Solitamente associamo l’Europa a Parigi e a Berlino. Già Londra è parte del mondo anglosassone, proteso verso gli oceani. Come la penisola iberica è protesa verso l’America Latina e i Paesi nordici rappresentano un universo tutto loro. Per non dire dei Balcani o dell’Est.
Eppure europea è la megalopoli di Istanbul ed europee sono quelle ragazze che lì hanno manifestato contro le violenze di genere. Siamo anzi nella culla del vecchio continente. E fra i primi pensatori greci e cristiani molti, poi, erano della penisola anatolica, asiatici.
La Turchia è un vero ponte naturale fra Oriente e Occidente e fra Nord e Sud del globo. In passato il suo impero si estendeva anche su un terzo continente, l’Africa. E per secoli il mondo bizantino ha rappresentato l’Oriente dell’Occidente e l’Occidente dell’Oriente. La Turchia: luogo di incontro, di scontri, di tolleranza e di sangue.
I ragazzi e le ragazze di Istanbul tengono alle loro peculiarità e, insieme, rivendicano il loro essere europei; europei della tarda modernità. Per quelle donne il trucco non è una maschera, né un simbolo di oggettivazione. È, piuttosto, un fattore identitario: nessuno può, nessuno deve calpestare la nostra libertà, il nostro estro, il nostro modo di esprimerci e di vivere, sembrano dire. Già; vale anche per loro ciò che vale per le curde e le iraniane: Donna, Vita, Libertà. E non una di meno.
Quei giovani, quelle ragazze non sono disposte a immolarsi per la causa del despota, in nome del richiamo della Turchia profonda. Il male non è l’islam, bensì il suo uso strumentale da parte del presidente Erdogan. E non bastano i numeri per fare una democrazia. Seme, fermento e lievito della democrazia sono quelle universitarie e quegli universitari di Istanbul, quei giovani e quelle donne. E noi dovremmo porci accanto a loro.