Il Libano è al corrente dell’accordo sul cessate il fuoco che lo riguarda? Il dubbio è stato chiarito solo pochi minuti prima dell’annuncio, quando a Beirut si sono accorti che l’uomo che ha trattato in splendida solitudine a nome di tutti i libanesi, il Presidente della Camera dei deputati Nabih Berri, non aveva alcun titolo per farlo.
Questi accordi infatti competono al Presidente della Repubblica libanese, poltrona vacante da più di due anni, visto che il Parlamento non è mai stato convocato dal Presidente Berri nel corso di tutto il 2024 per eleggerlo, prima a maggioranza qualificata, poi a maggioranza semplice, come previsto dalla Costituzione.
E allora i negoziati, a ogni livello, sono stati condotti non dal governo, che sostituisce in questo campo il Presidente in caso di assenza, ma dallo speaker della Camera, perché amico di Hezbollah.
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Quando il dettaglio è emerso, ieri sera, ci si è precipitati a convocare il governo per questa mattina, alle 9.30, quando l’accordo sarà già in vigore. Così la forma sarà salva. È fin troppo evidente dunque che questo accordo è stato trattato da Nabih Berri perché a ciò delegato da Hezbollah e dall’Iran, essendo lui un loro fedelissimo alleato da sempre.
Il suo obiettivo dunque era salvare il salvabile, per loro, più che per il Libano. Tutto questo dimostra che forse lo Stato libanese a dir poco traballa e se esisterà o meno, come Stato indipendente e sovrano, dipenderà proprio dal seguito di questa vicenda, che comunque va ancora scritta.
Comprensibile l’irritazione del patriarca maronita, Beshara Rai: si è obiettivamente impedito che un cristiano, come prevede la regola libanese che prevede che sia un maronita il Presidente della Repubblica, trattasse la pace: si vorrà insediare rapidamente un presidente-esecutore di decisioni e interessi altrui più che libanesi? Non può essere escluso, ma neanche dato per scontato.
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Questa premessa era comunque indispensabile per presentare un accordo che riporta la speranza di vivere in Libano e pone termine a un anno di bombardamenti e due mesi di guerra aperta e feroce.
Tutto è derivato dalla decisione di Hezbollah di attaccare il Nord di Israele, ufficialmente come forma di «sostegno» a Gaza. Una scelta con cui Hezbollah aveva sperato di intestarsi la paternità del cessate il fuoco a Gaza, senza facilitarlo né avvicinarlo, mentre ha portato devastazione sul Libano e su sé stesso.
Così ora Hezbollah accetta i termini che l’ONU aveva già imposto dal 2006, quando i suoi miliziani avrebbero dovuto ritirarsi a 30 chilometri dal confine con Israele, dove scorre il fiume Litani, e Israele avrebbe dovuto sospendere i sorvoli dello spazio aereo libanese.
Hezbollah in realtà non si è mai ritirato, Israele ha proseguito i suoi sorvoli. Ora ciò che non si applicò, dopo quasi 4mila morti e un milione e cinquecentomila sfollati libanesi, viene imposto al partito che fu di Hasan Nasrallah. Questa volta però ci sarà un ampio comitato internazionale a verificare il rispetto dei patti. E non è difficile immaginare cosa accadrà se fossero disattesi.
Il Libano già prostrato da un collasso economico che in quattro anni di default ha portato la valuta locale dal cambio a quota 1500 contro il dollaro a quello attuale che si avvicina a quota 100mila, ci arriva in macerie: umane, infrastrutturali e politiche.
La domanda che molti si fanno è questa: Hezbollah disarma dal confine con Israele fino al fiume Litani, ma sopra il fiume Litani, cosa ci farà con le armi che ancora possiede? Quale altro uso oltre che quello coercitivo verso i suoi connazionali si può immaginare? E poi, chi governa oggi Hezbollah? Un partito con una tale milizia ma oggi senza leadership è forse gestito da chi lo finanzia, cioè dall’Iran?
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La tenuta dell’accordo dipenderà in gran parte oltre che dal rispetto dell’area di non presenza miliziana, quella a Sud del fiume Litani, anche dal blocco dei carichi di armi che sono sempre giunti dall’Iran a Hezbollah tramite la Siria.
Ora, con i buoni uffici di Mosca, si intende convincere Assad a cambiare casacca: dopo essere stato fisicamente salvato da Hezbollah dovrebbe essere lui a garantire, per ordine moscovita, che non passino più armi per la milizia libanese. Ma quell’ordine arriverà, perentorio?
Recentemente nei depositi di Hezbollah sono state trovate tantissime armi di recentissima fabbricazione russa. E poi Assad non è uno, gli Assad sono due. Il Presidente siriano, Bashar, tenuto per i capelli da Putin, e suo fratello Maher, legatissimo a Tehran.
Che a Bashar al Assad interessi solo il potere lo si sa da sempre, ma il suo recente decreto di non vendere più case a iraniani dimostra due cose: la volontà di mostrarsi fedele a Mosca come l’enormità delle acquisizioni già effettuate dagli iraniani.
Mosca e Tehran poi sono legate da accordi militari molto importanti per entrambi. L’impressione, ipotizzano alcuni, potrebbe essere questa, ferma restando la parzialità di ciò che sappiamo: che ognuno farà i suoi interessi senza andare però allo scontro totale con l’altro, né – per quanto attiene a Putin – con Trump e con Netanyahu. Come lo si vedrà.
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Colpisce un altro passaggio un po’ oscurato dell’intesa: nel comitato che vigilerà sulla tregua era previsto un posto per un big arabo. Ma né il Qatar, né gli Emirati Arabi Uniti né l’Arabia Saudita lo hanno voluto. Di quale interlocutore libanese potrebbero fidarsi? Ecco che tra i vigilanti dovrebbe esserci l’Egitto, o forse la debolissima Giordania.
In definitiva guardando con distacco e umanità, si deve tirare un sospiro di sollievo: per il martoriato Libano, e soprattutto per la martoriata popolazione sciita del Sud del Libano quasi sparito, in un Paese prossimo alla carestia, è stata evitata la catastrofe piena.
Ma il futuro politico del Paese dei Cedri, come si diceva una volta – chissà se i cedri ci sono ancora – è tutto da costruire. Chi sperava che cominciasse un’epoca nuova dovrà attendere. Si deve certamente salutare con soddisfazione l’accordo, ma le incognite sono tante, soprattutto per i libanesi, che avrebbero diritto a riprendersi il governo del loro Paese; con un ceto politico, possibilmente non con una casta autoreferente.
Qualche settimane fa l’ambasciata americana voleva escludere gli sciiti dalla partita politica per l’elezione del nuovo Capo dello Stato. Era un errore; il Libano deve essere di tutti, con tutte le possibili idee, possibilmente però tutti disarmati. Per adesso non è andata così. Ora vedremo di chi sarà.
Ma molti pur tirando un sospiro di sollievo già vedono i vecchi signori della politica ricominciare i loro balletti, per il potere. La ricostruzione dovrà ancora attendere. Le ultime ore di bombardamenti intensissimi e su tutta la capitale libanese lo hanno confermato.