
Il nuovo leader siriano Ahmed al Sharaa.
La nuova Siria non decolla e il Partito Democratico Popolare Siriano, pur seguitando ad appoggiare le claudicanti nuove autorità, sottolinea che se l’emergenza economica è il primo problema e non migliora la colpa non è loro – ma anche la costruzione delle nuove istituzioni non va e la colpa è del verticismo centralista delle autorità transitorie.
Il documento spiega abbastanza nel dettaglio che non si vede ancora la determinazione di avviare un vero percorso inclusivo per costruire uno Stato plurale. Il percorso è certamente a ostacoli, ma il nuovo leader siriano Ahmed al Sharaa non dimostrerebbe quella determinazione che appare indispensabile, perché alle sue parole ancora non corrispondono i fatti.
L’ultima sua gaffe è stato il tentativo di far decollare il processo di riscrittura della Costituzione senza i curdi, che resistono alle sue richieste sulle armi. Dopo essersi dimostrato consapevole che questo però non è possibile, segno positivo, al Sharaa ha pensato di risolvere il problema invitando alcune individualità curde. Immediata la risposta dei leader dei partiti curdi: non ci rappresentano; risposta ovvia. Il dirigismo sovietico, che ha costituito la sola prassi politica conosciuta da 70 anni da quelle parti, sembra aver educato molti.
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Molte voci indipendenti sostengono che se vuole costruire davvero una Siria che unisca le diversità rafforzando tutti, al Sharaa dovrebbe puntare sui territori, sul loro coinvolgimento con assemblee popolari che nominino dei delegati al Consiglio Costituzionale che ha deciso di istituire. Non è stato fatto. Forse era difficile, il centralismo è nella testa di tanti in Siria dopo tanti decenni di centralismo baathista (il partito unico del passato regime); ma se esiste un territorio di fatto autonomo, come il nord est governato dai curdi, che ormai vive più da separato, più “fuori” che “in” casa, e lo si vuole coinvolgere nella rinnovata unità siriana, non si può risolvere il problema invitando delle “brave persone” che vivono lì. Questa è un’idea di stampo sovietico, il più conosciuto in zona.
La questione curda è decisiva per il futuro della Siria ed è importante che si stia negoziando. I problemi più rilevanti sono quelli militari e si riassumono nel possibile ingresso dei curdi nell’esercito nazionale. È necessario e i curdi forse chiedono troppo se si considera che sono sempre sotto bombardamento non intensivo ma costante dei turchi, alleati forti dell’attuale governo siriano e di milizie ben armate.
In un’intervista ripresa da media siriani un comandante militare curdo riassume i termini della questione: gli viene richiesto di entrare nell’esercito siriano, loro accettano ma facendolo come “battaglione autonomo”, con una catena di comando curda sebbene sottoposta al ministero della difesa. Può essere troppo, ma anche pensare che un problema del genere si risolva imponendogli di entrare alla spicciolata escludendo i molti curdi non siriani che operano da anni con loro, appare troppo sbrigativo.
Perché, spiega il militare, i curdi sanno benissimo che al Sharaa ha portato jihadisti stranieri che hanno combattuto al suo fianco nel nuovo esercito siriano; perché allora loro non possono fare altrettanto? Occorre un metro comune.
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Certo, tirare troppo la corda può essere pericoloso per i curdi, che chiedono anche sia confermata una loro forte autonomia: ma sanno che se Trump dovesse ritirare i suoi 2000 Marines che gli danno sostegno (per combattere l’Isis) Erdogan potrebbe attaccarli, o quanto meno incrementare la pressione militare sulla loro capitale e sui villaggi vicini. In molti sostengono che non “alzi il tiro” solo per le pressioni del suo amico Barzani, il leader dei curdi iracheni.
Erdogan da mesi tratta con Ocalan, il fondatore del PKK, partito dei curdi turchi in armi. Da tempo sembra che il leader del PKK sia prossimo ad annunciare la fine della lotta armata da parte del PKK; in cambio otterrebbe amnistia e presumibilmente, ma questo nessuno può dirlo con precisione, qualche concessione politica, a cominciare dalla fine della prassi di arrestare sindaci curdi per sostituirli con commissari turchi.
