamas, il patriarca di Gerusalemme che si offre in ostaggio ad Hamas al posto dei bambini israeliani, deputati di un partito definito islamico in Israele che hanno richiesto ad Hamas il rilascio immediato, in nome dell’Islam, di vecchi, donne e bambini e respinto ogni loro invito alla lotta armata.

Ma la solidarietà tra i popoli?

L’ONU vorrebbe dare qualche segnale di risveglio dal torpore che perdura ormai da anni. Io dubito tuttavia che ci riesca, perché, oltre ai veti paralizzanti, permangono e prevalgono gli intimi convincimenti che, se contraddetti, inducono gli Stati a rifugiarsi nella teoria dei complotti e dei sospetti.

L’ONU e le religioni pagano prezzi molto alti per i passati errori, orrori, silenzi, anche in Medio Oriente. E poiché ciascuno deve partire dalle proprie ammende – non da quelle degli altri – per tentare di costruire una memoria condivisa, indispensabile per una vera pace, mi appare nitidamente, nel ricordo, l’origine delle più recenti sconfitte dell’umanità: perché di questa, in toto, ormai si deve parlare.

L’immagine plastica del “muro contro muro” – nel noto “scontro di civiltà” – facilmente, ancora ci conquista perché induce a dire tutto il male degli altri e a tacere su sé stessi. Perciò anche il cristianesimo e la Comunità internazionale devono trovare la forza di guardarsi allo specchio, se vogliono essere ciò che potrebbero essere.

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Ecco: allora ripartiamo dal fallimento paradigmatico, dalla Siria. Mi sembra doveroso.

Per raccontare volti e risvolti del conflitto siriano servono interi libri. Il regime di Assad, i Pasdaran, Hezbollah, le milizie al soldo dei petro-monarchi, l’intervento russo, l’Isis, eccetera eccetera, sono tutte denominazioni dell’orrore che ha prodotto un disastro epocale, che ci stiamo mettendo, ampiamente, dietro le spalle: 6 milioni di siriani (quasi tutti musulmani sunniti) deportati all’estero e 4 milioni (anche loro quasi tutti musulmani sunniti) deportati all’interno.

Eppure, al principio c’era stata la “primavera”, la base di rivolta popolare fatta soprattutto dai ragazzi, dalle ragazze e dai poveri contadini. Una rivoluzione popolare e pacifica. I cristiani, allora intimoriti e bloccati dal pregiudizio, pur comprensibile e diffuso, verso l’Islam, stretti dalla promessa di protezione del regime, vi sono rimasti per lo più ai margini. Ciò ha favorito la confessionalizzazione e la radicalizzazione del conflitto.

Tanto che, tuttora, non è possibile ricostruire la storia, infinita, della guerra di Siria – neppure la “storia” parziale dell’Isis, dei suoi protettori e facilitatori -, sebbene le azioni efferate, disumane dei terroristi abbiano fatto da copertura a quelle, non meno efferate, del regime di Stato presentatoci come “male minore”. Questi è come ci avesse detto: «non ti piaccio, ma l’Isis è peggio di me». Il nemico perfetto.

Sebbene questa storia di orrori più che decennale non possa essere fatta qui, sulle posizioni dell’ONU e di pezzi importanti delle Chiese cristiane locali, quattro cose vanno almeno ricordate, in questi drammatici giorni.

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La prima. L’assedio – proprio l’assedio, sì! – di Homs è cominciato nel 2012; l’esercito siriano strinse in una morsa l’intera città per mesi e mesi, cannoneggiandola dall’esterno, indiscriminatamente, mentre alcune voci – anche di ecclesiastici – andavano sostenendo che fossero gli insorti stessi a bombardare le Chiese della loro città. Solo padre Paolo Dall’Oglio – poi espulso da Assad e quindi rapito dall’Isis – disse il contrario. Si erano, man mano, formate bande di terroristi a Homs? Certo, tra di loro, forse, anche gli stessi assassini di padre Van Der Lugt, l’unico religioso rimasto sino alla fine con gli assediati di Homs.

