La Tunisia oggi

di:

tunisia1

Farid Adly, giornalista e scrittore in Italia, è direttore editoriale della Agenzia ANBAMED – notizie dal sud est del Mediterraneo – (qui). Gli abbiamo chiesto di presentare la situazione politica e sociale in Tunisia e di chiarire i rapporti tra Italia e Tunisia dopo le ripetute visite della Presidente del Consiglio Meloni. L’intervista è curata da Giordano Cavallari.

  • Farid, come sta la gente in Tunisia di questi tempi?

Gran parte della popolazione è allo stremo: un terzo vive al di sotto della soglia di povertà assoluta, il 47% dei giovani è disoccupato, nei mercati mancano o scarseggiano le principali derrate alimentari.

Da quando è iniziata la guerra in Ucraina e c’è stato l’incremento spropositato dei prezzi del grano, sta mancando anche il pane che, nella alimentazione medio-orientale, è il principio base di tutta l’alimentazione. Quando manca il pane, vuol dire che la gente è davvero alla fame.

  • Quali sono le cause di una crisi così grave?

La Tunisia ha ereditato un debito finanziario pesantissimo dalla dittatura precedente la “primavera araba”, tra il 2010 e il 2011. Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) con la Banca Mondiale (BM) avrebbe dovuto fornire un miliardo e 290 milioni di dollari di prestito, secondo i programmi.

Si badi bene: si sarebbe trattato pur sempre di prestiti e non di aiuti a fondo perduto. I prestiti, se erogati, avrebbero dovuto garantire la liquidità corrente allo Stato e assorbire il debito commerciale, per poter continuare le importazioni di prodotti energetici e alimentari, tra cui il grano.

Ma il FMI ha posto e pone condizioni insostenibili per la società tunisina: ad esempio, la riduzione del numero di dipendenti pubblici, il taglio del 20% delle retribuzioni pubbliche, la cancellazione dei contributi di Stato sull’acquisto dei carburanti e dei prodotti alimentari per garantire l’essenziale alla popolazione più povera.

Su tutto questo si sta ancora trattando. Ma intanto, come ho detto, la popolazione langue.

Solitudine del paese
  • Nessuno sta aiutando la Tunisia?

L’Algeria ha fornito una linea di credito di 100 milioni di dollari. La Libia ha ceduto – ma non so bene se si tratti di un aiuto che comporta una restituzione – il contenuto di una nave piena di carburante. L’Italia ha promesso qualche milione.

Ma, evidentemente, si tratta di “gocce in mezzo ad un mare”, nella crisi nera. Le agenzie di rating hanno abbassato la posizione tunisina al livello “CCC” che descrive un Paese che non è in grado di saldare i propri debiti.

  • Di quali risorse proprie dispone la Tunisia?

L’economia tunisina è principalmente agricola, con un plus-valore, quindi, molto basso. Il turismo ha subìto un duro colpo dopo gli attacchi terroristici del jihadismo criminale e, ulteriormente, dopo dalla pandemia: da questi non si è ancora ripreso pienamente. Non ci sono grandi risorse proprie da mettere a frutto. E soluzioni magiche non ne esistono.

  • Si intravvede qualche via d’uscita?

L’ultima intesa del governo tunisino col FMI è del settembre scorso, ma il prestito, di per sé concordato, è rimasto condizionato agli adempimenti elettorali e soprattutto all’accordo con la parte sindacale, che non c’è stata. Il sindacato dice che le condizioni che il FMI vuol imporre sono insostenibili per la povera gente: ora questo lo dice anche il Presidente Kaïs Saïed.

Saïed ora pure sostiene di voler tassare i ricchi per aiutare i poveri. Ma, se fosse in grado di farlo, l’avrebbe già fatto. In realtà, io non vedo, attualmente, alcuna via d’uscita da una crisi così grave.

Nel mentre, la Tunisia sta di nuovo vivendo una svolta sempre più autoritaria: parlo della cancellazione di fatto della vita politica “democratica” nel Paese, della cancellazione dei partiti e delle funzioni del Parlamento.

Politica interna
  • Quali sono i principali partiti politici che si confrontano in Tunisia?

Il principale partito politico islamista in opposizione al Presidente è al-Nahda, animato dai Fratelli Musulmani. Ci sono i partiti laici liberali, come Karameh e il neoDestour, oltre a piccoli partiti di ispirazione di sinistra. Ma con l’ultima legge elettorale, i partiti hanno perso la loro centralità politica.

I candidati erano individuali e non collegabili a liste di partito. Questo ha condizionato la vita politica e la composizione del parlamento, dove la maggioranza è costituita da deputati indipendenti senza militanza politica. Ma ciò non ha impedito la vivacità della scena politica tunisina.

C’è per esempio il Fronte di salvezza nazionale tunisino – guidato da Ennahda – un raggruppamento di diversi partiti: questi, di per sé, non sono stati sciolti, ma le loro sedi sono state, di fatto, chiuse. Inoltre, il sindacato dei lavoratori è una forte realtà organizzata tesa a difendere i diritti dei lavoratori e dei ceti sociali meno abbienti, con la libertà di tutti, tanto che l’Unione Generale dei Lavoratori Tunisini, UGTT, insieme ad altre 3 organizzazioni della società civile tunisina, ha ottenuto il premio Nobel per la Pace nel 2015.

