La strategia dei russi in Georgia

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Nell’inverno del 2010 in Georgia (quasi 4 milioni di abitanti) andava prendendo piede la polemica anti-russa, anche perché la Russia aveva ottenuto dall’ONU e dall’OCSE (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) il mandato di sorvegliare le regioni separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia meridionale, appartenenti alla Georgia.

I russi avevano la funzione di peacekeepers e ne approfittavano per intensificare la loro presenza nelle regioni di fatto indipendenti dal governo georgiano. Gli americani rispondevano con manovre militari congiunte. La tensione tra USA e Russia aumentava progressivamente.

Nell’agosto 2008 si aveva sentore che qualcosa di grave stesse per succedere, perché la tensione tra la Georgia e la Russia era molto forte. Pochi, comunque, credevano che si arrivasse allo scontro frontale armato. All’improvviso i russi fecero arrivare ulteriori forze nell’Ossezia.

La propaganda georgiana aveva toni parossistici: i russi stanno per lanciare l’invasione… Prepariamoci!

Il 7 agosto iniziava lo scontro armato nell’Ossezia meridionale. Dal rapportoTagliavini, un diplomatico svizzero incaricato di far luce sugli avvenimenti, si veniva a sapere che la Russia da tempo si preparava all’invasione.

Il presidente georgiano Saakashvili era convinto che in poco tempo la città di Tskhinvali (50 mila abitanti) sarebbe stata ripresa. Invece, l’esercito russo in un baleno sbaragliò le truppe georgiane, che si ritirarono precipitosamente, lasciando sul posto armi e viveri.

Incominciò la ritirata verso la capitale Tbilisi (circa 2 milioni di abitanti). I russi fecero sapere che non avevano finito l’operazione. Diffusero la voce che la Georgia avrebbe sferrato un attacco massiccio. Forti dello status di peacekeepers, con i carri armati isolarono l’arteria principale che collega Tbilisi e la parte ovest della Georgia, costringendo la capitale a ricevere gli approvvigionamenti per via aerea.

Si stanziarono nella zona di Gori, (50 mila abitanti), da cui mossero verso la capitale. I bombardamenti russi colpirono anche obiettivi civili. I carri armati arrivarono alle porte di Tbilisi. Con i russi entrarono in Georgia anche numerosi boievik della Cecenia, che si abbandonarono ad ogni tipo di razzia.

La tensione era alle stelle. Iniziava l’esodo di migliaia di profughi dall’Ossezia meridionale, abitata da giorgiani, e dalle zone occupate dai carri armati russi. Erano all’incirca 120 mila, che vennero alloggiati soprattutto in un vecchio ospedale militare dismesso. Si mossero la nunziatura con mons. Claudio Gugerotti e la Caritas della Chiesa cattolica. La solidarietà dei cattolici di tutto il mondo fu impressionante.

L’agosto 2008 ebbe un fortissimo impatto sulla popolazione, che reagì con il panico. La propaganda georgiana era martellante: i russi vogliono occupare tutta la Georgia. La gente si barricava in casa e c’era chi paventava il genocidio.

Il presidente Saakashvili dovette affrontare dimostrazioni che chiedevano le sue dimissioni. Intervenne il patriarca ortodosso georgiano, Ilia II, che si recò a Mosca per incontrare il metropolita Cirillo, uomo forte della gerarchia russa.

Venne rassicurato che le due Repubbliche autonome, l’Abkhazia e l’Ossezia meridionale, avrebbero continuato ad appartenere al territorio canonico della Georgia.

Forte del mandato internazionale di peacekeeper, Mosca divenne in verità forza d’invasione e di occupazione. Riconobbe l’indipendenza autoproclamata delle regioni separatiste, vi aprì le rispettive ambasciate, si prodigò di costruire impianti con la prospettiva di stabilire una base militare permanente in Abkhazia.

Stati Uniti ed Europa presero una nettissima posizione di condanna nei confronti della Russia, che aveva violato il mandato internazionale di peacekeeper penetrando nel territorio sovrano della Georgia e assicurarono ingenti capitali per far fronte ai danni provocati dall’invasione russa. Non era comunque nei loro piani un intervento militare a fianco della Georgia, la quale finì per essere lasciata sola nel Caucaso.

L’Armenia, molto legata alla Russia, non faceva mistero della sua opposizione alla leadership georgiana.

L’Azerbaigian attraversava un momento precario, perché vedeva messa in discussione la sua equidistanza tra Stati Uniti e Russia e prediligeva i rapporti con le Repubbliche asiatiche.

La Georgia si sentiva sempre più isolata nel contesto caucasico. La situazione economica peggiorava, elevato il debito internazionale. Aumentava la frustrazione di essere un Paese abbandonato con un governo corrotto e inefficace. Ci si chiedeva: da chi dipenderà il futuro della Georgia?

Non era chiara la posizione degli Stati Uniti. Nel luglio 2010, il segretario di Stato dell’amministrazione Obama, Hilary Clinton, incontrò il presidente Saakashvili, ma anche esponenti dell’opposizione.

L’Europa non voleva immischiarsi nella politica georgiana. L’opposizione guardava sempre più a Mosca e vi furono accordi con Putin.

Il patriarca della chiesa ortodossa georgiana veniva attaccato duramente da alcuni giornali georgiani, che lo accusavano di svendere l’onore nazionale ai russi. Il governo non era certamente tenero con Ilia II, al quale rimproverava di essere manovrato dal KGB. I contatti con l’Unione Europea erano sempre più sporadici e si allontanava sempre più la trattativa di adesione alla NATO.

La Russia stava nel frattempo consolidandosi in Abkhazia e in Ossezia meridionale. Il futuro era incerto e il pericolo di una guerra, in caso di bancarotta dello Stato, era all’orizzonte.

Si aveva l’impressione che il Caucaso e la Georgia in particolare avessero smarrito la strada di integrarsi con l’Occidente. L’Europa si era messa da parte per non perdere il gas russo e gli americani annaspavano nel buio. Le luci sul Caucaso erano spente.

 Il presidente Saakashvili rimase in carica fino al 2013. Si faceva strada l’opposizione “Sogno georgiano”, al quale appartiene l’attuale primo ministro, Giorgi Gakharia, mentre il presidente dello Stato, Salomé Zourabickvili, eletta nel 2018, è indipendente.

In questi ultimi anni il Paese ha conosciuto un favorevole clima economico. Il gas e il petrolio del Mar Caspio e dell’Asia centrale sono un’importante fonte di entrate per lo Stato georgiano grazie alle servitù di passaggio.

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