La seconda. L’attacco chimico contro i civili della regione controllata dagli insorti – la Ghouta occidentale – verificatosi alla fine d’agosto del 2013 e che il regime, anche col concorso di alcune voci ecclesiali, attribuì agli insorti stessi, “verità” poi dimostratasi decisamente falsa. Quei circa mille morti – ma i bilanci delle vittime della guerra di Siria sono molto incerti – hanno prodotto un rapporto dell’UNHCR nel 2014, riproposto nel 2015: in quel rapporto le colpe di Assad sono riconosciute, senza dubbio. A chi chiede se anche alla Ghouta non abbiano agito terroristi rispondo di sì, fanatici islamisti contro il regime che hanno sequestrato la principale animatrice della rivolta pacifica contro il regime, Razan Zeitoune.

La terza. L’assedio del campo profughi palestinesi vicino a Damasco, a Yarmouk, 160mila abitanti all’inizio, poi 18mila rimasti. Cominciato anch’esso nel 2013 e durato per più di due anni, con centinaia di civili morti di inedia, privati di cibo e medicinali, oltre che di acqua potabile. A Yarmouk i camion con gli aiuti internazionali hanno atteso mesi prima di poter procedere e solo per poche ore, per fugaci distribuzioni di aiuti. Anche a Yarmouk vi furono penetrazioni di terroristi, come negarlo?

La quarta. L’assedio di Aleppo est è durato ben cinque anni: dal 2015 l’intervento militare russo ne ha fatto uno dei principali obiettivi militari, con bombardamenti di scuole, rifugi, ospedali, oltre che migliaia di abitazioni private. Ricordo che si è concluso nel 2017, alla Vigilia di Natale, con la deportazione dei sopravvissuti, alla quale ha fatto da supervisione la stessa ONU.

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Solo Francesco – in tutto il mondo dei Capi di Stato, se anche il papa vogliamo considerare tra questi – scrisse una lettera al presidente Assad, prima della conclusione del misfatto internazionale, chiarendo che il Vaticano chiedeva con forza il rispetto del diritto umanitario internazionale in zona di guerra.

Scuole, ospedali, rifugi, oltre a tantissime abitazioni civili, furono distrutte da bombe cosiddette “di profondità” dell’aviazione russa, mentre tutta, o quasi, la popolazione civile è stata espulsa o deportata da Aleppo est. Negare che da Aleppo est siano partiti atti di terrorismo sarebbe impossibile, ma quei cristiani che presentarono Assad, Putin e Nasrallah come liberatori lo fecero davanti a deportazione di civili!

Ma il fatto più grave – che, oggi, dovrebbe risultare evidente – è che l’Isis ha finito col rappresentare in blocco quei musulmani sunniti che, nei territori che ha occupato, in realtà ha, in gran parte, perseguitato, come dimostrano le fosse comuni di Raqqa – mai compiutamente esplorate! – con un numero imprecisato, ma enorme, di persone trucidate. Tutti musulmani sunniti, ovviamente.

Per me, dunque, il solo che ha detto «No!»  alla barbarie è stato papa Francesco. Non condivido ogni suo passo nella complicatissima vicenda siriana, ma quella lettera, mandata ad Assad, resta, per me, un “monumento” per l’umanità.

Ecco, dunque, il punto conclusivo: occorre una risposta – immediata, secca, senza piano “b” – a tutti gli estremismi? Quale? L’interrogativo risulta tragico in queste ore. La risposta la trovo in una frase famosa, ma modificata: «moderati di tutto il mondo, unitevi!».

Con la sua frase conclusiva del Manifesto Karl Marx non intendeva certo questo, ma è un atto davvero rivoluzionario essere moderati di questi tempi. Ci vuole molto coraggio. Lo si può trovare solo insieme con l’altro, con gli altri, con le loro ragioni e le loro sofferenze. Esiste in ogni storia la verità degli altri.

Oso adottare il termine riconciliazione, qui, penso, molto familiare: la riconciliazione porta al coraggio della moderazione, per costruire una memoria condivisa – la più onesta che sia possibile – delle nostre e delle altrui responsabilità.

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