Molti uomini politici – ma anche giudici e giornalisti, professionisti che stanno semplicemente facendo il loro lavoro – sono arrestati. Proprio in questi giorni è in pericolo di vita il dirigente di Ennahda, Sohbi Atiq, in sciopero dalla fame, in carcere, da un mese.

  • La Tunisia appariva come l’unico Paese in cui la “primavera araba” si fosse realizzata: non è più così?

Effettivamente, sino a 2 anni fa, la Tunisia era considerato l’unico Paese che fosse stato attraversato dalle “primavere arabe” in cui si fossero realizzate libere elezioni, partecipate da partiti veri di rappresentanza; elezioni verificate dagli organismi internazionali. Poi, progressivamente, la corruzione ha pervaso il sistema politico e ha distrutto la giovanissima democrazia tunisina, anche perché la Tunisia non è stata aiutata da nessuno.

  • Chi è il Presidente Saïed?  

Saïed era un docente universitario. Non aveva alcun partito alle spalle. È un musulmano, islamista, fortemente contrapposto all’islamismo politico dei Fratelli Musulmani. È diventato Presidente della Repubblica tunisina col 19% dei voti. Il secondo candidato è stato l’imprenditore Nabil Qarui con il 15,6%. Il candidato di al-Nahda ha ottenuto ancor meno, col 12,9% dei voti. C’erano diversi candidati e questo spiega la dispersione dei voti. Al ballottaggio ha vinto Saïed con il 72,7%.

La Costituzione democratica tunisina del 2014 è molto avanzata. È di stampo decisamente parlamentare. Perciò il Presidente ha un ruolo importante, ma non così decisionale come Saïed lo sta interpretando, specie in ambito economico, giudiziario, di politica interna.

Dopo le misure d’emergenza, definite dall’opposizione un colpo di Stato, il presidente Saïed ha introdotto una nuova costituzione e una legge elettorale che hanno ridisegnato i poteri, concentrando nella figura del capo dello Stato sia il potere esecutivo che legislativo e mettendo sotto il controllo della presidenza quello giudiziario.

Saïed ha progressivamente forzato il suo ruolo istituzionale – condizionato anche dalla crisi economica – ma questo non ha sconfitto il sistema della corruzione.

Società civile
  • Quale corruzione?

Un esempio ha riguardato proprio i rapporti con l’Italia, anche se non il rapporto con un governo italiano. I giornali in Italia ne hanno parlato poco o nulla. Il già ministro dell’ambiente tunisino Mustapha Arouni – nominato da Saïed – aveva autorizzato una ditta tunisina, ovviamente in cambio di tangenti, di accogliere sul suolo tunisino molti rifiuti – plastiche deteriorate e non riciclabili – da una ditta italiana.

Si trattava di centinaia di container, per tonnellate e tonnellate di pattume destinate ad essere disperse nel deserto tunisino, a sud del Paese, con grave danno ambientale. I rifiuti erano già giunti nei porti tunisini e l’operazione sarebbe andata senz’altro a “buon fine” se non fosse stata smascherata da una troupe radiofonica tunisina, probabilmente su segnalazione di maestranze del porto.

Lo scandalo è scoppiato nel 2020. In seguito, il ministro è stato arrestato e condannato. Ma il sistema della corruzione è rimasto in essere. Per la cronaca: l’attuale governo tunisino è riuscito ad ottenere il ritorno in Italia del pattume.

  • La società democratica tunisina – che ha animato la “primavera” – è dunque ancora viva e sa reagire a corruzione e scandali?

La società è ancora forte e determinata. Sta reagendo, con manifestazioni, alle malefatte della politica e alle attuali affermazioni di Saïed. Questi sta dicendo, ora, per trovare un “capro espiatorio”, che i migranti economici sub-sahariani presenti nel Paese «portano criminalità», «rubano il lavoro», stanno creando i presupposti della «sostituzione etnica»: tutti termini ben noti, anche in Italia.

Saïed sta facendo un discorso chiaramente razzista e sta creando molte tensioni di cui fanno le spese anche i tunisini di pelle nera. Ci sono stati attacchi armati – da parte di gruppi estremisti ed esagitati – contro le case in cui si sa che vivono i migranti.

La società civile non è rimasta a guardare: si è mobilitata e sta continuando a farlo. La polizia ha dovuto intervenire. Ma il clima resta molto pesante. Si è scatenata la caccia ai migranti privi di regolare permesso, per scacciarli dal lavoro e delle case che hanno preso in affitto.

Migranti
  • Ci sono organizzazioni internazionali che si occupano dei diritti dei migranti in Tunisia?

Gli stessi migranti hanno inscenato poteste presso gli uffici dell’ONU che dovrebbero garantire i loro diritti. Ci sono giovani che stanno aspettando da più di 5 anni una risposta alla loro domanda di asilo in un paese terzo. Vivono nei “Centri di accoglienza”, in realtà veri e propri Centri di detenzione.

