Il 22 marzo è stato firmato a Vilnius un concordato o meglio un accordo fra la repubblica di Lituania e il patriarcato ecumenico di Costantinopoli. L’accordo non è fra stati, come nel caso della Santa Sede, ma ne segue le forme. È la terza volta che succede. Un primo caso è stato fra il Fanar e l’Ungheria. Un secondo caso è quello fra patriarcato serbo e Montenegro (firmato, ma non ancora approvato dal parlamento).
Il processo fa forza sul ruolo di riferimento di Costantinopoli per l’insieme dell’Ortodossia. Nel caso del Montenegro, è giustificato della presenza della Chiesa serba in aree che non appartengono allo stato serbo. Potrebbe in futuro essere utilizzato da altre Chiese che hanno comunità in paesi diversi (come la Romania o la Russia).
L’accordo (di cui accennerò più avanti) riguarda l’ortodossia locale che è di circa 150.000 fedeli (su tre milioni e mezzo di abitanti, di cui il 79% cattolico), da secoli legati al patriarcato di Mosca, ma prima, dal XIII al XVII secolo, sotto il patriarcato di Costantinopoli.
Vi sono ragioni più immediate: la frattura nel clero di cui cinque (su circa 60) sono usciti dall’obbedienza del metropolita Innocenzo per entrare in quella di Bartolomeo e, in secondo luogo, l’arrivo di circa 40.000 rifugiati ortodossi ucraini poco propensi a ritrovarsi nelle chiese con i lituani di ceppo russo.
La guerra di aggressione russa-ucraina e, prima, la scissione legata al riconoscimento dell’autocefalia alla Chiesa ucraina (guidata dal metropolita Epifanio) sono state le premesse maggiori di quanto sta succedendo.
La smania di primazia di Cirillo
Durante la visita ufficiale del patriarca Bartolomeo (20-22 marzo), oltre all’incontro con le autorità e la firma dell’accordo, vi è stato l’incontro del gerarca con il gruppo di lavoro del Partito popolare europeo (PPP) nell’Unione Europea. Nell’ampio discorso ai deputati Bartolomeo fornisce la propria lettura delle premesse prima accennate: lo scisma intra-ortodosso e la guerra russo-ucraina.
Dopo aver ricordato il processo economico-finanziario della globalizzazione e le sue insufficienze rispetto ai valori morali e civili con il conseguente ripiego della politica sul nazionalismo e sul protezionismo, Bartolomeo affronta la questione dello scisma. «La crisi ucraina si collega con la sfida più fondamentale del mondo cristiano ortodosso. L’Ortodossia continuerà ad essere guidata spiritualmente dalla sua fonte e difesa, cioè il centro tradizionale e storico, il patriarcato ecumenico di Costantinopoli? È una domanda essenziale per il carattere, l’identità e l’esistenza dell’Ortodossia».
Da quando la Russia ha ottenuto il patriarcato (1589), sulla spinta degli zar, si è incrementata l’ideologia della “terza Roma”, facendo della Chiesa uno strumento per gli obiettivi strategici del potere politico. «La Russia di Putin ha semplicemente rinnovato e accentuato questa “tradizione”». Per l’ideologia del panslavismo, l’autocefalia di una Chiesa non è legata al territorio, ma all’etnia (etnofiletismo).
«L’attuale sua incarnazione è l’ideologia fondamentalista del “mondo russo” (Russkiy Mir). Da essa nasce la giustificazione della guerra. Alimentata e gonfiata in particolare dal patriarca Cirillo di Mosca dal 2009. Per ottenere la primazia, è ricorso all’argomento dei numeri (150 milioni di fedeli su 250), cercando così «di ottenere il primato all’interno della Chiesa ortodossa» anche violando il principio del “territorio canonico”.
«Il 5 gennaio 2019 è stato firmato il tomo che concede l’autocefalia alla Chiesa ortodossa dell’Ucraina. Il distacco della rilevante popolazione ortodossa ucraina dalla tutela di Mosca ha privato la Chiesa russa di gran parte della sostanza della sua pretesa anti-ecclesiologica, nel suo tentativo di primazia nell’Ortodossia».