Inoltre, fonti curde sostengono che chi non rientrerebbe tra gli amnistiabili potrebbe riparare, senza armi, in Iraq. Ma è la Siria il nodo da sbrogliare. E senza di questo Ocalan, secondo l’autorevole portale sul Medio Oriente Al Monitor, potrebbe seguitare a rinviare il suo discorso, che i leader curdi di Turchia ribadiscono da settimane essere imminente – ora dicono atteso per fine febbraio inizio marzo. Chissà.
Erdogan, si legge molto spesso, è interessato, perché per ricandidarsi per la quarta volta alla Presidenza della Turchia deve modificare la Costituzione e potrebbe riuscirci solo con l’aiuto dei deputati curdi. Quindi anche i curdi di Turchia sono interessati: Ocalan è disponibile – si dice – ma sa che buona parte del PKK opera dalla Siria, quindi le due matasse sono intrecciate.
Per i rischi accennati i curdi siriani dovrebbero avere interesse ad essere pragmatici, ma lo stesso interesse dovrebbe averlo il presidente islamista al Sharaa: risolvere la grana con i curdi lo aiuterebbe a risolvere il problema di tante altre milizie che ancora non si sciolgono, accettando, come lui gli chiede, di entrare nel suo esercito nazionale.
Certo, le modalità dell’ingresso dei curdi nell’esercito siriano cambierebbero il messaggio, ma ci può essere sempre una via di mezzo. Non sta a chi scrive trovare vie d’uscita, sta ai soggetti politici dimostrare che l’incontro dei diversi è nel loro orizzonte. Basterebbe pensare a sviluppi graduali, dello scioglimento nell’esercito quanto del federalismo da decidersi insieme, per valorizzare i territori e non per dividersi: si scoprirebbe che un costituzionalismo dal basso è la via d’uscita. Sono i territori, con tutti i loro specifici problemi e tutti i loro abitanti, ad avere bisogno di statuti che li valorizzino. Manca la fantasia o la volontà?
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Così la speranza che il negoziato dia vita a una prima forma di stato pluralista rischia di rimanere una speranza, i passi concreti non si vedono ancora. Aiuta un po’ la Francia, con la sua iniziativa per ridurre le sanzioni europee, una scelta importante: aperture sulla progressiva attenuazione delle sanzioni per aiutare i siriani e invogliare al Sharaa a fare riforme politiche pluraliste. E il pluralismo che funziona è dal basso, non dall’alto. Questo è il punto che però al Sharaa ancora non si decide a compiere, forse perché gli servono “incoraggiamenti” più robusti, o forse per altri motivi. Molto potrebbe fare questa Europa, bistratta e distratta.
Così l’impressione di alcuni commentatori siriani è che si attenda di capire cosa farà Washington, che tutti dicono sia diventata veloce ma ancora non decide: né cosa farà con i suoi Marines indispensabili ai curdi, né sulla rimozione delle sanzioni verso Damasco, per loro il vero incentivo in cui spererebbe al Sharaa.
L’imminente varo di un governo inclusivo di tutte le diverse componenti siriane, che dovrebbe essere nominato ai primi di marzo, resta allora un fuscello esile: in queste condizioni potrebbe anche essere un governo con gli amici di al Sharaa, quelli del suo partito e quelli pescati negli altri ambienti etnico-confessionali. Così non si andrebbe lontano, mancherebbe la forza di determinarsi a costruire un futuro per un Paese allo sbando, tra milizie in armi, stomaci vuoti e ulteriori ospedali senza medici per l’improvvisa chiusura dei programmi di USAID.
Certo, un secolo di feroci nazionalismi etnici aiuta a capire perché non sia facile procedere, la storia ha creato molto più che diffidenza; ma le società civili si dimostrano molto più avanti dei ceti politici, e questo forse è il punto che andrebbe capito.
Oggi in Turchia molti dicono che vincerebbe il sindaco di Istanbul, non Erdogan; i curdi hanno nel parlamentare detenuto Demitras un leader moderno, non tribale come altri; i siriani esprimono cultura politica anche se nessuno li ha aiutati a formarla da tempo. Solo guardando dal basso si può sperare che questo negoziato non venga gettato alle ortiche. Si ma si saprà in tempi anche brevi, perché si può rinviare, ma non all’infinito.