Alcuni sono riusciti a scappare e ad accamparsi davanti agli uffici dell’ACNUR a Tunisi, per protestare e per chiedere che questi facciano il loro lavoro. Il risultato, per ora, sono solo le nuove tensioni con la polizia.

  • Il quadro che hai descritto spiega dunque i tentativi di migrare verso l’Italia e l’Europa?

La situazione che ho descritto spiega certamente perché molta gente – soprattutto giovani – cerca di scappare dalla Tunisia. Non sono soltanto tunisini quelli che cercano di raggiungere l’Italia dalla Tunisia: eppure, un terzo delle circa 34.000 persone che hanno già tentato il viaggio verso l’Italia, sono di nazionalità tunisina. Gli altri sono migranti dell’Africa sub-sahariana.

Italia-Tunisia
  • C’è differenza tra Tunisia e Libia verso l’Italia?

I libici che emigrano sono – numericamente – poca cosa. Cercano di emigrare soprattutto per trovare una assistenza sanitaria degna di questo nome, che in Libia evidentemente non c’è. Mentre, come ho detto, i tunisini che cercano di emigrare in questo momento sono migliaia e migliaia, per ragioni economiche e sociali.

  • Quali sono gli umori in Tunisia verso l’Italia, specie sulla questione dei migranti?

Ho visto una vignetta pubblicata sulla stampa tunisina. L’autrice è una tunisina che vive in Francia, Nadia Khiari. Nella vignetta si vede il Presidente Saïed che dice alla Presidente Meloni «questi» – i migranti appunto – «portano criminalità, rubano il lavoro, preparano la sostituzione etnica» e la Meloni che, in arabo, esclama: «Machallah!» (Oh, come sono belle queste parole!).

  • La premier italiana dice di voler aiutare la Tunisia a sbloccare la trattativa sul prestito del FMI.

Sì, ma il governo italiano sta facendo promesse che non è in grado di mantenere: la voce dell’Italia presso il Fondo Monetario è pressoché afona.

  • Meloni ha parlato – anche in Tunisia – del “Piano Mattei” a beneficio delle popolazioni africane (da cui provengono buona parte dei migranti in Italia).

Piccoli aiuti di qualche milione di euro – soltanto promessi – non risolverebbero comunque nulla in una situazione del genere. La crisi tunisina chiede miliardi. L’Italia non ha minimamente questa capacità. Servirebbe forse un massiccio intervento dell’Europa. Ma di questo ancora non c’è traccia.

  • Perché, allora, tante visite italiane, in questo periodo, in Tunisia?

È piuttosto evidente. L’Italia cerca di fare qualche favore e fa promesse perché la Tunisia trattenga in tutti i modi i migranti dall’altra parte del Mediterraneo. In questo modo l’Italia sta vendendo sostanzialmente “fumo”. E in Tunisia lo sanno bene.

Recentemente un elicottero militare è precipitato in mare mentre stava compiendo un giro di ricognizione sulle coste da dove partono i barconi. Tutti i membri dell’equipaggio – costituito da 4 ufficiali – sono morti. Alla viglia della visita della premier italiana, la rabbia scatenatasi nella popolazione a seguito della disgrazia, ha fatto dire al presidente Saïed:  «Non faremo il cane da guardia delle coste europee».

Print Friendly, PDF & Email

Lascia un commento

Questo sito fa uso di cookies tecnici ed analitici, non di profilazione. Clicca per leggere l'informativa completa.

Questo sito utilizza esclusivamente cookie tecnici ed analitici con mascheratura dell'indirizzo IP del navigatore. L'utilizzo dei cookie è funzionale al fine di permettere i funzionamenti e fonire migliore esperienza di navigazione all'utente, garantendone la privacy. Non sono predisposti sul presente sito cookies di profilazione, nè di prima, né di terza parte. In ottemperanza del Regolamento Europeo 679/2016, altrimenti General Data Protection Regulation (GDPR), nonché delle disposizioni previste dal d. lgs. 196/2003 novellato dal d.lgs 101/2018, altrimenti "Codice privacy", con specifico riferimento all'articolo 122 del medesimo, citando poi il provvedimento dell'authority di garanzia, altrimenti autorità "Garante per la protezione dei dati personali", la quale con il pronunciamento "Linee guida cookie e altri strumenti di tracciamento del 10 giugno 2021 [9677876]" , specifica ulteriormente le modalità, i diritti degli interessati, i doveri dei titolari del trattamento e le best practice in materia, cliccando su "Accetto", in modo del tutto libero e consapevole, si perviene a conoscenza del fatto che su questo sito web è fatto utilizzo di cookie tecnici, strettamente necessari al funzionamento tecnico del sito, e di i cookie analytics, con mascharatura dell'indirizzo IP. Vedasi il succitato provvedimento al 7.2. I cookies hanno, come previsto per legge, una durata di permanenza sui dispositivi dei navigatori di 6 mesi, terminati i quali verrà reiterata segnalazione di utilizzo e richiesta di accettazione. Non sono previsti cookie wall, accettazioni con scrolling o altre modalità considerabili non corrette e non trasparenti.

Ho preso visione ed accetto