Lo sforzo attuale è duplice: da un lato, spingere la Chiesa russa alla rigenerazione spirituale e, dall’altro, neutralizzare la legittimazione teologica di comportamenti criminali.
40.000 rifugiati e il culto
Una narrazione collegabile a quella del primo ministro lituano, signora Ingrida Šimonité. Nella sua dichiarazione, al momento della firma dell’accordo, ha giustificato l’attenzione dello Stato alla ripresa dei contatti con Costantinopoli per le lunghe radici storiche e per le emergenze attuali. «È naturale e umano che, con l’aggressione su vasta scala della Russia contro l’Ucraina, e con il patriarca Cirillo di Mosca che la sostiene apertamente, sia diventato impossibile per alcuni ortodossi che vivono in Lituania far parte dell’arcidiocesi lituana del patriarcato di Mosca, senza un conflitto di coscienza».
A questo si aggiungono le migliaia di rifugiati ucraini. Particolarmente apprezzata è stata la decisione di Bartolomeo di accogliere il ricorso dei cinque preti decisi a staccarsi dal metropolita Innocenzo.
Da parte sua, la metropolia ortodossa locale accusa i cinque sacerdoti di aver perseguito lo scisma e non tanto di criticare la guerra su cui ci sarebbe consenso unanime. Innocenzo non si è apposto alla visita di Bartolomeo e gli ha concesso di onorare le reliquie dei santi custoditi nella cattedrale. Ha inoltre sottolineato che la diocesi cammina verso una crescente indipendenza da Mosca. Domanda registrata dal sinodo moscovita, ma il rimando della risposta al concilio locale, che probabilmente non si celebrerà se non per la scelta del successore di Cirillo, allontana molto nel tempo la possibile risposta.
Verso un esarcato
Tornando all’accordo o concordato, va sottolineato che tutto nasce attorno alla questione dei preti dissidenti. Il loro appello a Costantinopoli è stato supportato dal governo e il viceministro degli esteri ha condotto le trattative con il Fanar. Da lì è nata l’esigenza di ripristinare la giurisdizione del patriarcato ecumenico in Lituania e di avviare il processo per formare un esarcato, cioè una diocesi a titolo pieno.
Mentre si discuteva il testo, si è trovata una chiesa adatta a Vilnius. Si tratta dell’edificio sacro annesso a un vecchio carcere diventato un centro culturale e amministrativo. Oltre a questo, sono stati recuperati un paio di edifici storici e alcuni altri ambienti per uffici e rappresentanza. Il clero verrà sostenuto dallo Stato come tutti gli altri rappresentanti religiosi.
Il testo dell’accordo contiene cinque articoli. Così si definisce l’intento complessivo: «Lo scopo del presente accordo è quello di rafforzare e sviluppare le relazioni e la cooperazione tre le parti nei settori di reciproco interesse, comprese le questioni riguardanti l’istituzione, l’istituzionalizzazione e il funzionamento della Chiesa locale in Lituania sotto la giurisdizione del patriarcato ecumenico e di facilitare l’attuazione della libertà di coscienza e di religione per i credenti di confessione ortodossa che cercano di praticare la loro religione nella Chiesa ortodossa sotto la giurisdizione del patriarcato ecumenico».
Il complicato intreccio di componenti ecclesiali, confessionali, storiche, giuridiche e politiche segnala la gravità dello scontro bellico in atto e la profondità della frattura dentro l’Ortodossia.
Un nuovo concilio pan-ortodosso?
Sulla necessità della pace ha insistito il rappresentante della KEK (Consiglio delle Chiese europee), Skov Sorensen, nell’incontro del Partito popolare europeo, presentando un programma di azione per la giustizia, la riconciliazione e la pace in Europa, a partire dall’attuale scontro bellico.
Sulla necessità e l’urgenza di superare lo scisma dentro le comunità ortodosse è intervenuto l’11 marzo un comunicato della Chiesa ortodossa di Albania che richiede la convocazione di un concilio pan-ortodosso, «unico luogo per risolvere i problemi fondamentali e assicurare l’unità e la pace nelle Chiese ortodosse nel mondo intero. Mentre una catastrofe senza precedenti si amplifica in Ucraina e la sofferenza dei fedeli ortodossi arriva all’acme, si impone una risposta pan-ortodossa il più presto possibile».