Per il cessate il fuoco a Gaza non arriva nessuna schiarita. Anzi, già sembra scattata la ricerca del responsabile del fallimento, dato per imminente.
Moltissime, infatti, le critiche alle ultime mosse del Segretario di Stato americano, Antony Blinken, che in queste ultime giornate frenetiche prima dell’imminente summit decisivo ha detto di avere l’ok del premier israeliano Netanyahu sulla sua mediazione, poi si è trovato costretto a farlo chiamare ieri sera da Biden e Harris insieme: se lui non fosse almeno parte molto rilevante del problema forse l’America avrebbe preferito fare pressioni sugli egiziani, che non approvano la richiesta israeliana di mantenere loro truppe nel corridoio Filadelfia, che correndo a cavallo del confine tra Gaza ed Egitto è anche territorio egiziano e che il trattato di pace tra Egitto e Israele definisce smilitarizzato.
Siccome è questo il punto su cui Blinken avrebbe trovato un’intesa con Netanyahu, che poi ha inasprito il tono delle sue richieste, gli americani si trovano in acque agitate anche con i co-mediatori Egitto e Qatar, che forse gli rimproverano di aver inseguito troppo Netanyahu nei suoi ulteriori rilanci.
Anche il malessere del Qatar è evidente, visto che l’emiro del Qatar ha fatto dire dai suoi che l’emirato rimane impegnato nella mediazione. Che bisogno c’era di dirlo se non fossero emersi problemi anche da parte loro?
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I forse comunque sono d’obbligo, perché questi sono negoziati giocati anche sui nervi, ma al momento la situazione appare questa. Netanyahu ha rilanciato con questa mossa inattesa – richiedere la permanenza dei suoi soldati lungo il corridoio Filadelfia a impedire traffici clandestini di armi, benché il piano convenuto parlasse di ritiro completo – per evitare che il suo governo potesse cadere.
Volendo sperare, va detto però che in serata l’ufficio del premier ha ribadito questa richiesta ma non ha ricordato quella di permanere anche all’incrocio di Netzarim, nel centro di Gaza (almeno questo si evince leggendo i report di stampa): da Netzarim passerebbero tutti coloro che dal Sud di Gaza tornerebbero al Nord e la richiesta di restare in quello snodo è motivata con l’esigenza di controllare che non passino anche armi. Anche tale richiesta urterebbe col piano Biden; ma il fatto che non venga citata potrebbe, forse, essere un segnale. Difficile dirlo.
Chi risulta tacere, almeno in queste ultime concitate ore, è Hamas. Ha già ribadito che non accetterà modifiche e permanenze di sorta di soldati israeliani. Ma dopo aver richiesto l’attuazione del piano Biden, così come è stato formulato il 31 maggio, non ha – sin qui – fatto altri annunci come, ad esempio, la sua non partecipazione alle imminenti negoziazioni.
Difficile che lo abbia fatto perché ha sentito Antony Blinken chiedergli se abbia a cuore le esigenze di milioni di palestinesi, attenuando la sua rigidità su questioni come il corridoio Filadelfia, dove non vive nessuno. Forse lo fa più per non fare ombra al difficile momento tra israeliani e americani. Colpisce però la crudeltà con cui Hamas fa pervenire messaggi ai familiari degli ostaggi.
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Se fossimo alla vigilia di un fallimento il destino degli ostaggi potrebbe apparire, o essere, segnato. E da questo punto di vista anche Netanyahu sembra aver commesso un errore. Non solo perché ha consentito che gli venissero mossi durissimi attacchi dalle opposizioni – attacchi non solo politici, ma anche umani, visto che lo accusano di non voler un accordo che salverebbe gli ostaggi –, quanto perché ha proposto proprio in queste ore l’organizzazione di una cerimonia commemorativa del 7 ottobre, ottenendo il rifiuto dei parenti degli ostaggi e delle comunità del Sud, devastate dal pogrom, che organizzerebbero una cerimonia loro, alternativa a quella governativa, in occasione del primo anniversario. Sono ferite gravi e profonde, che il fallimento del negoziato, se così fosse, acuirà.
Già si acuisce invece l‘attrito con Hezbollah, al confine settentrionale. La situazione si aggrava di ora in ora e l’assassinio di un dirigente palestinese, questa volta del partito di Abu Mazen, non di Hamas, è apparso un altro segnale di escalation.
Un dato di fatto evidente ma che non corrisponde con i segnali, sinceri o no, che sta mandando l’Iran. Il portavoce dei potentissimi pasdaran, architrave militare del esime, prendendo molti di sorpresa ha detto che la vendetta per l’assassinio del capo di Hamas – Ismail Hanyeh – mentre si trovava in visita ufficiale in Iran potrebbe richiedere molto tempo.
Diversi organi di stampa citano indicazioni diverse, ma queste non sono teorie, ma le parole pronunciate dal portavoce dei pasdaran. Per qual fine le abbia dette e cosa realmente volesse dire è un altro discorso.