I dati ufficiali dicono che la Federazione Russa ha una superficie di 17.125.200 kmq, incluse la Repubblica di Crimea e la città di Sebastopoli e una popolazione di 146.748.600 abitanti, incluse la repubblica di Crimea e la città di Sebastopoli. La capitale Mosca conta 12.678.100 abitanti.
Vi sono 8 distretti federali, 85 “soggetti federali”; 22 repubbliche, 47 province (oblast), di cui 1 autonoma, 9 territori (krai), 4 circondari autonomi e le 2 città di Mosca e San Pietroburgo.
Nei distretti sono compresi la repubblica di Crimea e la città di Sebastopoli, annesse nel marzo 2014, ma non riconosciute dall’Ucraina e dalla comunità internazionale.
Vladimir Putin venne eletto presidente il 4 marzo 2012, rieletto il 18 marzo 2018. Primo ministro è Michail Misustin (un tecnico), dal 16 gennaio 2020.
Il raggruppamento ER (Russia unita, nazionalista), conta 334 seggi; KPRF, partito comunista della Federazione russa ne conta 43; LDPR, Partito liberaldemocratico, nazional-populista, 40; SR, Russia giusta, 23; altri 2, vacanti 8.
Una parte di analisti considera la Russia come un’antitesi al liberalismo occidentale. Per costoro il “putinismo” si pone come sfida al liberalismo e alla cosiddetta “democrazia liberale”. È una forma di autocrazia conservatrice e populista. «È conservatore non solo perché enfatizza i cosiddetti “valori tradizionali”, come la famiglia, composta esclusivamente da marito, moglie e figli, la religione ecc., ma perché, in generale, vuole mantenere lo status quo. Non vuole alcun cambiamento, nemmeno nell’economia. Non ha bisogno di cambiamenti e riforme, perché vive della vendita delle risorse del sottosuolo» (cf. La Civiltà Cattolica n. 4121, articolo di Vladimir Pachkov, gesuita).
Nel 2020, l’economia russa è stata colpita da numerosi eventi: il crollo del prezzo del petrolio, cosa che non avveniva da 18 anni, gli effetti delle misure di quarantena a causa del Covid e la riduzione delle esportazioni di prodotti minerari. Ne è venuto un forte calo del PIL (3,1%). L’economia sta ora lentamente migliorando e a fatica. Gli investimenti sono nelle mani dello Stato, che non pare lasciare molto spazio a quelli privati, preferendo i pochi progetti da affidare a persone vicine al governo. I piccoli e i medi imprenditori soffrono.
Le analisi mettono in luce che l’economia russa è aggravata dalla disuguaglianza e dalla povertà. Nel 2018, il 3% dei russi, spudoratamente ricchi, possedeva l’87% dell’intera ricchezza. I miliardari, dal 2018 al 2019, sono passati da 78 a 110. I milionari da 172.000 a 246.000.
Il 21% dei russi vive poveramente. Ne consegue che la preoccupazione più accentuata dei russi non è la politica, ma l’economia. Il 72% è preoccupato per il continuo aumento dei prezzi, il 52% per l’aumento della povertà e il 48% per la disoccupazione.
È arcinota la dipendenza del governo russo dalle entrate del gas e del petrolio. Lo sviluppo dell’immenso Paese dipende dallo sfruttamento delle risorse minerarie abbondanti e diversificate. La Russia è uno dei principali esportatori di combustibili fossili verso l’Europa. Numerosi gli oleodotti, sviluppati i gasdotti.
Tra i minerali estratti vanno segnalati soprattutto il manganese, il nichel, la cromite, l’uranio, lo stagno, il platino, l’oro, il rame, la bauxite, l’amianto, i diamanti, il mercurio. Molte di queste risorse si trovano negli Urali e nei vasti territori settentrionali e siberiani.
La classe dirigente sforna dati che non corrispondono spesso alla realtà, e che ai russi non interessano: a loro interessa la vita di ogni giorno, che diventa sempre più precaria.
Gli analisti non di regime sostengono la tesi che al Paese servirebbero investimenti, specialmente esteri. La cocciutaggine dei capi ha portato il Paese ad essere economicamente debole. I russi sono stanchi di questa politica – affermano gli osservatori –, perché non crea condizioni di una vita normale e dignitosa.
La retorica governativa è fuorviante. Putin e quanti gli sono accanto continuano a perseguire una politica che ha tolto alla società il ruolo fondamentale, incrementando la presenza statale. Perentorio il giudizio di Vladimir Pachkov: «Ora si può osservare che la popolazione è stanca della propaganda roboante: “Dobbiamo difenderci dai nemici che circondano il Paese!” e non la prende più sul serio. Il governo sta perdendo non soltanto il contatto con la società, ma anche l’influenza ideologica su di essa». Agli appelli alla guerra per difendersi dall’Occidente paradossalmente la gente risponde che non è disposta a morire per la patria e neppure per Putin. In questo senso la società russa è entrata nella «fase post-eroica».
Il malcontento è in continuo aumento e verrà il momento che assumerà toni di aperta ostilità al governo di Putin e Labrov, il potente e ambiguo capo della diplomazia. Vi saranno coinvolte ampie fasce della popolazione non solo urbana, ma di periferia.
È agli sgoccioli il “modello Putin”? Sono in ascesa coloro che lo pensano. La conclusione dell’articolo de La Civiltà Cattolica è illuminante: «La Russia, anche sotto Putin, è la conferma che il destino di un Paese è determinato dalle sue tradizioni e dalla sua storia, e che profondi cambiamenti, nel bene o nel male, possono attuarsi solo molto lentamente. Oggi il rischio di rimanere isolata e di vivere una drammatica stagnazione economica è molto reale».
Si può andare ancora oltre: Putin, coinvolgendo i capi del Patriarcato, ha minato l’ortodossia russa. Fino a quando resisterà la tanto decantata “sinfonia” tra Chiesa e Stato?